venerdì 26 ottobre 2012

La promessa sposa



Ormai le foto della sottoscritta che si fa il mazzo per lavare il camper ha fatto il giro del mondo. O, almeno, dei miei contatti di Facebook. Ma che storia c’è dietro a quell’immagine?


Il camper in realtà non è proprio un camper. È un camper E un carro per trasportare i cavalli, che se ho capito bene si chiama horse fold (se ho capito male, ho lavato il mezzo sbagliato). Come una roulotte, si attacca alla macchina, ha un comparto giorno + notte per umani e un comparto viaggio + toilette per un massimo di tre cavalli. Quel giorno io e Rie avevamo appunto il compito di lavare questo coso, non per sadismo dei proprietari, ma perché l’indomani sarebbe servito per portare Marjorie, una delle giumente (che non vive alla fattoria, ma in una dependance), a un incontro galante con il marito, sposato per procura. Tutto ciò è molto buffo, ve lo racconto.

Mi ha spiegato Sharon che al momento opportuno si rivolge a un’agenzia matrimoniale equina che le manda un elenco di pretendenti per la monta delle giumente. Una volta selezionato un possibile candidato, la famiglia della sposa riceve un video che illustra le prodezze del prescelto sul campo: non sto parlando del suo curriculum erotico, ma delle sue capacità in qualità di cavallo da mustering e della progenie generata. Se sono tutti soddisfatti e le contrattazioni vanno a buon fine, la cavalla viene pulita, pettinata e profumata, ed è quindi pronta per recarsi all’appuntamento. Ed è qui che entra in gioco la squadra: io, Rie, Sharon, Doreen e Marjorie. Un gruppo assortito quanto la cricca di Little Miss Sunshine. Sveglia alle 6, come al solito, ma stavolta abbiamo solo tempo di dare da mangiare ai cavalli, al resto penseremo al ritorno; Sharon prepara il pranzo al sacco, andiamo a prendere Marjorie alla sua dependance, la carichiamo, lei dopo 3,7 secondi netti che sale sul camper scagazza in segno di apprezzamento – le piacciono gli ambienti puliti – e quindi partiamo. 

Qui dietro c'è una cavalla molto astiosa

Mo, ricordarmi il nome del posto sarebbe troppo… ricordo che si trova vicino a un villaggio dal pittoresco nome di Blackbutt, che non solo vale la pena menzionare per il toponimo goliardico, ma anche per il fatto di fregiarsi del titolo di “cittadina più ordinata del Queensland 2008”. Per non essere da meno, il paese immediatamente precedente si vanta di essere il “comune più amichevole d’Australia 2011”, e quello successivo “cittadina più ordinata del Queensland 2009” (mi immagino la soddisfazione per aver strappato il titolo ai vicini di casa). Ma ahimè nessuno dei due centri abitati ha un nome che si imprime nella memoria tanto quanto Culonero, quindi questo blog li condanna all’oblio.


Appena abbandonata la campionessa del 2009, ci buttiamo a sinistra e ci immergiamo nella campagna più profonda. La strada corre lungo un bel fiume che risaliamo per un lungo tratto, finché il rettilineo si trasforma in un serpentone di anse attraversato in più punti da ponti che onestamente mi mettono un po’ d’ansia. E all'ennesima ansa, mi viene il dubbio. Forse siamo finite in una piega spazio temporale e attraversiamo in continuazione lo stesso punto del fiume. Che, per inciso, si tratta del fiume Brisbane: che strano scoprirlo in un contesto così diverso rispetto all’ultima volta che l’ho visto, in pieno centro cittadino! 



