martedì 5 febbraio 2013

It's a big rock



Dato che non può piovere per sempre, il mattino seguente ci accoglie con un cielo per lo più sereno, ma con il solito temporale in lontananza. Nel deserto i temporali si vedono a decine di chilometri di distanza, puoi scorgere le colonne d’acqua, capire come si spostano… insomma, è una bella cosa.

Bellissima! Io non avevo idea di come fossero i temporali a vederli da fuori…


A ogni modo, la mattinata prevede la scalata ad Ayers Rock, per cui abbiamo puntato la sveglia alle 5:30 e ci siamo diretti velocemente verso il sassone, che ci saluta attorniato da una folta comitiva di giapponesi, da qualche raggio di sole e da un cartello che annuncia che non si può salire perché si prevede pioggia.

Ora, in questo particolare caso è vero che pioverà e quindi hanno fatto bene a chiudere, ma in generale da queste parti cercano sempre di impedire alla gente di salirci e gli Anangu (gli aborigeni di questa regione) ti chiedono di evitare la scalata. Per rispetto. Ora, avessimo visto un aborigeno uno al lavoro nei parchi o impegnato in qualche forma di attività legata alla salvaguardia del territorio… Ma andiamo avanti.

Visto che su Ayers Rock non si sale e che è ancora molto presto, siamo costretti a cambiare programma su due piedi e decidiamo di visitare i Monti Olga, dove le escursioni dovrebbero essere aperte fino alle 11 del mattino, quando il caldo diventa troppo intenso. I cinquanta chilometri di strada che percorriamo vedono apparire lentamente questa spettacolare formazione di cime arrotondate – probabilmente chiamata così in onore di qualche formosa signorina dei tempi che furono – che arrivano a toccare i 550 metri (Ayers Rock si ferma a circa 348).

I Monti Olga rullano!

Zaino in spalla (non per vantarmi, ma sono fra i pochi escursionisti davvero preparati, dagli scarponcini allo zaino con k-way, kit di pronto soccorso, coltellino svizzero, cibarie e accessori vari) e via, in mezzo a un sentiero sassoso che costeggia queste enormi pareti che si innalzano prima scoscese per poi diventare più dolci in prossimità delle vette.

Una considerazione: Hayao Miyazaki dovrebbe fare causa all’Australia per plagio. A parte che ci sono insetti simili ai mostrotarli di Nausicaa, ci sono tantissimi elementi che rimandano all’opera del Maestro. L’osso di mucca che ho preso come souvenir è quasi identico all’Ala da guerra, queste enormi montagne ricordano da vicino le navi volanti di Conan, le cupole rocciose viste altrove sono identiche alle città di Dork e Tolmekia, e ci sono persino libellule uguali a quelle enormi che solcano i cieli dei mondi di Hayao. Cioè, più piccole, per fortuna. Ora, visto che è impossibile che il Maestro abbia copiato, è ovvio che è stata l’Australia a farlo.

Io vorrei tanto incontrare Totoro e il Castello errante!


Persi in questi discorsi di un certo spessore arranchiamo alle pendici dei monti, fino a quando il sentiero non svolta e inizia ad addentrarsi fra queste enormi muraglie, salendo verso una specie di valico. Siccome sappiamo rovinare tutto (il nostro karma diventa ogni giorno più sporco) riusciamo a vedere una splendida trollface scavata nella roccia.


La vedete?

Durante la salita arriviamo vicini al punto in cui l’acqua che bevi non basta a compensare quella che perdi con la sudorazione, ma per nostra fortuna la cima è vicina e possiamo guardarci attorno. Che posto! Personalmente, altro che Ayers Rock, questo sì che è spettacolare. E guardando in lontananza, verso ovest, dove dopo 2.500 km di niente si trovano Perth e l’Oceano Indiano, si vedono altri enormi monoliti all’orizzonte. Insomma, Ayers Rock è famoso perché è il primo che incontri, mi sa, non il più bello. De gustibus, naturalmente.

E perché è un’unica, grossa roccia, a differenza degli Olga. In ogni caso, Monti Olga tutta la vita!


Scendiamo e risaliamo e sostiamo e risostiamo e chiacchieriamo seduti all’ombra, per quasi cinque ore i Monti Olga ci ospitano da bravi padroni di casa. Camminiamo per sette chilometri, fino a riguadagnare il camper e soprattutto l’agognata aria condizionata.
Prima di tornare al resort però rimane ancora una gola da visitare, dopo il necessario rifornimento di cibo. Così di nuovo gambe in spalla e via verso un altro posto magico (che si chiama Valle del Vento!!! Visto? L’Australia ha copiato!!!).

La gola si addentra per circa un chilometro fra le due montagne più alte dei Monti Olga, così ci troviamo a camminare in mezzo a pareti a strapiombo rosse, percorse da venature nere, con l’ombra delle nuvole di passaggio a cambiare continuamente il panorama. C’è pure l’eco più netta che io abbia mai sentito in vita mia, e c’è pure una bambina con la faccia rossa come un’aragosta: colpo di sole garantito, roba da togliere la patria potestà ai genitori.

Da queste parti in effetti è pieno di cartelli che mettono in guardia sui cento pericoli della zona: sole, caldo, animali... Francamente basta usare un minimo di prudenza e non ci sono rischi. Le camminate non sono eccessivamente impegnative per chiunque sappia muovere un po’ i piedi, e il caldo si sopporta con l’ausilio di un buon cappello e tanta acqua. Certo che poi vedi in giro sessantenni americani sovrappeso con le ciabattine e una bottiglietta da mezzo litro (quando in un giro di 3-4 ore di litri se ne bevono circa 4) e capisci perché c’è gente che sta male. Come quelli con la bambina di cui sopra, insomma.

