domenica 11 dicembre 2016

I guardiani

Oggi è stata la prima giornata di volontariato al museo!

La location è il museo navale di Greenwich, ed è più di un anno che ci avevo puntato gli occhi addosso.

Pescato a caso fra i musei che cercavano collaboratori volontari, forse fu durante l'estate 2015 che per la prima volta mandai CV e candidatura, e a onor del vero fui subito contattata per il colloquio. Colloquio superato brillantemente, ma poi per lungaggini burocratiche ho aspettato l'estate 2016 per ricontattarli e chiedere di essere riammessa al programma. Il che ha comportato il dover ripresentare la candidatura, rifare il colloquio, fare la giornata di affiancamento, (andare in ferie) e finalmente cominciare come volontaria.

E chi ben comincia, è a metà dell'opera: sono uscita di casa volando, con l'ansia di arrivare in ritardo al mio primo giorno di lavoro, sebbene volontario. Per fortuna raggiungo Greenwich in tempo per il briefing che apre la giornata, e comunque la prima persona che conosco è Sally, che subito mi dice: "Ma sei volontaria, di che ti preoccupi?" Le domande incoraggiati proseguono: "Ma che voglia che hai! Ma chi te lo fa fare? Ma di domenica, poi!" E con questi toni, comincia la giornata. Durante il briefing, che si tiene all'ingresso del museo, mi fanno sapere che per il mio primo turno sono assegnata alla Queen's House, il cuore geografico del complesso museale, il più antico edificio neoclassico inglese, costruito 4 secoli fa - quest'anno cade esattamente il quattrocentenario - e recentemente riaperto al pubblico. Io sono assegnata all'ingresso insieme a Maria, che fa parte dello staff regolare, ovvero non è una volontaria. Le nostre mansioni consistono nell'accogliere i visitatori, indirizzarli verso l'inizio del tour, cercare di vendere le guide, ricordare che l'ingresso è gratuito, ma le offerte sono gradite. L'aiuto più prezioso che offriamo però è indicare dove sono i bagni. True story. Dobbiamo inoltre contare quanti visitatori entrano, dotate di quell'affare che usano gli assistenti di volo.

Il lavoro del... guardiano? assistente? boh, quello, è ritmato da pause e turni. Ogni ambiente del museo è piantonato da un team di quattro persone: tre sono posizionate in diversi punti dell'area, la quarta è il "relief", il sollievo, che copre i colleghi mentre questi vanno in pausa - circa 30 minuti ogni due ore, 40 minuti per il pranzo. Durante tutto il turno siamo tenuti a stare in piedi, quindi la pausa è il momento per far riposare le stanche membra; per questo c'è la saletta ricreativa con tavoli e sedie, una cucina, frigorifero, PC in caso vi mancasse la mail, bagni. La zona dedicata al personale è completata dall'area degli armadietti, spogliatoi, le bacheche per le comunicazioni interne e per la Wall of Dishonour, dove appaiono le foto di chiunque sia persona non grata per il museo: lo staff è tenuto a essere particolarmente solerte in caso queste persone siano individuate, e chiamare la sorveglianza. La sorveglianza sono due massicci signori che stanno rinchiusi in una di quelle salette senza finestre ma piene di schermi: essere ammessa in un posto del genere ha scatenato immediatamente le mie fantasie più thrilleronistiche. Le comunicazioni con la sorveglianza avvengono, Dio voglia il meno possibile, con radio ricetrasmittenti e utilizzando il lessico che si sente usare nei film. Il mio entusiasmo a leggere le istruzioni: alle stelle. A dire il vero però finora ho sentito usare la radio solo per chiamare la signora delle pulizie, anche se in realtà, essendoci un unico canale (il che significa che tutti ricevono le chiacchiere di tutti), devo ammettere che ho intercettato parecchie altre comunicazioni senza intenderne quasi nessuna.

La giornata scorre molto tranquillamente; ci sono alcuni momenti dove i turisti sembrano mettersi d'accordo e arrivare in massa, ma anche in quei casi i nostri compiti sono semplici, e avere a che fare con persone che sono in vacanza o che hanno deciso di passare una giornata di svago al museo è secondo me il punto cruciale: l'atmosfera è rilassata, nessuno ti mette fretta, non esistono deadline a parte la chiusura. Generalmente poi l'inglese medio si ferma volentieri a scambiare due parole, quindi trovo che sia un lavoro abbastanza piacevole, anche se a essere onesta ci sono stati dei momenti di Oddio ma non mi passa più!

Diciamo però che sono lieta di dimenticare le forti emozioni del lunedì-venerdì, muovermi a ritmi più pacati per un giorno ogni due settimane, e soprattutto sfruttare i vantaggi del mestiere. Come visitare gratuitamente le varie mostre della città. O approfittare degli sconti al negozio del museo per fare i regali di Natale. Senza contare che, a mio parere, essere immersi nel Bello fa bene all'anima: nonostante non sia un museo di belle arti, l'ambiente è molto suggestivo, e siamo pur sempre circondati da opere dell'ingegno umano. Voglio dire, sicuramente meglio di Camden un venerdì sera qualunque.

giovedì 10 novembre 2016

Happily ever after, and sober

Quanto tempo che non scrivo!
Nelle ultime settimane sono successe un sacco di piccole cose che meriterebbero di essere raccontate - o forse è il vizio dello scrittore che, come ho letto una volta in una descrizione molto efficace, fa di un cumulo di terriccio una montagna?

Ma non perdiamoci in tali riflessioni fini a sé stesse, ché il tempo è poco e, conoscendomi, le parole da buttare giù sono molte.

Oggi racconto di una giornata che ha avuto luogo ormai un mese fa, in cui si è verificato un evento particolare e ho vissuto un'esperienza tutta nuova: ho partecipato a un matrimonio.

A differenza delle mie compagne dell'odierna avventura, finora sono stata a parecchi matrimoni in vita mia, ma mai a uno inglese. Ed è qui che sta la particolarità.

