venerdì 25 gennaio 2013

Un cuore rosso



Nel programma originale che avevamo stilato per la nostra traversata australiana, Alice Springs si vedeva dedicare ben due giornate piene. Ora, è vero che tale programma riportava la speranzosa scritta “e dintorni” accanto al nome della cittadina, ma pure con tutta la buona volontà sarebbe difficile pensare di trascorrere 48 ore qui, sapendo cosa ti aspetta altrove.

Certo, c’è un KFC, ma per il resto... Comunque, procediamo con ordine! La nostra mattinata si apre all’insegna del “prendiamocela comoda”, cosa peraltro necessaria dopo quasi tre giorni dedicati a macinare chilometri, dopodiché partiamo dimenticandoci attaccato il cavo elettrico e rischiando di sradicare la colonnina.

Mentre Davide rompeva il campeggio, io ho fatto la conoscenza di Maureen, una pimpante signora sessantenne che con il marito Bruce e la ferocissima Miss Emma gira l’Australia a bordo di Moonshine, il loro camper. Da cinque anni! Chiedo se posso visitare la loro casa, e accedo a un’abitazione essenziale e caotica. Maureen sta preparando il ragù per la cena. Ci sono lattine e bottiglie di plastica vuote in ogni dove (10 cent per ogni bottiglia portata in un centro di raccolta), e il bucato appena ritirato è ammassato sul tavolo da pranzo. Hanno anche un TV 32 pollici incastonato sopra al posto dell’autista. Massima stima per il trio.

Hanno anche la piscina

Ma vabbeh, dicevo dei “dintorni”… ed è proprio da lì che iniziamo. Dopo una breve sosta per cercare di sistemare un problemino al camper (addio, pompa dell’acqua) imbocchiamo Larapinta Drive e percorriamo il West MacDonnall Range, un’ampia vallata contornata da speroni rocciosi. Sembra di vedere i segnali di fumo degli indiani sulle creste... La distanza è breve, ma sufficiente per ripiombare nel bel mezzo del nulla, fino alla deviazione per la meta mattutina, il Simpson Gap.

Qui parcheggiamo, interrompendo a quando pare uno scambio di droga e/o armi e/o denaro sporco fra aborigeni dalle facce poco raccomandabili (col senno di poi... stavano sicuramente bevendo birra, la criminalità è una cosa troppo impegnativa). Il gap è una piccola strozzatura fra due montagnone rosse abitate da wallaby dai piedi neri, sul cui fondo permane una piccola pozza d’acqua grazie all’ombra costante. Dal canyon si allontana il letto in secca di un fiume. Tutti i letti dei fiumi sono in secca da queste parti, se vogliamo essere precisi.

Al laghetto del Simpson Gap, scampati alla banda di spacciatori aborigeni

Dopo che Ilaria si è esibita in esercizi di equilibrismo su un albero torniamo al camper e ponderiamo il da farsi: lei è attratta da un posto a una trentina di chilometri, lo Standley Chasm, e il nome sembra promettente (citandola, “pare il nome di una location di Diablo III”).

Nego. Mai detta una cosa del genere.

Proseguiamo verso ovest fino a incrociare il secondo aborigeno operoso incontrato durante il nostro viaggio (la prima è una signora di Alice Springs che ha cercato di venderci una tela dipinta). Questo personaggio ha avuto la bella pensata di far pagare 10 dollari l’accesso a una meraviglia della natura in un paese dove le meraviglie della natura si sprecano e sono tutte gratuite – e noi abbiamo avuto l’ancora più bella pensata di darglieli, questi soldi.

Io voglio precisare che, una volta venuta a sapere del biglietto d’ingresso… io non ci volevo venire, ecco.