Ogni tanto incrociamo qualche vacca al pascolo e qualche rara fattoria. Sharon mi spiega che dobbiamo arrivare al civico 1835. Dieci minuti dopo passiamo davanti a una farm, il cui civico è 873. “Sharon, non arriveremo mai…" e le espongo la mia teoria della piega temporale. “Tranquilla, il numero indica la distanza dalla strada principale. Non dovrebbe mancare molto.” E infatti eccoci arrivati: una proprietà enorme (per quanto ne capisco io… per gli standard australiani credo si tratti di poco più di un giardinetto) che si stende al centro di una corona di colline. In cima a una delle colline ci sono la casa dei proprietari, le scuderie attigue e un mucchio di ragazzini che giocano coi gavettoni. La padrona di casa ci manda da suo marito, in fondo alla valle, dove  c’è un’arena che ospita una lezione di equitazione. Un toro gigantesco e gibbuto se ne sta stravaccato in piena libertà. Una volta in fondo alla valle, Jim, grosso cowboy fra i 45 e i 50 e con una dentatura vaga, ci riaccompagna di sopra per prendere in custodia Marojorie e firmare le scartoffie. Ci avviciniamo alla casa, e avendo ormai l’occhio clinico per le cacche di cavallo, noto che ce ne sono un sacco sparse nel giardino anteriore; la sorpresa maggiore però è che quella che credevo fosse la porta delle scuderie è in realtà l’ingresso principale della casa. Ma mi tocca smentirmi immediatamente: no, la sorpresa maggiore è che non si tratta di una casa, bensì di un immondezzaio. Panni di ragnatele stesi fra soffitto e finestre, acquaio stracolmo di stoviglie unte e bisunte, una parete sfondata, impronte ovunque. Dietro un angolo intravedo la zona entertaining, con un televisore 72 pollici il cui effetto 3D è dato dalla polvere sullo schermo. Non voglio neanche pensare a cos’altro c’è dietro quell’angolo. Tre cani dall’aria rassegnata entrano dalla porta principale ed escono da quella di servizio, e poi ancora in casa facendo il percorso inverso. Sono certa che da qualche parte devono esserci anche dei gatti. Altrimenti come tenere sotto controllo le colonie di ratti? “Volete accomodarvi? Un caffè?” “No grazie, siamo di fretta” risponde Sharon muovendosi nervosamente da un piede all’altro. Se non sta attenta, prenderà in pieno Gregor Samsa lì per terra… ecco. Nessuna di noi sa da che parte guardare. Stivale di Sharon sullo scarrafone morto. Ragnatele. Dente mancante di Jim. Ila, per l’amor di Dio, non toccare nulla penso, cercando di mantenere un faticoso sorriso di circostanza. Uno dei ragazzini, rigorosamente a piedi scalzi, entra in casa e chiede a un’ospite non identificata di aiutarlo a chiudere un gavettone. 3, 2, 1… sciaff! Per terra. Finalmente il pavimento vede un po’ d’acqua. Il padre allunga pigramente uno straccio al figlio chiedendo di pulire, il bambino prende lo straccio, allunga un altro gavettone alla signora, se lo fa chiudere e se ne va. La madre interrompe per un momento la preparazione del succo di frutta (che consiste nel versare una bottiglia di liquido rosa in un bidone di cubetti di ghiaccio) per la merenda dei giovani cavallerizzi giù nell’arena e passa un depressissimo mocio vileda nel lago di acqua e terra. “Beeeene, noi allora andiamo. E speriamo che vada tutto per il meglio!” Corriamo fuori a gambe levate, ma con un colpo d’occhio individuo la toilette, un water degno del cesso più brutto di tutta la Scozia. “Ciao Marjorie, mi raccomando, eh?” salutiamo la cavalla parcheggiata fuori. Lei ci lancia uno sguardo che può significare solo “Maledette, me la pagherete!” e da quel che ne so non è ancora tornata da lì.


È da un po' che non metto una foto. Sulla via del ritorno.

Vi lascio immaginare il viaggio di ritorno. 4 ore a giocare a chi aveva individuato la cosa più sudicia della casa. E, non appena rientrate a Cordalba, sotto gli sguardi di cani e cavalli che ci chiedevano “Maledette, vi sembra questa l’ora di tornare? Stavamo per morire di fame!”, si faceva a gara a raccontare a Wayne le meraviglie del posto. “Ok, ho capito, non mi lamenterò più della pulizia di questa casa. Piuttosto, domani pomeriggio è meglio se anticipate i lavori. Vi porto in gita.” “Prego?” “Andiamo a visitare lo zuccherificio.” Fiiico!

mercoledì 24 ottobre 2012

Cercatori d'oro

Lo so, lo so, sono scandalosa. Sono sparita per un sacco di tempo, non ho scritto, non ho telefonato, ho fatto solo qualche comparsata occasionale su Facebook per condividere cose che non potevano non essere condivise, come l’olio spray. Ora non mi resta che correre a perdifiato e raccontare gli ultimi giorni di permanenza a Cordalba. Per agevolare la lettura, e soprattutto per semplificarmi l’esistenza, farò una serie di post brevi e indolori, e se Dio vuole giornalieri.