La sposa è una deliziosa ex collega del mio precedente posto di lavoro, altrimenti noto come Il Posto di Merda. Megan è una delle poche autoctone con cui ho legato qui a Londra; non ci si vede né ci si sente spesso, ma ci si frequenta abbastanza e soprattutto condividiamo un interesse comune - Doctor Who - che ci ha permesso di rimanere in contatto anche quando ho cambiato lavoro. E tuttavia non mi aspettavo che sarei addirittura stata invitata al suo matrimonio!

E invece una sera torno a casa e mi trovo una busta marrone, al cui interno c'era una busta rossa chiusa con un sigillo di ceralacca, al cui interno c'era il mio invito! Che gioia! I matrimoni possono essere un po' un impegno - specie se ricevi l'invito tre settimane prima della data - ma fa piacere essere ricordati per un simile evento, no?

Inizio a pensare alla mise, ai capelli, al trucco, alla logistica; scopro che altre cinque ex colleghe sono invitate, quindi inizia la messaggistica folle per scoprire come ci si veste, cosa si regala, e soprattutto come si raggiungono i luoghi dell'evento. Mica uno solo, eh. La cerimonia, all'1 di un sabato pomeriggio, è nel punto A, nella campagna inglese; il ricevimento, con cena a buffet a partire dalle 7.30 di sera, è nel punto B, ad almeno 15 km più in là. Noi siamo a Londra, ovvero il punto Z, a un'ora di treno dal punto A. Mentre siamo occupate con questioni di tipo spaziale, inizia a farsi strada una domanda che contempla invece i limiti temporali: cosa faremo dalle 2 alle 7.30, a parte recarci al ricevimento?
È solo pochi giorni prima che giunge la conferma dalla sposa: non siamo invitate a tutto il ricevimento, ma praticamente solo alla torta. Cosa che mi è già successa, ma in circostanze estremamente diverse: prima di tutto, erano sempre matrimoni vicino a casa. E, più importante, ero automunita.

Nulla, non ci resta che fare buon viso a cattiva sorte e rassegnarci a passare il tempo in qualche modo. Nel frattempo si fa strada un'altra agghiacciante eventualità: attuali colleghi e conoscenti - per qualche motivo, ho il vizio di coinvolgere nelle mie avventure chiunque mi stia intorno - insinuano che potrebbe non esserci alcol per noi, a parte quello del brindisi. È una possibilità a cui non voglio pensare, per il momento.

Dicevo quindi che mi ritrovo a coinvolgere tutti, come una titanica impresa di gruppo, nella preparazione di questo matrimonio, manco fosse il mio: la collega Francesca viene a farmi il colore ai capelli, la coinquilina Erika si fa cambiare turno per farmi il trucco sabato mattina, la mia manager si informa quotidianamente a che punto sia coi preparativi, l'amica di Maracatù Fernanda mi presta una pochette nera, persino l'estetista iraniana del salone dove vado solitamente si raccomanda che mi diverta e possibilmente che trovi marito. Venerdì volo via dall'ufficio per poter affrontare gli ultimi preparativi, e colleghi con cui mi rivolgo la parola a malapena mi urlano: "Buon divertimento!"

Insomma, le aspettative erano alte per tutti.

Sabato si apre su una giornata fortunatamente decente, fresca ma almeno asciutta. I preparativi vanno come da copione (e non ho menzionato l'agghiacciante scoperta di appena pochi giorni prima: dopo aver studiato la mise in tutti i suoi dettagli, mi ero resa conto con sgomento che le scarpe che intendevo mettere erano in realtà in Italia, ergo ho dovuto ripensare a un nuovo outfit - impresa portata a termine con successo), esco di casa e arrivo in stazione in orario. Mi incontro con le altre ragazze e partiamo alla volta del Surrey. Dov'è il Surrey? Qui:


Dopo un'ora di treno, ci attende ancora una camminata da 20 minuti, che diventano pure 35 se cammini sui trampoli. Io sono stata furba e le scarpe le ho messe solo una volta giunta a destinazione (questo non vuol dire che abbia camminato scalza dalla stazione fino in chiesa, eh), ovvero una di quelle tipiche chiese British gotiche? neogotiche? finto-gotiche? Wikipedia ci viene in aiuto e ci dice che la chiesa in questione risale a metà '800, quindi inseritela voi nella categoria che più vi piace; dicevo, una di quelle tipiche chiese della campagna inglese che da fuori sono tanto pittoresche, ma dentro sono piuttosto spoglie e soprattutto una uguale all'altra. In ogni caso, sono molto curiosa: come ho già detto, sarà il mio primo matrimonio inglese, addirittura di rito anglicano poi. Non ho quindi modo di fare paragoni né di stilare canoni socio-culturali, ma mi pare di capire che i ruoli sono molto più rigidi dei matrimoni italiani. All'ingresso della chiesa ci sono due uscieri che ti indirizzano a due ingressi diversi a seconda che tu sia un invitato dello sposo o della sposa. Tutti vestiti uguali, io pensavo che fossero impiegati clericali, e invece erano invitati anche loro, scelti fra gli amici della coppia.
Poco prima della cerimonia il prete esce e fa le ultime raccomandazioni: spegnete i cellulari, non fate video durante i canti per questioni di copyright (???), rispondete così e cosà quando siete interpellati, non scappate alla fine della cerimonia.
Poco dopo l'1 il coro si accomoda sull'altare e parte la classica musica da matrimonio #1, sulla quale fanno il loro ingresso le otto damigelle, tutte vestite di rosso. Mi viene immediatamente in mente Erika, la mia coinquilina svedese, la quale pochi giorni prima mi aveva raccontato che in Svezia secondo la tradizione se ti vesti di rosso ai matrimoni significa che sei andata a letto con lo sposo.
Segue la sposa, con un semplicissimo abito bianco, accompagnata dalla mamma, una signora forse ancora più raggiante della figlia, anche lei vestita di rosso.

