lunedì 25 marzo 2013

Meglio tardi che mai



Tanti mi hanno chiesto com’è il Natale in estate. E anche se ormai siamo praticamente in autunno (o in primavera, dipende dai punti di vista), vorrei spendere due parole per raccontarvi come ho passato le feste.

Dopo il matrimonio parto per Brisbane, per trascorrere il Natale con Max e Karen. Disgraziatamente, non posso andare immediatamente dai miei amici perché in questi giorni sono impegnati con lavori di ristrutturazione in casa, quindi mi tocca cercarmi un ostello. E dove sta il problema? Hai girato per ostelli da quando sei arrivata! Beh, uno può anche essere stufo di condividere camera e bagno con degli estranei, no? Comunque la disgrazia non è questa. La disgrazia è che, nel tentativo di trovare un buon compromesso fra posizione e prezzo, ho tragicamente tralasciato l’aspetto igiene. Scelgo quindi tale ostello, che chiamerò The Hostel (sì, come quello del film dell’orrore), ignorando le recensioni negative che parlano di bed bugs. “Cimici nel letto, mi pare esagerato!” penso. E questo è stato il momento esatto in cui me la sono gufata. Arrivo a The Hostel, che si trova in un quartiere chiamato Fortitude Valley, appena fuori dal centro. 

Qui non può finire bene
Questo posto ha uno stile un po’ rétro, con un sacco di vecchie fotografie appese alle pareti e mobili e oggetti che dimostrano una certa età. Ahimè, non mi ci vuole molto per scoprire che non si tratta di una scelta stilistica, l’intera struttura ha visto giorni migliori. Molto, molto tempo fa. Questo posto è vecchio e marcio dal soffitto alla cantina. La mia camera, da quattro persone, è piccola e tremendamente calda, e io sono finita in cima a un letto a castello sprovvisto di scaletta. Le lenzuola non sembrano proprio fresche di bucato, ma quando esprimo perplessità alla receptionist, lei mi assicura che sono pulite. E vabbeh. Sono stanchissima, le tre settimane in viaggio continuano a farsi sentire. Penso che mi metterò a dormire seduta stante. Mi sveglio giusto per una doccia. In un bagno unisex piccolo, sporco, di quelli da cui rischi di uscire più sudicio di come sei entrato. Ma per fortuna non ci sono animali in giro. No, quelli sono in camera. Ecco cosa scopro con enorme disappunto durante la notte: un esercito di zanzare mi attacca nel sonno senza darmi tregua, io continuo a girarmi e grattarmi come se fossi posseduta. La mattina seguente faccio la conta dei danni, decine di punture su gambe e braccia, perfettamente allineate lungo gli arti. Ma è solo alla fine della giornata (giornata trascorsa a grattarmi fin quasi a sanguinare) che, poco prima di andare a letto, una delle mie compagne di stanza mi apre gli occhi: “Quelle non sono punture di zanzara, sono bed bugs.” 

!

!!
 
!!!

No ma che schifo!!! Ma ti pare? Prima di andare a letto questa volta mi cospargo di repellente, ma il pensiero di condividere il letto con delle bestie non mi fa dormire sonni tranquilli. La mattina dopo preparo i bagagli – ora Max e Karen sono pronti ad accogliermi – e faccio un salto in farmacia, dove la gentile signora al bancone mi conferma la diagnosi. Al che mi presento alla reception e avanzo le mie lamentele: “Posso avere un rimborso?” “Uhm, ti faccio sapere.” Dopo qualche telefonata: “Ti rimborsiamo una notte.” (20 $) “Ehi, ho speso 30 $ in farmacia!” Fra una mugugna e l’altra, il tipo mi concede il rimborso di entrambe le notti, non prima di chiedermi: “Ma se ti è successo la prima notte, perché non l’hai detto subito? Avremmo chiuso la stanza.” Sicuro!! “Perché pensavo che fossero zanzare!” “E chi ti ha detto che erano bed bugs?” “Una delle ragazze in camera con me.” “Quale ragazza?” Abbello, sgancia i soldi e non rompere! E finalmente me ne posso andare dall’ostello dell’orrore. Sempre grattandomi.

E finalmente riabbraccio la mia famiglia australiana! Quando arrivo, Max è impegnato negli ultimi ritocchi al nuovo bagno, mentre Karen è al lavoro. Oggi è il suo ultimo giorno di lavoro prima delle vacanze di Natale – che qui coincidono con la fine dell’anno scolastico. Max mi mostra la stanza, che non è più la stessa dell’altra volta, ma è il suo studio, perché la camera da letto sarà occupata da Rachel, la figlia minore della coppia, che torna a casa da Londra dopo aver passato tre anni in Inghilterra. Grande festa, insomma! Mi sistemo nella stanza, e come prima cosa abbraccio il mio amico: che bello essere di nuovo qui! Dopodiché ci mettiamo al lavoro, e lo aiuto a pulire il nuovo bagno. Abbiamo da poco finito quando Karen fa il suo ingresso in casa, e finalmente ritrovo anche la mia carissima amica. Passiamo le ore seguenti e la cena ad aggiornarci su tutto quello che è successo da quando sono partita, quattro mesi fa. È bello ritrovare questo senso di familiarità, mi sembra di essere a casa. Io e Karen sul divano a bere un aperitivo, Max in poltrona ad armeggiare con l’iPad, finché non si trasferisce in cucina e inizia a preparare la cena. Molly è sempre sdraiata nei punti più diversi della casa a sonnecchiare, Mefi ha trovato un nuovo giaciglio all’interno di un vecchio cassetto e Fluffy non è più scappata di casa. 