Sarà per la carogna di aver “sprecato” 20 dollari (equivalenti a circa 8 lattine di birra, non so se mi spiego!), sarà per il caldo soffocante in mezzo alla gola strettissima, sarà quel che sarà, ma di questo posto io non conservo un gran ricordo. OK, pareti verticali di pietra rossa che ti circondano, ma... dai, chi non si è mai trovato nel mezzo di un canyon rosso scavato dalla furia delle acque in milioni di anni? Roba banale.

Soprattutto nel Red Centre, dove pare non esserci altro.

Ora siamo accaldati, un filo stanchi e sempre con la fissa dei 20 verdoni andati, quindi puntiamo il muso del camper verso est e torniamo ad Alice Springs, dove abbiamo messo in programma una visita alla biblioteca comunale. Pensandoci, queste biblioteche comunali sono un po’ come i porti dove ripararsi dopo la tempesta: luoghi tranquilli, freschi, dove internet è veloce: oasi di pace in un paese difficile.
Se non fosse che lì, ovviamente, il wifi non funziona e quindi l’idea di caricare altre fotografie va a farsi benedire. Ma ho comunque apprezzato la tranquillità e la frescura.

E comunque internet si pagava in quella biblioteca… Che avidità…

Più tardi ci dedichiamo a un bel giro della città, che si rivela priva di qualsiasi attrattiva, allo shopping e alla spesa. 


Le affollate strade del centro di Alice Springs

E poi, visto che c’era il prezzo speciale, torniamo al campeggio della sera precedente, e ci prepariamo per la serata con una poderosa cena, proprio l’ideale nel mezzo del deserto con un caldo che non ti molla un secondo: salsicce e lenticchie in umido, in gran quantità. Bud Spencer e Terence Hill sarebbero stati molto orgogliosi di noi.

Sorprendentemente, la cena leggera non ha conseguenze sul nostro stomaco, e la mattina seguente ci svegliamo freschi e riposati, pronti per avviare di nuovo il camper e intraprendere la tappa che ci condurrà fino ad Ayers Rock. Si punta a sud, si sbaglia strada, si passa accanto ai Flying Doctors all’aeroporto di Alice Springs e poi si ritrova l’ormai famigliare Stuart, mentre Ilaria si mette al lavoro sul blog sul sedile del passeggero.

I chilometri da percorrere non sono molti, circa 440, ma a un centinaio di chilometri da Alice Springs è prevista una deviazione alla Henbury Meteorites Conservation Reserve, vale a dire un posto dove più o meno 4.500 anni fa sono caduti dei grossi sassi dal cielo, creando grande scompiglio e fermento fra le popolazioni aborigene locali (“Hai visto?” “Sì, è caduto qualcosa dal cielo.” “Chissà cos’era.” “Boh. Passami una birra.”).

Come credo di aver già detto il nostro mezzo è coperto da assicurazione soltanto su strade sealed (asfaltate eh, non ricoperte da pelli di foca): per raggiungere questi crateri bisogna però percorrere per 12 km la Ernest Giles Road e poi una stradina laterale per altri 5 km. E la Ernest Giles è una pista in terra rossa battuta larga 30 metri che si addentra dritta nel nulla.

Visto che è dalla prima volta che ho visto una pista del genere che sogno di percorrerla, questa è l’occasione giusta, anche perché non è che sia poi così sconnessa: si procede a 20-30 km/h e il camperino sobbalza un po’, ma per il resto è un’autentica meraviglia, ci si allontana in una pianura sconfinata, delimitata qua e là da costoni rocciosi, senza nulla a ostacolare la vista per centinaia di chilometri.

Zigzagando per evitare qualche buca e sopravvivendo al nuvolone di polvere lasciato dall’unico 4x4 che ci ha superato arriviamo infine ai crateri, dove una volta spento il motore restiamo affascinati. Ci troviamo davvero nel cuore rosso dell’Australia, lontano da ogni cosa. Raggiungiamo il ciglio dei crateri e osserviamo questi buchi causati da meteoriti neanche tanto vecchi, immaginando come deve’essere stato vederli cadere dal cielo. Si gira tutto intorno, sperando magari di vedere qualche animale (secondo i cartelli informativi dovremmo inciampare in bestie di vario tipo a ogni passo, ma devo dire che l’Australia centrale mi è sembrata quasi del tutto priva di forme di vita), sempre correndo con gli occhi a una linea dell’orizzonte lontana lontana.