La prima cosa da dire dei matrimoni anglicani: sono corti. Non sono inseriti all'interno della messa come i nostri: cantano un po', leggono un paio di brani, il prete celebra il matrimonio vero e proprio, dice due parole di quella che sarebbe la predica, firma, puoi baciare la sposa, è fatta. Oh, e chiede davvero: Se qualcuno si oppone a questo matrimonio, parli ora ecc. All'inizio della cerimonia, così ci si toglie subito il pensiero. Il nostro prete ha fatto anche una enfatica pausa, tanto per essere ben sicuro. Un vero intrattenitore. Per fortuna nessuno ha detto nulla, e la cerimonia è proseguita. Dicevo, un paio di letture. Realizzo solo ora che non c'è stato alcun brano dal vangelo, ma solo la classica lettura dai Corinzi (dai, anche se non andate a messa da un po', questa sicuramente l'avrete sentita) e un brano molto meno scontato, dal titolo A lovely love story. Una storia d'amore fra due draghi. Giuro. La ragazza che è salita sull'altare a leggere faceva persino le vocine. Sul libretto che ci è stato dato all'ingresso c'è scritto che la storia è adattata da un racconto di tale Edward Monkton. Più tardi a casa ho fatto un po' di ricerca, e ho scoperto che è un brano molto popolare ai matrimoni. Comprendo inoltre il perché di quell'"adattata": la storia originale non parla di draghi, ma di dinosauri. Il fatto che gli sposi siano fan di Game of Thrones potrebbe c'entrare qualcosa con la modifica.

Oltre alle letture, dicevo che abbiamo (hanno) cantato: su questo lato mi sono sembrati un po' più tradizionalisti, con l'esecuzione di inni che boh, noi forse ai tempi del Don Angelo. Un brano però mi ha intrigato, intitolato Lord of the Dance: io subito ho pensato all'omonimo show di danza irlandese, anche se naturalmente, mi sono detta, deve trattarsi solo di un caso. E invece no! Al primo ritornello ho riconosciuto la melodia, è proprio quella dello spettacolo di Michael Flatley! Vi risparmio i risultati delle mie successive ricerche in materia; fatto sta che per tutti i giorni seguenti il motivetto mi era ben piantato in testa. Sto addirittura considerando di iscrivermi a un corso di danze irlandesi.

E per concludere, rimanendo in tema musicale, dopo aver firmato i registri i neosposi lasciano la chiesa sulle note della classica musica da matrimonio #2. A questo punto nasce qualche perplessità, almeno nei cuori di noi povere forestiere - le uniche non inglesi della giornata - circa il da farsi, anche se in realtà sembrano tutti abbastanza confusi, finché una delle damigelle non ci indirizza sul vialetto di ingresso della chiesa che porta all'ingresso principale. I due sposi lo percorreranno passando in mezzo a due file di invitati, i quali lanceranno confettis. Che, fortunatamente, non sono confetti ma coriandoli. Dopo qualche foto di gruppo, accadono in rapida successione due cose: tutta la compagnia si dilegua, e comincia a piovere. A noi non resta che trovare un luogo al chiuso dove passare le successive cinque (5) ore, e ci rechiamo quindi al pub più vicino con la sensazione di essere le uniche a non partecipare a tutta la festa. In realtà nel pub troviamo un altro gruppo di invitati di serie B; io vorrei socializzare, ma le altre non sono molto per la quale, quindi ci mettiamo a un tavolo e facciamo le ghettizzate.

C'è qualcosa che mi affascina nell'attesa, non nell'attesa di qualcosa, ma nell'attesa di fare qualcosa. Non so perché la differenza è importante, forse perché mi fa pensare a quei romanzi in cui la spia X soggiorna all'hotel Y apparentemente ad oziare, mentre in realtà aspetta che arrivi l'agente Z e che la missione inizi. Forse è il fatto di non dover fare altro che lasciar scorrere il tempo. La tempesta che infuria fuori offre anche la consolazione di pensare che tutto sommato non sto completamente sprecando le mie ore, ma dopo una settimana - o tante settimane - di corse frenetiche, di impegni serrati, ora posso semplicemente stare qui a non fare un cazzo. Occasionalmente arrivano da Serena, l'unica di noi invitata a tutto il matrimonio, foto e aggiornamenti sull'andamento della festa. Il lancio del bouquet, il taglio della torta... insomma, più passano le ore e più mi chiedo cosa rimarrà da fare quando sarà per noi l'ora di andare. Che alla fine arriva. Intorno alle 19 chiamiamo un taxi, che ci porta al luogo del ricevimento, in un golf club. Ha pure smesso di piovere.

Il luogo è abbastanza remoto, e il tassista sta perdendo la fede... ma finalmente arriviamo all'ingresso. Dove non c'è nessuno che ci accoglie, ma alla vista di gente elegante capiamo di essere nel posto giusto. Dall'atrio parte un corridoio che a destra porta in una saletta laterale dove intravediamo un TARDIS, un trono di spade, maschere, mantelli e bacchette magiche. È decisamente il matrimonio giusto. L'altro braccio del corridoio porta al salone principale. Le mie compagne sono talmente intimidite e inesperte di matrimoni (ai quali, ne converrete, bisogna portare anche un po' di faccia da culo) che se non fosse per un invitato casuale che ci spinge verso la festa saremmo ancora lì a decidere cosa fare. Arriviamo giusto in tempo per l'apertura delle danze, una cover stile ballad di 500 miles dei Proclaimers. Nella folla individuiamo Serena, che non ha perso tempo a fare amicizia con gli altri invitati. Noi ci sentiamo un po' fuori luogo, la sensazione è quella di arrivare in ritardo a una festa dove tutti sono già ubriachi. No, non è la sensazione, è esattamente così. La soluzione quindi è quella di bere. È il momento della verità: drink a pagamento o open bar? La suspense è tenace, e si scioglie solo nel momento in cui un'invitata accanto a noi al bancone del bar tira fuori la carta di credito. Le peggiori supposizioni si sono rivelate esatte. A parziale consolazione, Serena ci fa sapere che ogni invitato ha diritto a una birra rossa in onore del padre di Megan, che è venuto a mancare qualche anno fa, il quale amava provare sempre nuove varietà di ale.