Siamo rimasti all’acquisto dell’UTV. Forse non vi ho detto del quad.


Orbene, è arrivato il momento di testare i mezzi sul campo. E quale migliore terreno di prova se non il bush australiano? Che è anche tutto quello che c’è per chilometri e chilometri, in ogni direzione (anche perché per gli australiani tutto ciò che non è centro abitato è bush). Facciamo il pieno, allacciamo le cinture e accendiamo i motori! Dove andiamo? Ricordate il ponte di legno curvo più lungo del Queensland, quello vicino alla miniera? Ricordate che non abbiamo fatto in tempo a visitare la miniera? Oggi è la volta buona! Il tempo è gramo, ieri ha tempestato cavallette e tutte le piaghe dell’apocalisse, quindi il terreno è tutto un pantano… ma ce la faremo! Ecco, non siamo partiti neanche da 10 minuti, che facciamo la prima sosta. OK, è colpa mia, che voglio fare una foto alle rotaie della ferrovia che attraversa il bush, ma ne approfittiamo per mettere benzina nel serbatoio: l’UTV beve come un cammello nel deserto e il quad ha una falla e perde. Forse è il caso di tornare indietro. “Ma no, tranquilla, tu tieni d’occhio l’indicatore della benzina, quando arriva a 1 torniamo indietro.” Molto bene, oltre a controllare la strada per evitare paludi, serpenti, goanna, ceppi e massi, oltre a fare attenzione a non ribaltarsi e a gestire l’impegnativa modalità 4 ruote motrici, pure la benzina da monitorare. Meno male che sto coso non ha marce né frizione. Ma non ha neanche finestrini: rami, ragni e insetti stringono d’assedio il mezzo senza pietà né requie, e la strada è lunga e insidiosa, e disseminata di formicai enormi. Mi sento piena di formiche solo al ricordo. Per non parlare dei nidi di termiti. Grossi come la vecchia 126 blu di mia cugina. Alcuni anche come una Panda. E non è un'iperbole. Oh, ecco, siamo quasi al ponte: pochi metri prima svoltiamo a destra, dove c’è – guarda un po’ – dell’altro bush, e ci inerpichiamo per un bel sentiero di terra rossa, che termina al vecchio campo della miniera. Una miniera d’oro. Questo è quello che voleva essere.


Cento anni dopo, è un mucchio di lamiere che cercano ancora di stare in piedi, qualche buco nel terreno che sembra il pozzo di Samara, resti di un tracciato per i carrelli. Tutto circondato da filo spinato che ci fa un baffo. Molto suggestivo.


Ma purtroppo non possiamo fermarci a lungo ad ammirare il sito: il tempo promette male, il quad continua a perdere benzina e manca poco alle 4. È quasi ora di andare al lavoro. Poco male, in realtà abbiamo visto tutto quello che c’era da vedere; c’è voluto più tempo ad arrivare che non a visitare la miniera. Ma il viaggio è stato divertente, e ne è valsa la pena.

Visto? Breve e indolore. Vi ripropongo il link dell'album aggiornato per chi non ha Facebook e ci vediamo domani! ...se Dio vuole...

lunedì 8 ottobre 2012

DDSS



In uno dei post precedenti, quando vi ho raccontato dell’arrivo a Cordalba, alcuni di voi avranno tirato fuori le dita per fare due conti. Sveglia alle 6, due ore di lavoro al mattino, una al pomeriggio, a letto alle 10… Questo vuol dire… … … un sacco di tempo libero! Perché mai fai passare così tanto tempo fra un post e l’altro?
La domanda è legittima. Ora cercherò di rispondere.