Dopo cena Karen mi propone un giretto: “C’è una casa del quartiere che è stata decorata con delle fantastiche luci di Natale. Hanno messo su un tale spettacolo che tutte le sere hanno 10.000 visitatori!” Ora, dovete sapere che in Australia hanno il pallino delle luci di Natale, e detto così non sembra niente di particolare. Io stessa non pensavo fosse niente di particolare: in casa mia facciamo il presepe, il concetto è lo stesso, no? No. Qui fanno delle vere e proprie competizioni di quartiere, spendono centinaia (o forse migliaia?) di dollari a notte per la corrente elettrica, passano mesi e mesi a pensare e organizzare e addobbare le loro residenze con le trovate più incredibili. Pare che queste persone in particolare abbiano addirittura un dinosauro in giardino. Per tutto il viaggio di andata sono comunque piuttosto perplessa. Chiaramente, non so cosa mi aspetta. Ci perdiamo un paio di volte fra le colline buie dei sobborghi, e Karen continua a ripetere: “Ma no, non può essere qui, non c’è nessuno…” E infatti quando prendiamo l’uscita corretta della rotonda, il traffico inizia ad aumentare. Code per infilarsi in una via laterale piuttosto defilata. Due autobus di linea parcheggiati uno dietro l’altro. Un furgoncino dei gelati! E un mucchio di gente. Ok, siamo arrivate. Parcheggiamo sulla strada principale e percorriamo 200 metri verso quella che ovviamente è la star della via. E a parte raccontarvi della folla da sagra di paese, non posso fare molto altro per farvi capire lo spettacolo.


Gli alberi lungo il marciapiede sono pieni di luci, come se avessero appeso una lampadina al più piccolo dei rametti; gli altoparlanti sparano incessantemente canzoni natalizie, ma c’è anche un piccolo coro di elfi di Babbo Natale che offre un concerto live. Sono lì, proprio di fronte a una cucina da festa campestre, hot dog e soft drink a 3 $. Immediatamente sulla destra, appena superato il cancello d’ingresso, c’è un’esposizione di carillon a tema ovviamente natalizio (che vuol dire tutti pieni di neve, anche se qui la neve nessuno l’ha mai vista) e un trenino elettrico che viaggia in un paesaggio ugualmente innevato. Orsi polari musicisti, Babbi Natale di ogni foggia e dimensione, elfi, renne… I miei occhi luccicano dall’entusiasmo, il sorriso va da un orecchio all’altro. È tutto molto esagerato, kitsch, certo, ma da qualche parte qui in fondo c’è una bambina tutta emozionata per queste luci colorate, per le canzoni che le ricordano le feste, per tutti gli altri bambini emozionati e stupefatti come lei. Con Karen si fa a gara a chi vede la decorazione più incredibile. Oh, finalmente spunta anche un presepe. Qui mettono tutti insieme, oltre ai classici Madonna, San Giuseppe, Gesù Bambino, bue e asinello, sono già arrivati anche i Re Magi. 


E da qualche parte c’è pure un Buddha e una qualche divinità indiana. Un giardino davvero ecumenico! E laggiù, fra le palme di Natale, spunta anche il famoso rettilone, un brontosauro di 5-6 metri con l’immancabile cappello a tema. 


Ecco, abbiamo visto tutto, ma proprio tutto. È ora di cercare l’uscita dal paese delle fate. Arriviamo al cancello, e vediamo un manifesto che non avevamo notato all’entrata: queste decorazioni di Natale hanno vinto la competizione di quest’anno, e il premio è un viaggio in Europa! Certo, con quello che devono aver speso per mettere su lo spettacolo, se ne facevano tanti di viaggi in Europa… ma dev’essere un bel vanto nei confronti di tutti i vicini di casa. Per esempio del dirimpettaio, che poveretto ha optato per delle più sobrie luci dorate per illuminare gli alberi e il vialetto d’ingresso. 


Evidentemente il pubblico e la giuria preferiscono le stravaganze.
Rientrando a casa, io e Karen non la finiamo più con i commenti, ma la serata non è ancora conclusa. Esattamente davanti al cancello di ingresso c’è un ospite inatteso: il serpente più grande che io abbia mai visto. Non ne ho visti tanti in vita mia, d’accordo, ma questo è proprio grande! E pensare che ho appena visitato un parco naturale grande come il Piemonte famoso per le sue foreste e la sua fauna! Dove ho visto solo un serpentello striminzito… Questo esce da un giardino, si mostra in tutta la sua lunghezza (3 metri), attraversa la strada, per poco non si fa investire, tira su la testa ed entra nel giardino di fronte. 


Come se niente fosse. Anche Max è uscito a vedere, e mi assicura che si tratta di un serpente innocuo. Sarà, ma io preferisco non rischiare, e prima di andare a dormire chiudo ben bene le finestre.