Forse dirò una bestialità, ma provate voi a ballare in una sala piena di estranei con il solo aiuto di una birra... Ok, ho detto una bestialità, ma chi mi conosce sa che il ballo non mi viene molto naturale, e una percentuale alcolica più alta avrebbe aiutato. Inoltre gli altri invitati non sono neanche particolarmente socievoli, o per lo meno non nei nostri confronti. Non ci resta che metterci a mangiare, la cena a buffet sta per essere servita. Il tavolo è incredibilmente piccolo, in un angolo della sala, ed è apparecchiato con sandwich, sausage roll, polpa di granchio, involtini primavera, mini quiche e fette della torta nuziale. Appare pure un piccolo TARDIS.

Via, diciamolo: a parte l'ovvia felicità per Megan, che finalmente riusciamo a vedere a un certo punto della serata, confesso che la festa è stata un po' deludente, e penso di poter dire che questa sia stata opinione condivisa di tutta la nostra combriccola. Noi, fiduciose, avevamo prenotato il taxi per il ritorno alle 23.30 - ma no! Facciamo mezzanotte! Come Cenerentola! Ma quando alle 23 si sono accese le luci e gli sposi hanno congedato tutti, ammetto che ho tirato un sospiro di sollievo interiore. Certo, c'era sempre da aspettare il taxi, alle 23.30 scarse eccolo lì all'ingresso, e noi pronte in macchina per tornare a casa. Il viaggio di rientro è abbastanza mesto; dopotutto, è stata una lunga giornata. Forse qualcuno si addormenta anche in macchina. Ci pensa poi il freddo della notte di King's Cross a svegliarci - c'è ancora il tragitto in bus per arrivare a casa. Non è tardissimo, ma fa freschino, in fin dei conti sono vestita leggera per i miei canoni londinesi, e quando arrivo a casa è con immenso piacere che mando all'aria la mise matrimoniale e mi metto a dormire. Sempre con Lord of the Dance in testa. Domani, o fra un mese, sarà il tempo per raccontare la mia giornata.  

lunedì 19 settembre 2016

Il teatro interattivo

È più o meno da quando sono arrivata a Londra che volevo andare al Globe. Il fatto è che sono arrivata a settembre, praticamente alla fine della stagione. Poi è iniziata la vita londinese, una cosa tira l'altra, e prima che te ne accorgi passano due anni e ancora non hai fatto quello che volevi fare.
Ma finalmente, il mese scorso o giù di lì, ho preso il toro per le corna, ho convinto Anna (un'amica che nella sua vita precedente era insegnante di lingua e letterature inglese, quindi non è stato molto complicato convincerla), e in quattro e quattr'otto abbiamo preso i biglietti. Macbeth. Che non è la mia opera preferita, ma è pur sempre Shakespeare.

La più grande incognita di qualsiasi attività all'aria aperta di questa città, ovviamente, è il meteo. Oddio non sarà troppo tardi andare a settembre? E se fa freddo? E se piove? Eh sì perché il Globe è tipo il Pantheon, ma con un buco molto più grosso sul soffitto:



Come ogni scrittore che si rispetti - credo - mi faccio le domande e mi do anche le risposte.
E la risposta è: se in questa città vuoi aspettare il bel tempo per fare cose e vedere gente, allora campa cavallo. Ergo scegliamo un giorno strategicamente posto a metà settimana, AKA mercoledì, equidistante da altre esperienze galvanizzanti mirate a rompere la monotonia casa-lavoro-lavoro-casa, e prenotiamo.

Io invito tutti ad approcciarsi al sito del Globe Theatre e giocare un po' con il modulo per acquistare i biglietti online. Quando scegli il titolo, non ci sono solo i banali Mr., Mrs. e Ms. Io per l'occasione sono diventata addirittura Contessa. Alla Royal Opera House sono ancora più esosi - ecco chi si aspettano di ricevere:



Che poi me li vedo William e Kate che prenotano online i biglietti per assistere a uno spettacolo in piedi a ridosso del palco. Perché, come dice Anna, se vuoi fare l'esperienza del Globe, la devi fare in piedi. E noi infatti abbiamo preso i biglietti in piedi, alla modica cifra di 5 pippi.

Miracolosamente, usciamo dal lavoro in orario - chi più, chi meno - e alle 7 siamo pronte a varcare i cancelli del Globe, posto sulla riva sud del Tamigi, altrimenti e localmente nota come Southbank. Aprono quindi le porte della "sala" (o ha più senso chiamarla arena? ché quello mi ricorda) e mi fiondo dentro senza aspettare nessuno, con un entusiasmo che mi ricorda quel 23 maggio 1995, all'apertura dei cancelli dell'Aquatica per il concerto dei Bon Jovi.

E qui si finisce anche in una postazione migliore, praticamente a pogare sotto il palco, accanto a una scaletta laterale che gli attori usano per accedere alla scena. Eccolo qui, il Globe:


C'è ancora una buona luce, e l'ho detto che la giornata è incredibilmente e fortunatamente bella? Non si vede una nuvola. Siamo pronti per cominciare, e cominciamo con un telo che si solleva per mostrare le 4 (?) streghe di Macbeth, che agitano arti mozzati e altri attrezzi di scena. Una delle streghe ha il braccio tagliato all'altezza del gomito, e io passo tutta la prima scena a cercare di capire come hanno ottenuto l'effetto. È solo quando l'attrice torna sul palco in seguito che mi rendo conto che non c'è nessun trucco, è proprio il suo braccio. Più tardi, nel corso della serata, la cosa sarà anche oggetto di una gag.