Lo ammetto, ho fatto l’errore di aver lasciato passare troppo tempo dall’ultimo post. Nel frattempo ho fatto e visto un sacco di cose, e adesso mi tocca recuperare.
Uno pensa che la vita in una fattoria in un paesino di 300 abitanti possa essere noiosa… Sì e no. La routine cavalleresca da un lato rilassa la mente: carriola, rastrello e i-pod nelle orecchie (a volte la combinazione casuale musica-lavoro è quanto mai adatta, per esempio Davide van De Sfroos mentre si raccoglie la cacca o L’estasi dell’oro mentre si avanza fra i filari di alberi da frutto per scaricare la cacca). Ma è anche bello trovare qualcosa di diverso da fare. La spesa con Doreen e Ray l’abbiamo già fatta ieri, la bunk house è pulita… più o meno, e non ho proprio voglia di dipingere lo steccato.
Una delle possibilità è prendere la bici e farsi un giro in paese. Fatto. E adesso?

Annuncio a Shane che vorrei andare in bicicletta fino a Childers, ma dal momento che lui stesso è molto, molto annoiato, si offre di accompagnarmi a fare un giro lì.
Attraversiamo campi di canna da zucchero, filari di macadamia, pascoli, torrenti, ed eccoci arrivare a Childers, il paese in cui sono sbarcata, ricordate? Di giorno fa tutta un’altra impressione. Migliore, devo dire.


Lungo la strada principale ci sono numerosi negozi, ostelli, l’ufficio postale, un centro culturale con biblioteca annessa, addirittura un ristorante vietnamita. La cittadina fa parte del patrimonio culturale della zona, dovrebbe essere un sito storico… in effetti i balconi degli edifici mi ricordano un sacco il vecchio West. Molto pittoresco. L’attrazione che la fa da padrone è ahimè legata a una tragedia: diversi anni fa un tizio, ubriaco e infastidito dalla presenza di backpacker, ha dato fuoco a un ostello, e nell’incendio sono morti 15 ragazzi che lavoravano come fruit picker nella zona. Oggi l’edificio ospita un memoriale delle vittime, una mostra d’arte, l’ufficio del turismo e un Subway. Per quanto mi riguarda, la visita è stata toccante, anche se ho trovato un po’ comico che mettano a disposizione anche i fazzolettini. Il mio posto preferito a Childers però è un altro: un vecchio cinema trasformato in un mercatino dell’usato. 


Al piano terra tutti i sedili sono stati rimossi, ma al piano superiore ci sono ancora tutti, e anche se non si riescono a vedere da sotto, Shane mi fa sapere che sono a forma di sella di cavallo. L’aggettivo migliore che mi viene in mente per descrivere questo posto è, ancora una volta, pittoresco.


E questa è Childers. Non ci si mette molto a girarla, come potrete immaginare. Allora allunghiamo il giro e vediamo quali sono le altre attrazioni della zona.

Intanto, una grande dam. Quando mi parlavano di dam, io pensavo intendessero una diga, tipo quella del Vajont. E mi chiedevo: ma come cavolo le fanno le dighe, se c’è piattume totale? E invece le dam sono bacini d’acqua artificiali che servono per irrigare i campi, ma la gente ci va anche a pescare e a fare il bagno.


Lasciata la dam, incontrati lungo la strada una mucca fuggitiva e un goanna scalatore di alberi, passiamo al prossimo punto di interesse: una miniera abbandonata. Ci addentriamo nel bush – sembra di essere lontani dal mondo, ma in realtà non siamo poi così distanti dalla farm – ma in breve siamo costretti a lasciare la macchina e ci incamminiamo su un sentiero sterrato. Shane mi spiega che stiamo percorrendo il tracciato di una linea ferroviaria usata dai minatori, ormai completamente smantellata. La ferrovia attraversava il ponte di legno curvo (il ponte, non il legno) più lungo del Queensland. Detta così fa un po’ ridere, ma quando arriviamo al ponte non posso che essere impressionata: è fighissimo! In rovina, il solo pensiero di avvicinarmi mi terrorizza, ma è un rudere che sprizza fascino da tutte le travi!