Eventi salienti da qui a Natale? La corsa notturna al pronto soccorso. Il giorno dopo il mio arrivo, Karen osserva meglio le mie punture. Io minimizzo, sta passando. Ma non ci credo molto neanche io. È solo dopo cena che Karen si mostra davvero molto preoccupata e decide di andare a prendere qualcosa in farmacia. Anzi, ancora meglio: mi porta al centro medico accanto alla farmacia, aperto fino a tardi. Mentre siamo in sala d’attesa (un luogo dall’atmosfera incredibilmente tranquilla, se paragonato alla controparte italiana), io non so se ridere o piangere. Mi pare assurdo essere finita in questa situazione, sostanzialmente al pronto soccorso causa pulci, dopo che in Irlanda ho scampato il rischio meningite. Dopo una breve attesa la dottoressa mi chiama – naturalmente storpiando il nome – e per fortuna mi dà buone notizie: è escluso che quelle cosacce siano ancora su di me o sui miei vestiti, semplicemente la cosa sta avendo il suo decorso, e in un paio di giorni passerà tutto. Intanto mi prescrive steroidi, cortisone e antibiotici. E una parcella da 80 $, che dovrebbe essere rimborsata almeno per la metà. Ma chissenefrega dei soldi, sono troppo contenta di non essere appestata!

E arriviamo quindi alla vigilia di Natale. I preparativi fervono, mobili e sedie vengono spostati da un angolo all’altro per le pulizie, carta e nastri per impacchettare i regali sono da tutte le parti, Max maneggia due giganteschi tacchini.

Piatto tradizionale del Natale australiano
Poco prima di pranzo arriva Zack, un ragazzo neozelandese, figlio di amici di famiglia, che ha deciso di trascorrere le vacanze estive in Australia, lavorando in giro per fattorie. Un altro esule adottato da Max e Karen per le feste di Natale. Zack viene immediatamente assoldato da Max per virili lavori in cortile, mentre io e Karen prepariamo uno striscione di benvenuto per Rachel, che arriverà fra poche ore. Per cena Max prepara un risotto ai frutti di mare, quindi gli ansiosi genitori lasciano me e Zack a occuparci dei piatti mentre loro vanno in aeroporto ad accogliere Rachel. Noi ne approfittiamo per impacchettare i loro regali, e facciamo appena in tempo a nascondere la carta che i nostri ospiti fanno il loro ingresso in casa con la figliola prodiga. Tutti hanno un’espressione raggiante, soprattutto Karen; Rachel è stravolta dal viaggio, ma è troppo su di giri e sballata dal fuso orario per stare quieta, racconta del viaggio, degli ultimi giorni a Londra, del cambio di clima, dei progetti futuri… Mi sa che siamo più stanchi noialtri! E senza aspettare la mezzanotte, infine andiamo a dormire. I regali li apriremo domani.

Il Natale quando arriva, arriva. Anche a marzo.

Un panettone! Max e Karen mi hanno regalato un panettone!! Che meraviglia… E poi quelli che definiscono “silly gifts”, che però non sono mica tanto silly: fra le altre cose, una torcia a dinamo, un piatto a tema natalizio, calze a righe bianche e rosse, fazzoletti di carta (che qui hanno prezzi esorbitanti e trovi esclusivamente in pacchetti singoli), soldini di cioccolato! Ma meglio indugiare dopo sui regali, adesso c’è da preparare la tavola! I convitati sono otto: il primo ad arrivare è Peter, l’inquilino che vive nell’appartamento nel basement. Peter è un amico di vecchia data, un imbianchino con il sogno di recitare. Dopo 10 minuti di chiacchiere intorno al tavolino degli aperitivi, scopro che è daltonico. “Scusa, e fai l’imbianchino?” “Sì. È stata un’idea di mia madre, per superare il daltonismo. E le vertigini.” Ecco che vuol dire sfidare il destino. Arrivano poi la sorella di Karen, Susan, con un’amica, Lizzie. Susan è estremamente amichevole, ama viaggiare e chiacchiera volentieri, e cerca subito di mettermi a mio agio in questa riunione di famiglia. Due parole su Lizzie: se ho capito bene la sua storia, qualche anno fa le fu diagnosticato un tumore e le dissero che aveva pochi mesi di vita. Decise quindi di vendere la casa in cui viveva e godersi i soldi, ma sul contratto di vendita era specificato che il nuovo acquirente sarebbe entrato in casa solo alla sua morte. Ora, lei è ancora qui. Ancora in quella casa. E oggi passa il Natale con noi. Non è un bel modo per trascorrere questa giornata? Un gruppo di persone che si incontrano, che ritornano, che si ritrovano tutte intorno al tavolo, a condividere il gigantesco tacchino di Max. E, per finire la giornata, un tuffo in piscina. Davvero un caldo Natale.

lunedì 18 marzo 2013

Matrimonio all'australiana

È mattina presto, ancora buio, quando mi sveglio per salutare Davide. Sono un po’ assonnata, e soprattutto sono negata per i saluti, ho sempre una gran fretta di concludere. Ecco la fine di 3 settimane intense e ricche di esperienze! Rivedrò il mio amico fra un numero imprecisato di mesi. Gli lascio un po’ di zavorra da riportare in Italia, e soprattutto saluti e affetto per tutti gli amici che mi aspettano a casa.