Il bello degli inglesi e del loro rapporto col teatro è che non hanno paura di smontare i mostri sacri, anche il più sacro di tutti. Le streghe sovrannumerarie non è la sola libertà che si sono presi nella serata: per il palco circola un Macbeth Jr. che, se non ricordo male, non è figlio dell'opera originale; fanno in tempo anche a fare una battuta sul nome di quell'altro diavolo - Donald Trump. Soprattutto, giocano col pubblico tanto da renderlo un altro attore in scena, e mi immagino che è così che doveva essere 400 anni fa. La prima cosa che fa Banquo al suo ingresso in scena è svuotare una borraccia in platea (d'altra parte Macbeth recita in maniera tanto enfatica che non è possibile non concentrarsi sullo sputo a catinelle, e noi sotto il palco ci sentiamo costantemente minacciati dal maltempo). Un membro del pubblico è invitato a dire la sua sugli avvenimenti, un altro viene chiamato in soccorso di un'attrice imprigionata in un sacco, tutti siamo esortati ad alzare grida di guerra prima della battaglia finale. Generalmente non mi interessano particolarmente le scene d'azione, e comunque considero tali solo quelle che coinvolgono inseguimenti, esplosioni, tripli carpiati giù da palazzi in fiamme - ah, lo spettatore moderno, quanto è difficile da accontentare... E invece no! Il duello finale fra Macbeth e Macduff è stato galvanizzante, lo ammetto, nonostante la morte avvenga off stage. Lo stesso dicasi per gli effetti speciali, che rendevano tutte le scene con streghe e fantasmi davvero inquietanti; anche merito della musica, eseguita dal vivo da un numero imprecisato di musicisti sistemati su un balconcino sopra il palco.

È così che si sentiva lo spettatore shakespeariano contemporaneo? Non lo so con certezza, ma penso di sì.

lunedì 5 settembre 2016

La vida es un carnaval

Mo non voglio dire, ma lo scorso weekend c'è stato il Carnevale di Notting Hill.
Giustamente, qualcuno mi ha fatto notare: Ma il Carnevale? Adesso?

Sì.

Il Carnevale di Notting Hill, dai. Non ho controllato le fonti, quanto sono pigra?
Onestamente non so se ci andrei se fossi solo parte del pubblico - una bolgia del genere non penso di averla mai vista, si mormora un milione di presenze. Il festival di strada più grande d'Europa, e il secondo carnevale più grande del mondo, pare.

Ed ecco come i residenti si preparano all'evento:


Praticamente un assedio.

Far parte della sfilata e stare nel gruppo offre una certa sicurezza, e i tappi nelle orecchie aiutano a preservare l'udito. Si vedono in giro camion carichi di casse e altoparlanti che con un giro di bassi potrebbero farti saltare le otturazioni. Allineati lungo le strade furgoncini e bancarelle vendono cibo di strada caraibico. Spazzatura si accumula a ogni angolo e l'asfalto diventa di mille colori (non ho capito per quale strana tradizione i partecipanti al carnevale sembrano arrivare dalla Colour Run).

La nostra marcia è iniziata intorno a mezzogiorno di domenica, e abbiamo suonato e camminato più o meno ininterrottamente fino alle 5 del pomeriggio. Non appena siamo partiti, ha iniziato a piovere - fortunatamente eravamo preparati all'evenienza e avevamo equipaggiato le alfaia (ho deciso che si tratta di un sostantivo femminile) con un telo antipioggia, ovvero un sacco della spazzatura attaccato con lo sputo al tamburo. Che ha fatto il suo sporco lavoro. Altro pezzo fondamentale e immancabile del buon percussionista: i cerotti preventivi. O rischi di ritrovarti le mani tutte bucate.

Evidentemente non mi sono equipaggiata abbastanza
Il pomeriggio è passato fra una scrosciatina di pioggia e l'altra, sfilando per le strade di Notting Hill fra una folla quanto mai eterogenea, evitando i camion, gli ubriaconi, le bottiglie rotte.
Detta così sembra una guerra. Ma se siamo tornati qui anche quest'anno (il secondo per me, il quinto per Estrela do Norte), vorrà dire che ne vale la pena. A me basta solo il fatto di far parte di un gruppo e suonare insieme (banda di Vanzago, mi manchi!); ma essere al centro di un evento del genere, con fiumi di energia che scorrono, nel bene e nel male, da e verso di te, è un'esperienza fantastica. Nonostante il peso dell'alfaia, il mal di schiena, di spalle, di braccia, i lividi che lo sa il Signore se spunteranno il giorno dopo sulle gambe, i decibel assassini, le vesciche sulle mani, le scene poco edificanti che diventano sempre più numerose con il passare delle ore (tipo più tardi la sera, il muro del piscio), le scene da apocalisse zombi dell'indomani... Poi incontri un bimbetto alto 60 cm che ti chiede se può fare la foto con te e se può provare a suonare il tamburo, una ragazza in sedia a rotelle che balla lungo la sfilata, una sciura settantenne seduta ai margini della strada che si unisce al nostro canto, i ballerini più o meno (o molto meno) professionisti che volevano prendersi una pausa, ma poi iniziamo a suonare e loro ricominciano a ballare.

Siamo finiti anche in TV

È come essere in un quadro di Bosch, scegliete voi se Il Giardino delle delizie o Il Giudizio universale. Impressione che si fa sempre più forte quando la nostra parte è finita, la sfilata si è conclusa, e dobbiamo ritornare al punto di partenza, attraversando la bolgia. Io ho avuto l'idea infelice, pensando che prima di ripartire avremmo avuto un attimo di tregua, di prendere un baslotto (come chiamate quei contenitori di polistirolo per il take away?) di ackee and saltfish, ovvero baccalà e ackee, un frutto tropicale di cui ignoro il nome italiano, ammesso che esista. Dicevo, baslotto in mano, Sam (il maestro... vi ho mai parlato di Sam? Mi sa di no) ci dà l'ordine di partire. Non mi resta che lasciar andare un sospiro rassegnato, cedere la mia alfaia Anastacia - ogni strumento ha un nome proprio - a un gentile collega, e per non fare proprio una figura meschina io trasporto un(a?) gongue, ovvero la cosa che ha in mano il signore nella foto di sotto


In pratica è una massiccia e pesantissima arma da difesa, o almeno io così l'ho usata per poter tagliare la folla. Hyeronimus Bosch, ricordate? La densità per metro quadro è uguale a quella sulla Northern Line la mattina alle 8.00. Ora non siamo più protetti dal nostro status di musicisti, siamo solo dei disgraziati che alla spicciolata cercano di tornare al VIA portando con sé bagagli molto ingombranti. Io ho anche il baslotto. Ogni tanto, quando la folla si dirada un po' - tipo stazione Cadorna alle 7.30 - Sam si ferma e si assicura che ci siamo tutti. A ogni sosta io ne approfitto per mangiare un po' della mia cena. Finalmente, Sam prende una decisione: "Rimettiamoci a suonare, è il modo più veloce e sicuro per arrivare alla meta." L'idea piace a tutti, e in formazione piuttosto sgangherata riprendiamo a suonare. Come Mosè davanti al Mar Rosso, vediamo che effettivamente la folla si apre per farci passare. Avessero avuto dei tamburi, i Guerrieri della notte avrebbero avuto vita molto più facile.