Sfortunatamente raggiungere la miniera quest’oggi non è cosa, dal momento che si è fatto tardi… c’è da tornare a casa e prepararsi per la grigliata serale! E Sharon mi ha detto che mi farà salire a cavallo! …E sapete tutti come è andata a finire… Ma la serata è stata molto piacevole, pareva di essere in un altro mondo. No, un attimo: sono in un altro mondo! Luci sparate al massimo nell’arena, Wayne al barbecue a girare le salcicce, Edna che punta la carne, tutti i convitati con la loro birra in mano e musica country dagli amplificatori dell’arena. Ogni dettaglio è al suo posto. Una serata deliziosa. Ma è ora di andare a dormire, che domani sarà una giornata impegnativa.

Quest’oggi siamo in missione per conto di Dio: si va a Gold Coast a comprare una specie di buggy per semplificare la vita in fattoria. 4 ore ad andare e 4 a tornare. È un road trip nel senso più classico del termine: musica, chiacchiere, ogni tanto ci si ferma per una birra (ogni bottiglia indica sull’etichetta quante ne puoi bere per poter guidare), chilometri di campi, pisolino. 


Il limite di velocità è di 100 km/h. Questo significa che non solo le distanze sono importanti: ci metti pure un sacco di tempo per percorrerle. MA: meno traffico. Se non becchi i lavori in corso lungo la strada, segnalati da un omino con il cartello di STOP che permette il passaggio a un senso piuttosto che all’altro. Insomma, un viaggio lungo. Dal momento che ho ancora tanto da raccontare, e il tempo è poco, e non voglio abusare della vostra pazienza, arriviamo subito a destinazione. Ma non alla rivendita di moto e macchine dove ci aspetta la buggy: parliamo invece dei dintorni accessori che abbiamo colto l’occasione di visitare, in particolar modo della foresta pluviale della zona. Sempre per i motivi di cui sopra (ho ancora tanto da raccontare, e il tempo è poco, e non voglio abusare della vostra pazienza), mi limito a dire che è stata una visita spettacolare. Alberi giganteschi avvolti da rampicanti a dir poco impressionanti, orchidee enormi e antichissime, cascate… e neanche l’ombra di un koala, nonostante le promesse dei cartelli.


Ma, attenzione attenzione, ho visto i miei primi canguri! Una coppia di esemplari abbastanza grandi (per quel che ne so io), che appena mi hanno vista si sono allontanati saltellando con una sincronia invidiabile. Da qualche parte sono spuntati anche i wallaby. Nota negativa, il paesino accanto al parco, Mount Tamborine. Imbarazzante. Composto da un negozio di orologi a cucù bavaresi, due cantine (enoteche?) che starebbero bene in via Montenapoleone, un negozio di souvenir trapiantato dalla Terra di Mezzo. E poi dicono che Grazzano Visconti è farlocca. Machissenefrega, il paesaggio è spettacolare.



È ora però di rimettersi in macchina e tornare a casa, che la strada è lunga. Accendiamo la musica e partiamo. Ne approfitto per esportare un po’ di musica italiana nell’emisfero sud: Battisti, Mina, Morricone e altri di cui non farò il nome. La canzone del sole ha riscosso molto successo. Attraversare il bush australiano cantando le bionde trecce, mangiando pizza pepperoni* e bevendo un terribile rosso australiano direttamente dalla bottiglia… un’esperienza sinestetica. E così, col favore delle tenebre e col prezioso carico al seguito, siamo di ritorno a Cordalba. Che giornata lunga. E domani c'è ancora tanto da fare!

Ma prima di proseguire con il racconto, ditemi: secondo voi, qual è l'artista italiano che merita di essere promosso quaggiù? Rispondete numerosi al sondaggio che trovate a fondo pagina. Ma scorrete fino in fondo, eh!

*Comunicazione di pubblica utilità per gli italiani all'estero: la pizza pepperoni, come forse si potrebbe evincere dal nome, non conosce il minimo accenno di peperone, ma è guarnita col salame piccante.