Dato che non
può piovere per sempre, il mattino seguente ci accoglie con un cielo per lo più
sereno, ma con il solito temporale in lontananza. Nel deserto i temporali si
vedono a decine di chilometri di distanza, puoi scorgere le colonne d’acqua,
capire come si spostano… insomma, è una bella cosa.
Bellissima!
Io non avevo idea di come fossero i temporali a vederli da fuori…
A ogni modo,
la mattinata prevede la scalata ad Ayers Rock, per cui abbiamo puntato la
sveglia alle 5:30 e ci siamo diretti velocemente verso il sassone, che ci
saluta attorniato da una folta comitiva di giapponesi, da qualche raggio di
sole e da un cartello che annuncia che non si può salire perché si prevede
pioggia.
Ora, in
questo particolare caso è vero che pioverà e quindi hanno fatto bene a
chiudere, ma in generale da queste parti cercano sempre di impedire alla gente
di salirci e gli Anangu (gli aborigeni di questa regione) ti chiedono di
evitare la scalata. Per rispetto. Ora, avessimo visto un aborigeno uno al lavoro
nei parchi o impegnato in qualche forma di attività legata alla salvaguardia
del territorio… Ma andiamo avanti.
Visto che su
Ayers Rock non si sale e che è ancora molto presto, siamo costretti a cambiare programma
su due piedi e decidiamo di visitare i Monti Olga, dove le escursioni dovrebbero
essere aperte fino alle 11 del mattino, quando il caldo diventa troppo intenso.
I cinquanta chilometri di strada che percorriamo vedono apparire lentamente
questa spettacolare formazione di cime arrotondate – probabilmente chiamata
così in onore di qualche formosa signorina dei tempi che furono – che arrivano
a toccare i 550 metri (Ayers Rock si ferma a circa 348).
I Monti Olga rullano! |
Zaino in
spalla (non per vantarmi, ma sono fra i pochi escursionisti davvero preparati,
dagli scarponcini allo zaino con k-way, kit di pronto soccorso, coltellino
svizzero, cibarie e accessori vari) e via, in mezzo a un sentiero sassoso che
costeggia queste enormi pareti che si innalzano prima scoscese per poi
diventare più dolci in prossimità delle vette.
Una
considerazione: Hayao Miyazaki dovrebbe fare causa all’Australia per plagio. A
parte che ci sono insetti simili ai mostrotarli di Nausicaa, ci sono tantissimi
elementi che rimandano all’opera del Maestro. L’osso di mucca che ho preso come
souvenir è quasi identico all’Ala da guerra, queste enormi montagne ricordano
da vicino le navi volanti di Conan, le cupole rocciose viste altrove sono
identiche alle città di Dork e Tolmekia, e ci sono persino libellule uguali a
quelle enormi che solcano i cieli dei mondi di Hayao. Cioè, più piccole, per
fortuna. Ora, visto che è impossibile che il Maestro abbia copiato, è ovvio che
è stata l’Australia a farlo.
Io vorrei
tanto incontrare Totoro e il Castello errante!
Persi in
questi discorsi di un certo spessore arranchiamo alle pendici dei monti, fino a
quando il sentiero non svolta e inizia ad addentrarsi fra queste enormi
muraglie, salendo verso una specie di valico. Siccome sappiamo rovinare tutto
(il nostro karma diventa ogni giorno più sporco) riusciamo a vedere una
splendida trollface scavata nella roccia.
La vedete? |
Durante la
salita arriviamo vicini al punto in cui l’acqua che bevi non basta a compensare
quella che perdi con la sudorazione, ma per nostra fortuna la cima è vicina e
possiamo guardarci attorno. Che posto! Personalmente, altro che Ayers Rock,
questo sì che è spettacolare. E guardando in lontananza, verso ovest, dove dopo
2.500 km
di niente si trovano Perth e l’Oceano Indiano, si vedono altri enormi monoliti
all’orizzonte. Insomma, Ayers Rock è famoso perché è il primo che incontri, mi
sa, non il più bello. De gustibus, naturalmente.
E perché è
un’unica, grossa roccia, a differenza degli Olga. In ogni caso, Monti Olga
tutta la vita!
Scendiamo e
risaliamo e sostiamo e risostiamo e chiacchieriamo seduti all’ombra, per quasi
cinque ore i Monti Olga ci ospitano da bravi padroni di casa. Camminiamo per sette
chilometri, fino a riguadagnare il camper e soprattutto l’agognata aria
condizionata.
Prima di
tornare al resort però rimane ancora una gola da visitare, dopo il necessario
rifornimento di cibo. Così di nuovo gambe in spalla e via verso un altro posto
magico (che si chiama Valle del Vento!!! Visto? L’Australia ha copiato!!!).
La gola si
addentra per circa un chilometro fra le due montagne più alte dei Monti Olga,
così ci troviamo a camminare in mezzo a pareti a strapiombo rosse, percorse da
venature nere, con l’ombra delle nuvole di passaggio a cambiare continuamente
il panorama. C’è pure l’eco più netta che io abbia mai sentito in vita mia, e
c’è pure una bambina con la faccia rossa come un’aragosta: colpo di sole
garantito, roba da togliere la patria potestà ai genitori.
Da queste
parti in effetti è pieno di cartelli che mettono in guardia sui cento pericoli
della zona: sole, caldo, animali... Francamente basta usare un minimo di
prudenza e non ci sono rischi. Le camminate non sono eccessivamente impegnative
per chiunque sappia muovere un po’ i piedi, e il caldo si sopporta con
l’ausilio di un buon cappello e tanta acqua. Certo che poi vedi in giro
sessantenni americani sovrappeso con le ciabattine e una bottiglietta da mezzo
litro (quando in un giro di 3-4 ore di litri se ne bevono circa 4) e capisci
perché c’è gente che sta male. Come quelli con la bambina di cui sopra,
insomma.