Per fortuna non eravamo così lontani dal nostro furgone. Una volta lì, non so da chi o come sia partita l'iniziativa, ma qualcuno riprende a suonare. O forse non abbiamo mai smesso, non ricordo. Il fatto è che proprio lì, ai margini della festa, sotto un cavalcavia, riparte il ritmo in un movimento circolare. La Regina e un re succedaneo entrano nel cerchio e si mettono a ballare. Chi sta venendo via dal Carnevale si ferma e riprende a ballare e cantare. Si raccoglie una folla di una cinquantina di persone, forse di più. È una festa nella festa e dopo la festa. La gente ci chiede di continuare a suonare. Lì accanto ci sono due poliziotti morti di noia il cui compito è bloccare l'accesso a una stradina laterale. Uno è seduto in macchina, l'altro appoggiato alla transenna si sporge per seguire lo spettacolo. Quando finiamo e ci prepariamo per tornare a casa, non la smette più di farci domande, chiama il suo collega, facciamo una foto tutti insieme. Sospetto che il nostro concerto spontaneo sia stato il momento più bello della sua giornata. Sicuramente, per me lo è stato.


mercoledì 24 agosto 2016

Ufficio complicazione affari semplici

Oggi per la terza volta sono andata dall'ottico nel tentativo di ricominciare a utilizzare le lenti a contatto. Scomponiamo l'epopea:

0. Acchiappo un volantino dal ragazzo fuori dal negozio che promette visita gratis. Sotto! Fortunatamente penso bene di entrare a chiedere se posso andare quando mi pare. Ovviamente no. Mi prenotano la visita.

1. Vado a fare la prima visita. CHE SORPRESA, mi dicono che devo cambiare gli occhiali. Però i miei occhi sono giovani e sani, eh (mi hanno fatto anche la foto, a entrambi gli occhi). Un po' secchi, quindi già che ci sono mi prescrivono le gocce. Io spiego che sono lì perché voglio ricominciare a portare le lenti a contatto. Ma allora per questo dobbiamo prendere un altro appuntamento.

2. Nuovo appuntamento dove vogliono capire i perché e i percome voglio mettere le lenti a contatto. E comunque, by the way, guarda che non sostituiscono i nuovi occhiali che ti abbiamo prescritto! Mi ricontrollano gli occhi e ordinano le lenti che fanno per me. Non appena arrivano, posso tornare per provarle. Ti chiamiamo noi.

3. Oggi mi chiamano, sono arrivate le lenti. Vado al negozio in pausa pranzo, e mi abbandonano in una stanzetta dicendo: indossale, poi ti metti in sala d'attesa per una ventina di minuti e vediamo come va.
Ho passato solo venti minuti cercando di indossarle. Alla fine, la sinistra è entrata, la destra si è rifiutata. Io poi speravo che qualcuno si accorgesse della lungaggine dell'operazione, invece nulla. Mi affaccio un paio di volte sperando di intercettare qualcuno, ma è ovvio che sono tutti occupatissimi con la folla di clienti della pausa pranzo. Quando mi manca il mio ottico di fiducia al paesello. Ma tanto.
Finalmente un commesso mi chiede cosa c'è che non va; io, un occhio lentato (e chi porta le lenti sa che a volte ci mette un po' ad andare a posto) e l'altro ciecato, gli spiego che non riesco a mettere la seconda lente.

Allora ti dobbiamo prenotare un appuntamento per imparare a metterle.

Ho capito bene? No, me lo faccio ripetere.

Ho capito bene.

Mi piazzano su una sedia, in attesa di una gentile signorina che venga a fissarmi l'ennesimo appuntamento, Nel frattempo cerco di togliere la lente sinistra, che rischia di perdersi nell'occhio. Inizio a innervosirmi e mi immagino già di dover chiamare in ufficio spiegando che non posso tornare dopo la pausa, devo andare al pronto soccorso a farmi estrarre la lente dall'occhio. Fortunatamente, dopo qualche tentativo, mi sbarazzo del corpo estraneo, ed ecco che arriva la signora per fissarmi il nuovo appuntamento. Le uniche possibilità sono alle 10.45 o alle 16.10, "perché la persona addetta viene solo in quegli slot". Sempre più incredula, prendo appuntamento per un sabato pomeriggio.

La saga continua.

martedì 23 agosto 2016

Post salvavita

Oggi sono andata a fare i vaccini per il Brasile. Ho fatto:

  • antitetanica
  • antitifica
  • antiepatite A
  • antipolio
  • antidifterica
Ora ho le braccia tutte bucate e se mi fanno l'antidoping mi arrestano. Ma mi manca ancora la febbre gialla.

E grazie (si fa per dire) che non esiste ancora un vaccino per la malaria, la dengue e la zika.


giovedì 18 agosto 2016

I'm gonna be (9.5 miles)

Alcuni sapranno che da un paio di anni ho sviluppato una certa passione per l'escursionismo. Il racconto lungo lo riservo a tempo migliori, qui invece descriverò una delle mie tipiche passeggiate domenicali, che da diversi mesi a questa parte sono diventate una tenace abitudine.

Armata di questo preziosissima guida a prova di idiota (che comunque non mi impedisce di perdermi)


ogni settimana scelgo una destinazione nei dintorni di Londra, preparo il mio zainetto, infilo gli scarponi e prendo il treno, che mi porta al punto di partenza della mia scarpinata e, se tutto va bene, mi raccoglie alla meta.

Dopo aver fatto praticamente tutto l'inverno a camminare per campagne (si può fare! L'unico rischio da mettere in conto sono le giornate cortissime, ahimè), mi sono presa una lunga pausa primaverile a causa di problemi non identificati alle gambe. Ma domenica scorsa aspettavamo un tempo splendido, e il richiamo dei sentieri è stato troppo forte... era il momento di mettere alla prova il cavallo di San Francesco!