E dopo pochi minuti sono di nuovo da sola. Sono le 5 del mattino, devo liberare la stanza alle 10, quindi direi che posso prendermi ancora qualche ora di sonno. Però non è facile, un po’ per la malinconia dell’addio, un po’ per il pensiero della valigia da sistemare per l’ennesima volta, infine per la nuova incognita alle porte: chi saranno i miei nuovi ospiti? Max, quando ha saputo che il mio viaggio con Davide avrebbe avuto come meta finale Adelaide, mi ha raccomandato di fargli sapere quando sarei arrivata nella capitale del South Australia, perché lì ha degli amici che avrebbero potuto ospitarmi. Quindi alle 10, con tutti i miei averi miracolosamente impacchettati, mi reco alla reception per il check out e attendo l’arrivo di Andrew e Wendy, che si presentano venti minuti dopo. Una coppia molto cordiale, sulla cinquantina, che vive in un sobborgo sulle colline, in una casa circondata dal bush. Starò da loro qualche giorno, prima di partire un’altra volta. Non appena arriviamo a casa, mi mettono in guardia: “Occhio ai serpenti.” “Ce ne sono molti?” “Un po’, ma niente di cui preoccuparsi.” “Velenosi?” “Sì, ma niente di cui preoccuparsi.” Mi sembrano affermazioni discordanti. “Ora andiamo a portare a spasso il cane, se ti va puoi venire anche tu! Faremo un po’ di koala sighting!” “Ma se devo guardare in alto per avvistare i koala, come faccio a vedere i serpenti…?” Fortunatamente la mia apprensione si rivela infondata, e alla fine del velocissimo giro (non perché sia breve, ma perché Andrew e Wendy sono camminatori rapidissimi! Da mettere in imbarazzo la mia andatura da pendolare) i koala vincono contro i serpenti per 23 a 0. Se penso che a Kangaroo Island ho pagato per vedere 4 striminziti esemplari…


A parte questa avventura nel bush, passo il resto del tempo a ciondolare per la casa, con due eccezioni: il giro in città per fare gli acquisti di Natale e darmi una sistemata dopo le 3 settimane on the road (specie in vista del prossimo evento mondano), e il concerto di Natale organizzato dalla parrocchia frequentata da Wendy. Un concerto particolare: si tratta del Messia di Haendel (quello di Aaaalleluia!Aaaalleluia! Alleluia! Alleluia! Allee-luia!) eseguito da coro, solisti e pubblico! All’ingresso si ritira il libretto, si viene indirizzati dalla direttrice del coro a destra o sinistra, a seconda di quello che ti senti di essere, e poi si canta tutti insieme. Jesus Christ Sing Along. Io mi sono limitata ad ascoltare, ma è stata un’esperienza interessante. Non mi sono neanche addormentata. E nell’intervallo ci è stato offerto il rinfresco!
Per il resto, non ho molto altro da dire su Adelaide. Non sembra una brutta città, circondata com’è da un parco gigantesco e da belle colline coperte di vigneti. Ma ero davvero troppo stanca per godermela, quindi mi riservo il diritto di ritornarci in futuro. Adesso, come dicevo, si riparte: c’è da prendere l’aereo che mi riporterà a Brisbane. Tuttavia la mia prossima tappa non è nel Queensland, bensì qualche chilometro più a sud: si ritorna a Byron Bay! E perché ritorni a Byron Bay? Per il matrimonio di Bellapasta e Night Watcher!

Ve li ricordate, vero? Il mio primo weekend australiano! Allora mi annunciarono la decisione di convolare a nozze proprio in quel luogo, con una cerimonia sulla spiaggia, e mi invitarono alla cerimonia. Per l’occasione mi sono fatta mandare dall’Italia mezzo corriere – Davide – non uno ma tre abiti, e le mie scarpe rosse tacco 25. Io arrivo la sera prima del matrimonio, giusto in tempo per l’addio al nubilato. Mi reco all’ormai familiare YHA, dove gli sposi hanno prenotato la camerata per gli invitati, ed ecco i miei amici! Che bello vederli di nuovo, soprattutto in una simile occasione. Faccio inoltre la conoscenza di due invitati giunti apposta dall’Italia, Paola e Alessio il quale, per il potere conferito dalla più stretta necessità, è stato dichiarato padre della sposa. L’atmosfera è un po’ agitata, e non nel senso più comune del giorno che precede un grande evento: pare infatti che la spiaggia prescelta per la cerimonia sia… scomparsa. Mangiata dalle onde. Bisogna individuare una nuova location. Bellapasta nel frattempo deve ancora scegliere cosa indossare, se andare sul classico abito bianco o se optare per un azzurro mare. La sposa però sembra la più tranquilla di tutti. Io stessa devo ancora decidere cosa mettermi, e sembro più agitata di lei! 

Opzione #1


Opzione #2
Intanto gli invitati si palesano alla spicciolata: Dominik, il pilota, che ovviamente sarà l’autista della sposa, Silvia, una delle testimoni, che ho mancato per un soffio a Cairns, e infine anche la mia amica “toccata-e-fuga” Luciana! Come promesso a Cairns, ci rivediamo esattamente un mese dopo l’eclissi. Lei sarà l’altra testimone: con Silvia ha avuto la pazienza e la fortuna di trovare due abiti identici. Va’ come stanno bene!


L’addio al nubilato scorre in maniera molto sobria: kebab, acquazzone e birra. Siamo tutte stanche, all’1 siamo già a letto. Mi è giunta voce che l’addio al celibato abbia preso tutta un’altra piega…

Ed è la mattina del grande giorno. Il mio pensiero fisso fin dal risveglio è che devo stirarmi l’abito. Alla fine ho scelto il più sbarazzino, eccomi.


