In teoria il
programma prevede un’intera giornata a Port Augusta e questo comporta il fatto
che la sveglia per Ilaria sia fissata tardi, dove tardi è da intendersi con le
ore 8. Mi
immagino le maledizioni quando apro la porta del camper per avvisarla che è ora
di svegliarsi (io, naturalmente, sono in piedi almeno dalle 6).
Dal momento che vogliamo prendercela comoda, la prima tappa è la biblioteca
cittadina, dove si naviga un po’ su Internet: poco però, perché c’è il limite
dei 50 MB, così non riesco neppure a caricare qualche fotografia. Quando ci
decidiamo a muovere qualche passo per la cittadina, ormai è quasi mezzogiorno.
Veduta omnicomprensiva di Port Augusta |
Port Augusta
si rivela carina, pulita, con delle belle casette, tanti parchetti e soprattutto
il mare, che non fa mai male. Approfittando di una mappa super-dettagliata mi
improvviso guida turistica e conduco Ilaria nella carrellata degli edifici
storici della città. Che, per inciso, comprendono anche la macelleria, il cui
ingresso è sovrastato dalla testa di un toro macellato nel 1927. Provano a
venderci dei materassi per strada, facciamo un po’ di palestra all’aperto e
seguiamo una coppietta aborigena fan degli AC/DC. E questo è quanto, alle 14
scarse ci troviamo ad aver esaurito qualsiasi cosa si possa fare da queste
parti, per cui prendiamo la decisione di iniziare il viaggio verso Adelaide, in
modo da avere una tappa più corta il giorno seguente.
L’idea
sarebbe quella di procedere lungo la costa, ma ben presto Ilaria chiude gli
occhi sul sedile del passeggero. Quindi decido di prendere la strada interna, allontanandomi
dalla costa, e inizio ad accarezzare l’idea di puntare direttamente verso l’imbarco
per Kangaroo Island, 450 km
più a sud.
Ma non ho capito, approfitti dei miei
momenti di assenza per stravolgere i programmi di viaggio?
Quando la mia
navigatrice si sveglia, siamo già a un centinaio di km da Adelaide e procediamo
spediti, quindi decidiamo di prenotare il traghetto per
l’isola. E qui inizia l’avventura, perché la linea cade, ricade, riricade,
ririricade. Jacintha, la tizia del servizio clienti, diventa in pochi minuti la
donna alla quale ho fatto più telefonate in tutta la mia vita. E, by the way,
alla fine mi hanno fatto due
prenotazioni, una a nome di Davide Solditi e Rlaia Sufè. No, dico: Rlaia Sufè.
Potrei riempirci un elenco del
telefono con tutte le nuove versioni del mio nome. Ma questa le batte tutte.
Attraversiamo
Adelaide nell’ora di punta, senza mai perderci una sola volta. Dovremmo provare
a fare qualche rally, andremmo alla grande! E subito dopo il panorama si
trasforma e pare di stare in Italia, fra vigneti, dolci colline, fattorie e
cavalli. Poi però dai prati spuntano le testoline dei canguri, a decine,
ovunque, e capisci che sei ancora in Australia. Ci troviamo nella penisola di
Fleurie, in un paesaggio davvero stupendo, mentre la distanza da Cape Jervis e
dal traghetto si accorcia. Visto che l’imbarco è la mattina seguente, però,
decido di buttarmi in una stradina laterale verso Rapid Bay, per
passare la notte da qualche parte vicino al mare.
E faccio
centro, perché finiamo in un campground dove parcheggio a una decina di metri
dall’oceano (e a oltre cento metri dai bagni, con grande disappunto di Ilaria).
Arriva subito un vecchietto a riscuotere i 12 dollari per la nottata e poi ci
chiudiamo dentro: fa freddo, tira vento e piove. Però soffritto, pasta al sugo
e poi qualche bicchiere di goon fanno in modo che all’intero del camperino si
stia molto bene, fino alla conclusione della serata. Povero Dottor Horrible...
E voglio aggiungere: niente docce né
elettricità. Poveri noi…
Ma devo ammettere che tutto ciò ha un suo fascino |
E che
spettacolo la mattina seguente! Tiro la tenda e guardo direttamente le onde,
esco e posso camminare sulla spiaggia deserta, quando ancora sta sorgendo il sole.
Una di quelle cose che non ti dimentichi più, insomma. Un po’ come tutta questa
vacanza.
Un paio d’ore
dopo, alle 10, siamo pronti a salpare le ancore: pronti via e si balla, le onde
sono molto alte e mi vedo costretto a rinunciare al proposito di restare
all’aperto, aggrappato alle balaustre come un lupo di mare, visto che il vento minaccia di sollevarmi di peso. Insomma: poltrona in prima fila e si guarda il mare per 45 minuti dal finestrone della nave.
Siamo così
a Kangaroo Island, l’ultima grande tappa del mio tour australiano.