Per non strafare, ho scelto un percorso breve e semplice, circa 16 km senza particolari dislivelli, da Gerrard Cross a Cookham, da qualche parte nel Berkshire. Facciamo che per capirci ci piazziamo una mappa:

È quello rosso (cit. Capitan Ovvio)
La giornata non è splendida come ci era stato promesso, ma almeno non piove, ed essere di nuovo per campagne, lontano dal caos cittadino (esclusi gli attraversamenti autostradali) mi gasa subito tantissimo.

Neanche quel manipolo di cavalli in lontananza mi inquieta. Neanche un po'. Neanche se dopo un po' spariscono nel folto della boscaglia in cima alla collina che mi appresto a scalare. Forse sono cavalli timidi, che fuggono la presenza dell'uomo. O della donna.
O forse sono perigliosissimi cavalli mannari che si sono appostati dietro agli alberi per tendermi un'imboscata.

Capito che tipo di pensieri mi si affollano nella testa quando vado a camminare da sola? Ogni curva del sentiero, ogni rumore fra gli alberi è il preludio di un film che, per fortuna, probabilmente non si realizzerà.

Tipo, alla fine questi erano solo cavalli timidi
A volte però capitano contrattempi che meritano di essere menzionati, che rendono giornate altrimenti tranquille un po' più frizzanti. Quest'oggi per esempio, sempre parlando di cinema, ho avuto un'esperienza... leoniana? leonina? nel momento del mio duello con la mucca.

Diamo un po' di contesto, perché altrimenti sembra che io sia affetta da una ridicola fobia dei bovini (tra l'altro ho cercato se esiste un termine tecnico, e pare di no. Cosa del tutto incomprensibile per me. Esiste un lessico immenso sul tema, ma nulla a proposito delle vacche.): non è fobia, è diffidenza reciproca. Vi rimando dunque a un antico post che ne illustrerà le origini.

È un po' lungo, ma ne vale la pena.

Ciò detto, la mucca odierna. LE mucche, in mezzo a questo campo che si trovava esattamente fra me e la pausa pranzo.

In foto sembrano piccole, eh
Io sempre gasatissima fino a quel punto: le gambe non davano segnali sospetti, ero perfettamente in linea con i miei tempi standard - 4 km/h - e insomma ero di buon umore per la giornata.

Scavalco lo steccato per entrare nel campo, e vedo signore mucche sparse di qua e di là. Ok, niente panico, le ho già fatte cose così. Le mucche sono timide, mi vedranno arrivare e si sposteranno. Uhm, ma ci sono in giro anche dei vitelli. Le mucche con i vitelli in giro diventano meno timide e più... non voglio dire aggressive, diciamo che stanno molto sulla difensiva. Va bene, non è che abbia alternative, inizio ad attraversare il campo. E vedo una mucca gigante - o forse è un toro? - che sta esattamente svaccata, è il caso di dirlo, sulla mia traiettoria. Mi vede. Tutte, mi vedono. E mi tengono d'occhio. C'è tensione nell'aria, o sono io? Un paio di vitelli, incuranti dell'atmosfera degna del miglior Hitchcock, bighellonano fra le mamme, piazzandosi proprio davanti al cancello che dovrò attraversare nell'altro angolo del campo. Mi incammino, piano piano. Mi avvicino all'ostacolo, la mucca gigante, e sono sempre più convinta che sia un toro. Ovviamente indosso una maglietta rossa. Mi sento come Atreyu all'Oracolo del Sud.



La mucca non mi leva gli occhi di dosso; io sono sempre più vicina, finché quella fa un movimento secco con la testona. Mi fermo. Considero. Parte un nuovo film, la mucca che in 0,3 secondi mi carica e mi fa volare in mezzo al campo.

Inizio a indietreggiare.

Continuiamo a fissarci. Retrocedo, forse per 50 metri: non mi sono mai sentita così ridicola e minacciata allo stesso tempo. È per miracolo che non pesto una scagazzata. Sarebbe la ciliegina sulla torta.
Torno al punto di partenza e rifletto sulla possibilità di sconfinare nel campo accanto e proseguire in parallelo. E se poi non riesco a tornare sul sentiero? E se il recinto è elettrificato? E se il contadino mi insegue con il fucile perché non ho diritto di passaggio?

Pausa.

Mi siedo sullo steccato, e mangio. Un tristissimo sandwich preso al volo in stazione prima di partire. Spero che nel frattempo la mucca si levi di mezzo e lasci libero il sentiero.
E, incredibilmente, nel giro di un panino che fa davvero pena, la mucca si alza! Non si allontana poi di tanto, ma almeno mi lascia un maggiore spazio di manovra. Raccolgo le mie cose, e proprio in quel momento sento arrivare qualcuno alle mie spalle. Una coppia, benissimo! Le vinceremo per superiorità numerica! Ma la coppia ha con sé un cane, un giovane labrador. La cosa non mi rende tranquilla, ma non posso restare qui per sempre. I signori non si fanno tutte le paturnie che mi faccio io, perché senza esitazione si dirigono verso l'altro lato del campo, mucche o non mucche. Faccio quasi fatica a star loro dietro, e nel frattempo cerco di offrire esili spiegazioni - pare più a me stessa che a loro - sul perché abbia esitato così tanto. La signora non sembra particolarmente colpita dal mio racconto, e il marito non è minimamente interessato. Ma poco importa, perché finalmente sono passata! Gioia e giubilo! Manco Mosè dopo il Mar Rosso!

Fortunatamente, dopo pranzo - sandwich triste n. 2 - i successivi incontri con la fauna locale sono tutti meno inquietanti, anzi decisamente più piacevoli. Attraverso infatti un boschetto vivacemente popolato da daini (credo), uno addirittura passeggia nel giardino di una villetta.