La cerimonia è alle 12, in teoria c’è tutto il tempo per prepararsi. Dobbiamo andare a fare la spesa, comprare le ultime cose per il pranzo di nozze, che sarà un barbecue sulla spiaggia. Io, Paola e Alessio ci incarichiamo degli acquisti. Mentre siamo al supermercato, Paola ha una grande idea: “La sposa ha il bouquet dei cinesi… perché non gliene prepariamo uno noi?” ed è venuto fuori un LA-VO-RO-NE! La lotta per accaparrarselo sarà senza esclusione di colpi! Alle 11 lo sposo parte per la spiaggia insieme agli amici per andare a preparare la location e per incontrare la celebrante. Poco dopo però arriva una telefonata angosciante da parte dello sposo: “È sparita la spiaggia!” “DI NUOVO???” E, all’ultimo minuto, tocca scegliere un nuovo punto per la cerimonia. In tutto questo, la sposa è rimasta serafica. La più serena di tutti. Ha infine scelto il vestito, è andata sulla tradizione. Mentre dà tranquille direttive, Luciana e Silvia le sistemano l’acconciatura. Nel frattempo arriva l’ultima invitata, Genny da Brisbane, e insieme io e lei ci facciamo dare un passaggio in spiaggia da Dominik.

Lo spettacolo è stupendo: due bandiere bianche segnalano l’inizio della “navata”, tracciata sulla sabbia con delle pietre. Da un lato Alberto, l’invitato addetto alla colonna sonora, traffica con l’impianto audio; dall’altro lato è stato sistemato un tavolino con il registro da compilare alla fine della cerimonia. Il percorso termina in un cerchio, dove prenderanno posto gli sposi e la celebrante.

E c'è anche la tavola da surf
Gli invitati, in tutto una quindicina di persone provenienti letteralmente da ogni parte del mondo (io sono l’australiana che ha fatto più chilometri per essere qui), ingannano l’attesa chiacchierando e chiedendo gentilmente ai bagnanti intorno di levarsi dal campo della macchina fotografica. Lo sposo, il più agitato di tutti, discute con la celebrante, quarantenne rampante che pare uscita da Dynasty. A un certo punto, tutti gli invitati si mettono a lanciare grida d’entusiasmo e a indicare un punto nell’oceano: delfini! Quattro delfini che giocano e saltano fra le onde! Peccato non abbiano aspettato ancora un po’, sarebbe stato un effetto speciale meraviglioso. Poco dopo, non paga dello spettacolo che ci ha già offerto, la giornata ci manda un aereo che solca il cielo in stile Frecce Tricolore. Ok, ora manca solo la sposa. Che giunge preceduta dalle sue testimoni, recanti le ampolle per la cerimonia della sabbia che concluderà il matrimonio. Alberto fa quindi partire la musica, e la sposa scende in spiaggia accompagnata da papà.



Ora, io ai matrimoni piango. Sempre. In genere all’inizio, quando arriva la sposa. Al matrimonio della mia amica Francesca, sono crollata quando lo sposo ha cambiato la formula di rito e l’ha resa un po’ più speciale. Al matrimonio di mia sorella è stato tutto così veloce che non ho fatto neanche in tempo a piangere, ma ci ho provato. Qui ho pianto dall’inizio alla fine. Dalla sposa che passa fra le bandiere mosse dal vento sulle note di One Love (ottima scelta, Night Watcher!), al saluto di papi agli sposi, alle parole della celebrante. Attimo di pausa, vedi lo sposo che piange anche lui, vedi gli invitati che piangono tutti, e giù di nuovo a piangere. Gli anelli! Oddio dove sono gli anelli, che dovrebbero essere nelle mani di Silvia? Grazie al cielo gli anelli in qualche maniera saltano fuori, e la cerimonia richiede che tutti gli invitati li ricevano e li consegnino infine a Luciana, che al momento giusto li darà agli sposi. Qualcuno (ehm…) cita addirittura uno dei 7.000 matrimoni di Beautiful, quello in cui Brooke arriva a cavallo sulla spiaggia per sposare – di nuovo – Ridge. E poi il momento dei voti. Il momento in cui pure la sposa cede e versa una lacrima. Il pubblico si scioglie. Mi commuovo ancora solo a scrivere. E finalmente sposi.



Applausi, musica, baci e abbracci. E, con un tempismo perfetto, di nuovo l’aereo! Quindi ci si sposta tutti verso il tavolino, dove con orrore scopriamo che il certificato riporta i nomi pieni di errori di ortografia. E pensare che il giorno prima la celebrante aveva chiamato Bellapasta per farsi ripetere nomi e cognomi corretti… Vabbeh, non sarà questo a rovinarci la giornata! C’è ancora la cerimonia della sabbia da eseguire. Silvia e Luciana consegnano le loro ampolle agli sposi, piene di sabbia azzurra e rosa, e insieme marito e moglie le vuotano in un vaso più grande, a forma di cuore. Poi tutti i partecipanti sono invitati a prendere un po’ di sabbia da terra e versarla nel cuore. Infine, la celebrante festeggia gli sposi con una bottiglia di champagne.