Allora vedi che gli aborigeni fanno bene a preoccuparsi? È gente che conosce i suoi polli!


Ridendo e scherzando siamo arrivati in fondo alla gola e siamo pure tornati al camper, per cui decidiamo di concederci un pomeriggio di meritatissimo riposo al resort. Prima però facciamo un giretto al supermercato, dove nonostante la guida dicesse di prepararsi ai prezzi folli, abbiamo trovato tutto abbastanza a buon mercato, e poi finiamo a mollo in piscina per un paio d’ore – che goduria – fino a quando le dita delle mani hanno minacciato di staccarsi.

Degna conclusione della giornata: la visita ad Ayers Rock al tramonto, uno spettacolo indimenticabile grazie anche a un arcobaleno giusto sopra la montagna, a nuvole dai cento colori illuminate dagli ultimi raggi del sole e alla luna piena che sorgeva in lontananza sul deserto. Non avrei potuto desiderare di essere in un altro luogo sulla faccia della Terra!

Ma una foto di sto sasso non ce la vogliamo mettere?

Ma le cose belle, si sa, finiscono. Per fortuna quando sei in vacanza lasciano il posto ad altre cose belle! Il mattino seguente, infatti, decidiamo di riprovarci con la scalata. Una sveglia un po’ meno baldanzosa ci permette comunque di essere sul posto verso le 7:30 (la salita viene chiusa alle 8), ma niente da fare: quest’oggi pare che il capo degli Anangu abbia dormito male e per questo hanno deciso di sbarrare la via con una banale scusa: il cartello oggi dice “Eh, ci saranno più di 38 °C”.

Ma noi ce ne sbattiamo!

Dato che ce l’aspettavamo (ormai sappiamo con chi abbiamo a che fare) avevamo già preparato il piano B: periplo della grande roccia a piedi, lungo un tragitto di circa 11 chilometri. Ora, la roccia è grande, bravi, è bella, sì, ma è una sola e non riesce a conquistarti come i Monti Olga. La ammiriamo sempre sulla nostra destra, camminiamo e parlottiamo per circa tre ore, scoprendo fra l’altro che se tu rispettassi i divieti di fotografare richiesti dagli aborigeni in pratica Ayers Rock non la potresti quasi riprendere e che da queste parti ballavano il Tuca Tuca per invocare la pioggia (per un loro difetto di pronuncia diventava Kuka Kuka, ma quello era, indossavano pure le parrucche per essere uguali alla Carrà).

Completiamo così il giro e torniamo al punto di partenza, per salutare definitivamente Ayers Rock. Che dire, sarà che io e Ilaria siamo persone grezze e non siamo riusciti a cogliere la spiritualità di questo luogo, ma per quanto lo abbia trovato meraviglioso non è stata quell’esperienza mistica descrittaci dagli amici che l’hanno visitato. Di queste migliaia di chilometri australiani altri ricordi resteranno molto più vividi dentro di me.

Siamo sicuramente due persone grezze. E ci piace anche la Carrà.


Prima di partire, ci affrettiamo a fare un giro alla Camel Farm del resort per vedere finalmente questi strambi animali e a fermarci dal meccanico locale per sistemare la pressione delle gomme, dato che alla stazione di servizio il self service è guasto (“Da più di un mese”, ci fa notare lo sconsolato meccanico). E poi via, iniziamo a macinare i 300 km che ci separano dal King’s Canyon, situato a nord-est fra Ayers Rock e Alice Springs, grossomodo.

Lo sapevate che l’Australia è l’unico paese al mondo dove si trovano i cammelli allo stato brado? Naturalmente importati da fuori ai tempi della costruzione della ferrovia, quindi liberati nel deserto. Ci sono pure le corse di cammelli! Ci sono pure gli hamburger di cammello! A me parevano più dromedari, comunque…

Secondo voi di che si tratta?

Prima di arrivarci finiamo dritti dritti nel mezzo di una tempesta e poi riusciamo a prenderci una bella fregatura. Consultando la guida: “Hai visto, Davide? Questo camping è a 35 km da King’s Canyon, ma costa solo 17 dollari! È un campeggio-avventura!” “Perfetto, allora ci fermiamo lì!
L’avventura ci sta tutta, anche troppo, ma il prezzo, salito a 21 dollari fra l’altro, è a persona. Ci siamo rimasti davvero male, ecco.

Per non dire che si tratta del campeggio più sfigato, squallido e sporco in cui ci sia capitato di soggiornare. Bazzicano personaggi poco raccomandabili. La faccia più amichevole è quella del cane. Per me qui si scopano le loro sorelle.

Fra l’altro i tizi del campeggio ci cacciano nella piazzola più sfigata e dopo 10 minuti ricomincia a diluviare, allagando tutto. Me ne sto al finestrino con una faccia che deve sembrare da condannato a morte, tanto che un tizio che passa lì vicino mi nota e ci propone di spostarci in un posto più riparato, cosa che accettiamo più che volentieri. 


E così siamo pronti per la serata, con una cena molto veloce a base di cous cous  in busta e un film dello Studio Ghibli a chiudere. Non è il Maestro, ma si lascia sempre vedere.

Potrebbe esser peggio. Potrebbe essere Serghei M. Einstein. 

E anche oggi concludiamo con una citazione cinematografica
E il nostro solito riepilogo:

Poca strada, solo 450 km!
Km totali: 26.070

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