Terreno sforacchiato

Il tempo passa e il caldo morde, per cui dopo aver raccolto un sasso da portare a casa come ricordo del luogo più isolato dove io mi sia mai trovato torniamo al Toyota Hiace e ripercorriamo al contrario la stupenda distesa rossa della strada, fermandoci per fare una capatina a un piccolo lago situato nel bel mezzo del niente. Quando torniamo sulla Stuart, che lì non è altro che una striscia d’asfalto con 100 km per lato prima di trovare qualcosa di umano, mi sembra di essere in tangenziale, tanto è stridente il contrasto con la terra, i sassi e le corrugazioni di sabbia che abbiamo appena lasciato.

Un’oretta dopo raggiungiamo la Erldunda Station e la sua echidna gigante. Da lì parte la Lasseter Highway che, dopo 240 km circa, ci condurrà a Yulara, il resort base per le visite al parco nazionale di Ayers Rock. In questo tragitto facciamo giusto in tempo a vedere di sfuggita una roadhouse gestita da aborigeni (piena di cartelli ospitali come “Niente benzina” “Niente informazioni” “Questa casa non è un albergo”) e un’altra dove l’ospitalità viene definita “leggendaria” dalla guida. Il tipo è simpatico, ma di leggendario c’è solo il prezzo della birra, 23 dollari per un 6-pack. E il bello (bello?) è che vedremo anche di peggio.

Ora, dato che non l’ha detto ancora nessuno, lo dico io: ma quanto sei fissato con la birra???

Poco più avanti il terreno diventa molto più sabbioso e di un rosso ancora più intenso, offrendoci panorami veramente marziani (d’altronde da queste parti vengono a fare training pure gli astronauti della NASA), mentre sullo sfondo incombe l’imponente Mount Conner, che sembra a portata di mano e invece è almeno a una ventina di chilometri di distanza.

Ilaria apre la filiale marziana di Banca Mediolanum

Un ultimo tratto di strada ed ecco che, in lontananza, compare l’inconfondibile sagoma di Ayers Rock, mentre raggiungiamo il campeggio, situato all’interno del resort. Qui un po’ di gente si incontra, nonostante siamo in bassa stagione – mi immagino durante l’alta stagione sia un bordello, anche se in fondo la roccia viene visitata da circa 400.000 persone l’anno, che non è che sia poi questa grande cifra.

La serata, oltre a un refrigerante bagno in piscina, ci vede impegnati nella preparazione di una spettacolare carbonara (stavolta pure con la pancetta a cubetti!) e nella caccia ai Like su Facebook. La foto della carbonara con Ilaria che sembra sbucare dall’oscurità riscuote grandissimo successo e ho stampata nella mente l’immagine di lei che corre a recuperare le stoviglie – sotto la consueta tempesta serale che ci perseguita – voltandosi verso di me e urlando “Abbiamo un Likeeeee!

Che posso dire…giorni e giorni passati nel deserto mi hanno resa più sensibile anche al minimo contatto umano. Anche tramite Facebook.

Rimane solo il tempo per la visione de "Il buono, il brutto, il cattivo" - quindi parecchio tempo, a ben pensarci. Film grandioso! Ricordatevelo sempre: "Quando si spara, si spara, non si parla."

Vi sfido a contraddirlo

E quando si guida?

440 km


Km totali: 26.059

1 commento:

  1. "Mentre Davide rompeva il campeggio" mi sembra un filo esagerato, io contesto!
    E la frase su Diablo III l'hai detta. Cioè... forse...

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