Ma sto fotobomber?
E che la festa abbia inizio! Ancora foto sulla spiaggia, qualcuno entra in acqua, e… oh! E il lancio del bouquet? Tutte in fila dietro la sposa, con la componente non italiana del gruppo particolarmente agguerrita, mentre noi si nicchia ai margini. Parte il bouquet, partono gomitate e spintoni...



e il premio se lo aggiudica una ragazza inglese di cui ahimè non so il nome. So che si era offerta di suonare l’ukulele durante la festa, ma credo che la gioia del bouquet le abbia fatto dimenticare l’impegno preso. È giunta l’ora di spostarsi nella zona barbecue, 10 metri più in su. Zona particolarmente affollata, data l’ora, ma in un modo o nell’altro ricaviamo lo spazio necessario per le nostre salsicce, consumate nel giardinetto lì vicino. Una grigliata proprio come si deve! Peccato che l’alcol vada consumato un po’ in sordina… Un amico della coppia, un tipo tedesco di cui ahimè non so il nome, si presenta alla fine della cerimonia con due involti di carta stagnola che hanno tutta l’aria di essere dei kebab. E invece sono birre, doni per gli sposi! Svaccata nell’erba con panino e patatine, penso che si tratta del pranzo di nozze più rilassato cui abbia mai preso parte. Anzi, tutto il matrimonio è il matrimonio più rilassato, incredibile e indimenticabile (con l’eccezione di quello di una certa parente stretta) cui abbia mai preso parte. Un raduno di amici che, così lontani da casa, rappresentano gli uni per gli altri la famiglia che sta a migliaia di chilometri di distanza. Un momento di vera gioia nel ritrovarsi e nel celebrare insieme la felicità di Bellapasta e Night Watcher.
Ma purtroppo anche le cose belle finiscono, spesso molto prima di quelle brutte. Alcuni invitati già si ritirano a metà pomeriggio, qualcuno neanche fa in tempo a mangiare il dolce, un buonissimo tiramisù proveniente da una pasticceria francese di Byron.

La torta nuziale

Silvia e Paola, coraggiose, vanno a fare il bagno, ma il tempo, così clemente durante la mattinata, inizia a fare i capricci. Piove per 10 minuti e tira un vento freddo. L’unico riparo che abbiamo sono gli asciugamani che abbiamo portato come tovaglie. È proprio ora di tornare in ostello. Dove, nella migliore tradizione italiana delle giornate dei pranzi luculliani, qualcuno chiede: “E per cena che facciamo?” “Ma che, sei matto, vuoi mangiare ancora?” “Potremmo prendere una pizza…” “Beh, perché no…” e la combriccola finisce la giornata nella maniera più italiana possibile, come un sabato sera casalingo: pizza e coca cola. Poco importa se qui la pizza è coperta di pollo e ananas…
E il giorno seguente è di nuovo l’ora dei saluti: Luciana parte prestissimo per Cairns, Genny è tornata a Brisbane addirittura poche ore dopo la cerimonia, Silvia partirà fra poco. E pure io ho la valigia pronta per la prossima tappa. All’ingresso dell’ostello auguro a Paola e Alessio un piacevole proseguimento in Australia e un buon rientro in Italia; abbraccio gli sposi, li saluto e li ringrazio per avermi voluto al loro fianco in questa splendida giornata. “E ci vediamo presto, ok?

Oggi sposi!
E vediamo quanti chilometri ho macinato per poter prendere parte a questa giornata:

1.600 km








Km totali percorsi: 29.470


domenica 10 marzo 2013

Q&A on the road


Ormai il viaggio da Darwin ad Adelaide è terminato. Prima però di passare alla prossima tappa, i due viaggiatori disperati si sono fatti una chiacchierata per sapere… beh, insomma, le solite cose che vuoi sapere quando un amico torna da un viaggio: cosa gli è piaciuto di più, se ha qualche aneddoto da raccontare, quali posti consiglierebbe, in quali posti manderebbe il suo peggior nemico… Iniziamo con le domande di Davide a Swaggirl.

DAVIDE: Per prima cosa una domanda su un singolo episodio: ma avevi davvero paura quando ci siamo ritrovati a fare il giro del lago a Kakadu? E se non ne hai avuta lì, ti sei mai trovata ad averne, nel continente australe?
SWAGGIRL: Sì che avevo davvero paura! Tu no? Ricordiamo che l’Australia è un paese affollato di creature che vogliono la tua morte, sia nel regno animale sia nel regno vegetale. Lo sprovveduto turista overseas, e soprattutto lo sprovveduto turista overseas che viene dalla città, non è abituato a una natura tanto potente; IO non sono abituata a trovarmi in situazioni potenzialmente letali di questo tipo. Ti dico la verità, avevo paura anche durante la crociera sul fiume infestato di coccodrilli. A essere onesti, dove mi giro, ci sono cose che mi fanno paura. Ok, lasciamo stare la mia paura dei ragni (che comunque qui può anche essere giustificata), ma ho avuto paura a Fraser Island quando stavo in cima a un picco a osservare gli squali che nuotavano sotto; ho avuto paura alle Whitsundays, quando vedevo meduse da tutte le parti (effettivamente c’erano meduse da tutte le parti, ma a quanto pare non pericolose); ho avuto paura nell’ultima farm in cui ho lavorato, quando abbiamo trovato un brownsnake in una cisterna dell’acqua; ho paura quando mi ritrovo per qualche motivo a meno di 20 metri dai tori, che sono veramente bestie mostruose (ed è incredibile pensare che si tratta di animali erbivori… per me quelli mangiano carne umana, e anche con immenso gusto); infine, e capirete che sono proprio pusillanime, ho paura persino ad avere a che fare con mucche e vitellini: avete idea di come sia pericolosa una mamma se le tocchi il suo bambino?