Appena si sbarca si parte filati per la prima destinazione, Seal Bay, ché non
c’è tempo da perdere – questi ultimi giorni stanno scivolando sempre più nel
turboturismo! Per fortuna le distanze su Kangaroo Island sono piuttosto brevi,
così non ci vuole molto e il trasferimento scorre via senza nulla da segnalare
se non un serpente probabilmente finito sotto la macchina (che dire... sembrava
un bastone, se ne stava lì dritto senza muoversi, ‘sto pirla). A proposito di incidenti,
ma gli australiani non potrebbero spostare le carcasse degli animali che tirano
sotto? Almeno quelle di peso superiore ai 30 kg che restano in mezzo alla strada, su...
sembra di guidare nel mezzo di un cimitero di creature pelose!
Iniziamo con
un lungo giro sul boardwalk che sovrasta la costa, alta, spoglia e battuta da
un vento freddo: a entrambi sembra di essere tornati indietro di tre anni e di
trovarci a camminare sul margine delle scogliere del Donegal, nella lontana
Irlanda. Sotto di noi, in lontananza, vediamo i primi leoni marini e lo
scheletro di una megattera che è venuta qui a morire. Poi rientriamo al centro
visitatori, dove l’addetta alla biglietteria è un’asiatica australiana che 20
anni fa ha vissuto a Cerchiate di Pero (posto che esista un posto dal nome
simile) e parla ancora molto bene la nostra lingua. Della serie, piccolo il
mondo, eh! Sborsiamo il dovuto e ci spostiamo sulla spiaggia
in compagnia della nostra guida, Don, un simpatico signore sulla sessantina (che
sembra essere alticcio), di poche altre persone e di un sacco di leoni marini,
animali teneroni e pigri. A loro difesa, voglio specificare che trascorrono tre
giorni a caccia in mare aperto, senza mai dormire, prima di tornare a spiaggiarsi
per altrettanti giorni – diciamo che la loro pigrizia è più che giustificata,
insomma!
Uno degli esemplari più vispi |
Fra
cuccioletti pacioccosi, femmine aggraziate, maschi immaturi e ciccioni
dominanti (devono mettere su grasso: quando arriva il momento di lottare per
l’accoppiamento non mangiano per sei settimane. E la femmina “ci sta” per una
sola giornata. Ogni anno e mezzo. Scusate, lo ripeto: un giorno ogni anno e
mezzo.) trascorriamo un’oretta veramente piacevole, prima di spostarci al Little
Sahara, vale a dire quattro grosse dune di sabbia capitate chissà come nel
mezzo del bush dell’isola, tutte da scalare mentre attorno a noi sfrecciano i sandboarder.
Il vento solleva un sacco di sabbia, che sicuramente ritroveremo ovunque nel
corso delle prossime 3-4 settimane.
Dall'Irlanda al Sahara! |
Dopo questa
passeggiata scalzi fra le dune procediamo ancora, fino a raggiungere le Kelly
Caves, dove riusciamo a prenotare l’ultima visita della giornata. Facciamo un
giretto e poi aspettiamo all’ingresso delle grotte, per renderci conto che il
gruppo è costituito soltanto da me e da Ilaria e che la nostra guida sarà il
simpatico nerd che ci aveva staccato i biglietti un’oretta prima. Si apre la
porta, si scende una scala dalla pendenza improbabile e ci si tuffa nelle
viscere della terra.
Sinceramente
in vita mia ho visto grotte molto più grandi e belle di queste. Anzi, credo che queste siano le grotte più miserine che io
abbia mai visitato: ma è stata senza ombra di dubbio una delle visite più interessanti! Siamo solo in due e la nostra guida
dopo un iniziale imbarazzo (è pur sempre un nerd) e alcune improbabili pose
esplicative inizia a sciogliersi e a raccontarci tutti i segreti delle sue
caverne. In quaranta minuti ci parla della loro storia, di turisti smarriti, di
ragni sfigati che entrano credendo di trovare chissà che e finiscono per morire
di fame. Poi spegne tutte le luci tranne una piccolissima candela e ci fa
vedere come si esplorava ai tempi dei primi visitatori (un ambiente molto
romantico, ma scommetto che loro non ci badavano), poi spegne anche la candela per
farci capire cosa si prova quando ci si perde e tutte le fonti di luce si
esauriscono. Credo che potrei impazzire nel giro di 30 secondi in quel buio
totale!
Ma dobbiamo scendere là sotto? |
Molto interessante
davvero, ma ormai sono le 5, la sua giornata lavorativa è finita e, in un certo
senso, è finita anche la nostra. Niente più visite per oggi, si punta in
direzione di Kingscote, la “capitale” dell’isola. Ilaria recupera le fatiche
delle visite dormendo lungo il tragitto e in un’oretta circa raggiungiamo il
campeggio dal quale sto scrivendo in questo istante.
Chi non mi conosce deve pensare che io sia affetta da narcolessia.
La serata si conclude con salsicce di dubbia qualità, ancora tanto vino rosso, un po' di risate e parecchia stanchezza, al punto che finiamo per spegnere presto la luce.
Buonanotte!
Però abbiamo camminato tanto, oggi...
522 km |
Km totali percorsi: 27.870. E abbiamo pure preso il traghetto.