Allora vedi
che gli aborigeni fanno bene a preoccuparsi? È gente che conosce i suoi polli!
Ridendo e
scherzando siamo arrivati in fondo alla gola e siamo pure tornati al camper,
per cui decidiamo di concederci un pomeriggio di meritatissimo riposo al
resort. Prima però facciamo un giretto al supermercato, dove nonostante la
guida dicesse di prepararsi ai prezzi folli, abbiamo trovato tutto abbastanza a
buon mercato, e poi finiamo a mollo in piscina per un paio d’ore – che goduria
– fino a quando le dita delle mani hanno minacciato di staccarsi.
Degna conclusione della giornata: la visita ad Ayers Rock al tramonto, uno spettacolo indimenticabile grazie anche a un arcobaleno giusto sopra la montagna, a nuvole dai cento colori illuminate dagli ultimi raggi del sole e alla luna piena che sorgeva in lontananza sul deserto. Non avrei potuto desiderare di essere in un altro luogo sulla faccia della Terra!
Ma una foto di sto sasso non ce la vogliamo mettere? |
Ma le cose
belle, si sa, finiscono. Per fortuna quando sei in vacanza lasciano il posto ad
altre cose belle! Il mattino seguente, infatti, decidiamo di riprovarci con la
scalata. Una sveglia un po’ meno baldanzosa ci permette comunque di essere sul
posto verso le 7:30 (la salita viene chiusa alle 8), ma niente da fare:
quest’oggi pare che il capo degli Anangu abbia dormito male e per questo hanno
deciso di sbarrare la via con una banale scusa: il cartello oggi dice “Eh, ci saranno più di 38 °C”.
Ma noi ce ne sbattiamo! |
Dato che ce
l’aspettavamo (ormai sappiamo con chi abbiamo a che fare) avevamo già preparato
il piano B: periplo della grande roccia a piedi, lungo un tragitto di circa 11 chilometri. Ora,
la roccia è grande, bravi, è bella, sì, ma è una sola e non riesce a
conquistarti come i Monti Olga. La ammiriamo sempre sulla nostra destra,
camminiamo e parlottiamo per circa tre ore, scoprendo fra l’altro che se tu
rispettassi i divieti di fotografare richiesti dagli aborigeni in pratica Ayers
Rock non la potresti quasi riprendere e che da queste parti ballavano il Tuca
Tuca per invocare la pioggia (per un loro difetto di pronuncia diventava Kuka
Kuka, ma quello era, indossavano pure le parrucche per essere uguali alla
Carrà).
Completiamo
così il giro e torniamo al punto di partenza, per salutare definitivamente
Ayers Rock. Che dire, sarà che io e Ilaria siamo persone grezze e non siamo
riusciti a cogliere la spiritualità di questo luogo, ma per quanto lo abbia
trovato meraviglioso non è stata quell’esperienza mistica descrittaci dagli amici
che l’hanno visitato. Di queste migliaia di chilometri australiani altri
ricordi resteranno molto più vividi dentro di me.
Siamo
sicuramente due persone grezze. E ci piace anche la Carrà.
Prima di
partire, ci affrettiamo a fare un giro alla Camel Farm del resort per vedere
finalmente questi strambi animali e a fermarci dal meccanico locale per
sistemare la pressione delle gomme, dato che alla stazione di servizio il self
service è guasto (“Da più di un mese”,
ci fa notare lo sconsolato meccanico). E poi via, iniziamo a macinare i 300 km che ci separano dal
King’s Canyon, situato a nord-est fra Ayers Rock e Alice Springs, grossomodo.
Lo sapevate
che l’Australia è l’unico paese al mondo dove si trovano i cammelli allo stato
brado? Naturalmente importati da fuori ai tempi della costruzione della
ferrovia, quindi liberati nel deserto. Ci sono pure le corse di cammelli! Ci
sono pure gli hamburger di cammello! A me parevano più dromedari, comunque…
Secondo voi di che si tratta? |
Prima di
arrivarci finiamo dritti dritti nel mezzo di una tempesta e poi riusciamo a
prenderci una bella fregatura. Consultando la guida: “Hai visto, Davide? Questo camping è a 35 km da King’s Canyon, ma
costa solo 17 dollari! È un campeggio-avventura!” “Perfetto, allora ci fermiamo lì!”
L’avventura
ci sta tutta, anche troppo, ma il prezzo, salito a 21 dollari fra l’altro, è a
persona. Ci siamo rimasti davvero male, ecco.
Per non dire
che si tratta del campeggio più sfigato, squallido e sporco in cui ci sia
capitato di soggiornare. Bazzicano personaggi poco raccomandabili. La faccia
più amichevole è quella del cane. Per me qui si scopano le loro sorelle.
Fra l’altro i
tizi del campeggio ci cacciano nella piazzola più sfigata e dopo 10 minuti
ricomincia a diluviare, allagando tutto. Me ne sto al finestrino con una faccia
che deve sembrare da condannato a morte, tanto che un tizio che passa lì vicino
mi nota e ci propone di spostarci in un posto più riparato, cosa che accettiamo
più che volentieri.
E così siamo pronti per la serata, con una cena molto
veloce a base di cous cous in busta e un
film dello Studio Ghibli a chiudere. Non è il Maestro, ma si lascia sempre
vedere.
Potrebbe esser peggio. Potrebbe essere Serghei M. Einstein.
E anche oggi concludiamo con una citazione cinematografica |
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