D: Questa è stata la tua prima vacanza in camper. Cosa ne dici dell’esperienza itinerante, col senno di poi? Dopo questo viaggio su quattro ruote, la bilancia pende sui più o sui meno?
S: Il viaggio in sé lo promuovo a pieni voti, è stata proprio una bella esperienza. Questo è il mio ideale di vacanza, spostarsi continuamente, vedere tante cose, cambiare itinerario secondo ispirazione, imbambolarsi con lo sguardo al finestrino (solo se non guido). So di dire una cosa scontata, ma davvero il viaggio non è la destinazione, bensì quello che c’è in mezzo, e questa esperienza è stata perfetta. Per quanto riguarda il mezzo di trasporto… Ho sempre avuto un’idea un po’ romantica del camper; ogni tanto ho anche pensato di comprarmene uno al posto di una casa vera e propria. Ma ora… Poco spazio, poca aria, troppo sbattimento a montare e smontare ogni giorno. Il nostro camper poi era anche sfigatissimo, ogni 3x2 aveva una magagna! Però forse un camper un po’ più figo, un po’ più grande… Naturalmente sempre per una vacanza itinerante, perché credo di avere abbandonato definitivamente l’idea di viverci in pianta stabile. E comunque penso che la prossima vacanza la passerò sulla spiaggia per due settimane!

D: Nel corso del nostro viaggio abbiamo attraversato luoghi diversissimi fra loro… quali sono i tre che ti sono rimasti più impressi e per quale motivo?
S: Il primo che mi viene in mente è il lago di sale in South Australia. Forse perché sembrava che da Coober Pedy a Port Augusta ci fosse solo un sacco di nulla, avevamo zero aspettative. Poi però abbiamo attraversato la ferrovia, i cartelli che avvisavano del pericolo mine… e ci siamo trovati in un luogo simile. Un posto davvero surreale, una distesa di bianco e di silenzio, sembrava di stare su un altro pianeta, in un luogo che non può esistere davvero.
Poi mi sono innamorata delle colline della Fleurieu Peninsula. Dopo tanto rosso, giallo e blu del deserto, quelle colline sono state un’apparizione miracolosa. Il verde è il colore più bello del mondo, specie se combinato in pascoli, foreste, siepi, e decorato da laghetti e corsi d’acqua. Dietro a ogni collina c’era un paesaggio ancora più bello del precedente. Poi quando abbiamo fatto il nostro ingresso in questa regione era ormai il tramonto, quindi tutto ancora più suggestivo e colorato. I canguri e le mucche insieme, e le occasionali fattorie, gli steccati… A parte i canguri, mi ha ricordato molto l’Irlanda. O la Contea degli Hobbit.
Perbacco, mi manca ancora il terzo luogo… direi King’s Canyon. Sembrava di stare sulla luna.


D: Gli australiani, che ne pensi? In cosa differiscono principalmente da un europeo, secondo te, magari prendendo come esempio un inglese, che dovrebbe essere il loro “parente diretto”? E gli aborigeni?
S: Domanda difficile, più che altro perché faccio molta fatica a generalizzare. Da quello che ho visto, gli australiani sono un popolo estremamente gentile e amichevole, sempre pronti a scambiare due parole, non importa se hai a che fare con l’impiegato delle poste, il controllore sull’autobus o il commesso di un negozio. L’australiano medio è ben disposto verso il viaggiatore e molto curioso, vuole sapere da dove vieni, cosa ti ha portato così lontano, cosa hai visitato dell’Australia e dove andrai. Avvicina l’europeo – a maggior ragione, l’italiano – con un misto di riverenza e accondiscendenza: l’australiano è affascinato da qualsiasi cosa abbia più di 200 anni, ma è felice di barattare la Storia con la pace sociale, il benessere e la natura sconfinata; è lusingato che tu abbia lasciato le rovine romane e i palazzi rinascimentali per le foreste e il deserto, ed è lieto di condividere queste ricchezze con te. Però c’è un altro lato del paese un po’ meno benevolo verso lo straniero, ed è proprio quello che con lo straniero ha più a che fare. Mi riferisco al mondo degli ostelli, delle agenzie turistiche, delle agenzie di lavoro per backpackers… Sulla carta tutti felici di accoglierti e di farti vivere l’esperienza più bella della tua vita, di regalarti soldi e farti divertire… Nella realtà, spesso gli ostelli sono strutture fatiscenti e sporche che non valgono certo il prezzo che paghi, i viaggi organizzati sono trappole per turisti e molti datori di lavoro non fanno altro che sfruttarti con il ricatto del secondo visto, magari a volte neanche ti pagano, ti sistemano in accomodation spesso non degne di questo nome, fregandosene di igiene e sicurezza.
Questione aborigena. Come ho detto prima, odio generalizzare, e odio avere pregiudizi quando viaggio, eppure con immenso dispiacere sono fondamentalmente d’accordo con chi non ha una buona opinione di loro. Non so molto della loro storia, capisco che sono stati vittime di persecuzioni e intolleranze tremende nel corso degli anni, eppure sembra che non ci sia il minimo desiderio di riscatto. Come hai detto tu, un popolo svuotato. Tuttavia non è semplice crearsi un’opinione equilibrata: ho sentito dagli australiani bianchi un sacco di storie poco edificanti a proposito degli aborigeni, ma in tutti questi mesi ho avuto modo solo una volta di parlare con un aborigeno, una chiacchierata cordiale ma che non è andata al di là del solito come ti chiami e da dove vieni. 
    
D: E per concludere, ti chiedo cosa ti resta di questi 6.300 chilometri di asfalto e terra rossa? Qual è stata la cosa più strana che abbiamo incontrato sulla nostra strada, qual è stata quella più buffa, quale quella più brutta?
S: Una cosa che è insieme strana, buffa e brutta: il turd-lizard®, l’incrocio fra una lucertola e uno stronzo! 



Ora le domande le fa Swaggirl! Come vedete, sono a corto di fantasia… D’altra parte, che cappio vuoi chiedere a uno che si è attraversato tutta l’Australia?

S: Iniziamo con una domanda banale: la cosa che ti è piaciuta di più in questo viaggio. E la cosa più buona che hai mangiato?
D: È difficile trovare una cosa sola. Se proprio devo scegliere, direi il giro che abbiamo fatto attorno al King's Canyon. Come luogo in sé voterei i Monti Olga, ma sul King's Canyon la sensazione di essere completamente soli e tagliati fuori dal resto del mondo era maggiore... e il panorama era comunque stupendo. Pure il caldo atroce mi è piaciuto, quel giorno!
Riguardo alla cosa più buona che ho mangiato... spero di non deludere i lettori scegliendo le nostre carbonare al posto di canguro, squalo, emù e coccodrillo (fra le cose "esotiche", però, scelgo quest'ultimo)!



S: Che idea ti sei fatto degli australiani?
D: Uhm... posto che non è che ci abbia poi avuto molto a che fare, devo dire che li ho trovati sempre molto cordiali e pronti a darti una mano, in modo forse più "sincero" di quello che puoi riscontrare in America, per fare un esempio.
Certo sono piuttosto tagliati fuori dal mondo e non so quanto siano "aggiornati" su quanto capita nel resto del pianeta. C'è anche da dire che ho visto quasi soltanto paesini sperduti in mezzo al nulla, probabilmente chi ci abita è strano anche agli occhi di un australiano di Sidney!
Discorso a parte per gli aborigeni, che sono veramente in una situazione triste. E la cosa più triste ancora è che molti di quelli che ho visto sembrano essere "a posto così".
Però i ragazzini aborigeni del college di Humpty Doo mi fanno pensare che pian piano la situazione cambierà!

S: A posteriori, cosa avresti preferito evitare e cosa ti spiace di non aver visto?
D: Avrei preferito evitare che si rompesse la macchina fotografica! No, scherzo... forse l'unica cosa che avrei evitato, in tutto il viaggio, è stato il tempo dedicato alla visita delle città, che però è stato comunque poco e, me ne rendo conto, necessario a riprendersi dalle fatiche del viaggio.
Mi spiace non aver visto... tante, tantissime cose. Se ripenso alle tappe del nostro viaggio, vorrei poterle estendere tutte quante, da ogni giorno tirare fuori una settimana!
In particolare, vorrei aver avuto il tempo per puntare dritto dentro al deserto. Quel cartello "Warning: no fuel for 500 km" mi è rimasto impresso.


S: Devi organizzare un altro viaggio in Australia: quali sono le nuove tappe?
D: E qui mi riallaccio alla risposta precedente. In un nuovo viaggio in Australia vorrei scoprire il deserto, viaggiandoci ancora più in mezzo di quanto non abbiamo fatto. Puntare su Perth partendo da Ayers Rock, magari, con 2.500 km di vuoto, oppure percorrere l'Oodnadatta Track nell'area di Coober Pedy. Però non dimentico che abbiamo macinato tutta la Stuart Highway, eh, mica bruscolini!
Per il resto, mi piacerebbe molto fare un salto in Tasmania, che immagino essere bellissima, e nell'area di Perth, la città e tutto l'angolo sud-ovest del continente. Poca roba, eh? E mancherebbe ancora il Queensland!

S: E soprattutto: lo faresti di nuovo in camper? Consiglieresti questo metodo di viaggio?
D: Sì, lo rifarei in camper. Magari con un camper diverso, sicuramente 4x4 e più "robusto", in modo da poter affrontare gli itinerari nel deserto di cui ho parlato.
Questo metodo di viaggio mi piace molto, ti permette di spostarti nel modo che preferisci, scegliendo la velocità di marcia che ti si addice, creandoti le tue tappe, cambiandole come e quando ti pare in base a quello che ti gira per la testa. Insomma hai una partenza e un arrivo fissi e in mezzo ci fai quello che vuoi!
Lo consiglio sicuramente... non sarà il massimo della comodità, ma credo sia il mezzo migliore per andare davvero "dentro" i luoghi che vuoi visitare, con la massima libertà possibile, senza staccare neppure per un minuto.



D: Chiudo salutando tutti i lettori del blog, che hanno avuto la pazienza di sopportare i fin troppo dettagliati resoconti della traversata vista con i miei occhi. E chiudo ringraziando di nuovo la mia ospite per avermi accolto su queste pagine e, soprattutto, per le indimenticabili tre settimane australiane vissute insieme a lei dall'altra parte del mondo. Au revoir!

S: Dal canto mio, saluto il mio compagno di viaggio e lo ringrazio per aver organizzato tutto in maniera ineccepibile, per aver sopportato le mie sclerate e per aver riempito le pagine del mio blog nelle ultime settimane.
Ma dal prossimo post si ricomincia a lavorare!