E poi alberi incisi in maniera bizzarra



 E alberi socievoli in maniera bizzarra

Vai avanti tu
E fiori


E altri incontri inquietanti

Gli amici whovian capiranno
E arriviamo infine a destinazione, ancora una volta sana e salva. A questo punto mi meriterei un casino una birra in uno dei pub di Cookham, che pare proprio un paesino carino. E, realizzo solo ora, ha per toponimo il nome di un affettato.
E invece, avendo deciso di sospendere il consumo di alcol fino alle vacanze, medito se ho voglia di altro... un tè? Un succo di frutta? Una coca cola? No, no e no. Non mi resta che incamminarmi alla stazione per prendere il treno, che acchiappo al volo. Approfittiamo del viaggio di ritorno per fornire qualche statistica:

- Distanza percorsa: 15,33 km
- Durata; 4 ore
- Velocità media: 3,8 km/h (è che mi lascio distrarre facilmente e rallento)
- Calorie bruciate: 1,252 (cifra sicuramente accurata)

Rispetto a precedenti camminate non è sta grande impresa. Ma, per essere la prima uscita della stagione dopo una luuuuuunga pausa, non mi lamento.

domenica 14 agosto 2016

A night at the opera

Sono scarsa coi titoli, cerco sempre qualcosa ad effetto e che possibilmente coinvolga un gioco di parole o una citazione. Se poi è vagamente fuorviante, ingannevole, o molto mendace, non importa.

Prendiamo ad esempio il titolo di questo post.

Tanto per cominciare, non parleremo di opera, che ahimè è una forma rappresentativa che proprio non riesco a farmi piacere. Parleremo invece di teatro. E non di una serata in particolare, ma di parecchie serate. 
In realtà volevo raccontare dell'ultima volta in cui sono andata a vedere uno spettacolo teatrale, qualche giorno fa, ma ho avuto poco tempo per scrivere, e in questo breve lasso di tempo l'ultima volta in cui sono andata a vedere uno spettacolo teatrale è diventata la penultima volta in cui sono andata a vedere uno spettacolo teatrale.
Infatti mi capita molto più frequentemente di avere più voglia di teatro che di cinema (nonostante la mia carta fedeltà al Carletto, di cui alla prima occasione vi racconterò), e non è escluso che il teatro costi pure meno del cinema, generalmente l'offerta è migliore e l'esperienza è spesso singolare.
Qui poi ci sono un sacco di teatri, molti concentrati nella zona del West End, e questo si traduce sostanzialmente in un gran bell'imbarazzo della scelta.

Buttiamo nel mezzo di questo vivace panorama Eleonora, la mia theatre advisor nonché una delle mie amicizie di più antica data qui a Londra, che ha sempre il radar attivo e affilato su nuovi show e che spesso mi propone cose da vedere – non sempre, per fortuna, o per stare appresso a tutto quello che vede lei mi ci vorrebbero settimane da 12 giorni.

Presempio, cose che sono andata a vedere quest’anno:


  •         Richard II di Shakespeare (tre volte)*
  •         Austentatious, spettacolo improvvisato – ma io non ci credo tanto – su imbeccata del pubblico, “ispirato” ai romanzi di Jane Austen. Grasse risate.
  •         The caretaker di Harold Pinter – ma, niente, dopo The dumb waiter, nient’altro dell’autore mi ha convinto allo stesso modo.
  •         X, di un giovane scrittore inglese di cui ora non ricordo il nome, e me ne dispiaccio moltissimo, perché lo spettacolo è meraviglioso, una specie di fiaba horror-fantascientifica a sfondo ecologico. Io non pensavo si potesse avere così tanta paura a teatro.
  •         The play that goes wrong – Io non pensavo si potesse ridere così tanto a teatro.
  •         Yerma di Federico García Lorca – per usare un termine che va tanto di moda ora, un gran disagio
  •         Our ladies of perpetual soccour – coming of age musical su un gruppo di ragazzine scozzesi; divertente e amaro, da quel 40% di dialoghi che ho capito.
*Qui ci sarebbe da aprire una parentesi interminabile sull'argomento, ma per non ledere la mia dignità (e per non ripetermi, dal momento che in illo tempore ho assillato a sufficienza parenti e amici), preferisco stendere il velo del mistero.

La prossima volta - perché naturalmente ci sarà presto una prossima volta, ho appena prenotato - cercherò di entrare un po' più nel dettaglio e scrivere una recensione degna di Vincenzo Mollica. 

lunedì 8 agosto 2016

Non Ho Salute

No, non è vero, toccando ferro (o legno, come dicono gli inglesi), la salute sta abbastanza bene.
Il titolo del post è solo un trucchetto squallido per ottenere l'acronimo NHS, National Health Service, ovvero la mutua britannica.

Oggi vi parlo di questo, dal momento che proprio oggi sono andata a trovare il mio dottore. O meglio, i miei dottori. O meglio, i miei GP, general practitioner, ovvero i medici di base.

Dopo tipo due anni che sono arrivata qui, mi sono finalmente decisa a iscrivermi al servizio sanitario nazionale. Appena in tempo, tra l'altro, appena un paio di settimane prima del Brexit. Sai mai cosa succederà in futuro per gli stranieri.
Premesso che non so bene come funzioni in Italia, perché da quando ho lasciato il pediatra ho sempre avuto un solo punto di riferimento medico... fatto sta che qui vai sul sito dell'NHS, inserisci il codice postale di residenza, e ottieni la lista dei centri medici che coprono la tua zona, i servizi offerti, i contatti, le recensioni degli utenti (ebbene sì). Io ammetto che mi sono fatta consigliare da amici che vivono in zona, e un paio di mesi fa mi sono registrata in un centro medico poco lontano da casa. Qui operano un numero imprecisato di GP e infermiere, che con l'aiuto di un sistema sufficientemente automatizzato danno vita al servizio sanitario di zona.

Nel corso della prima visita si tiene un'intervista per capire come sta messo il nuovo assistito (storia medica personale e dei familiari più o meno stretti, abitudini di vita, ecc.), ti prendono la pressione (perfetta!), ti pesano... insomma, cose di questo genere. Dopodiché, se tutto va bene, meno ti vedono, meglio è. Scordatevi tutti gli esami che in Italia sono caldamente consigliati ogni 12 mesi - qui se va bene ti richiamano dopo 3 anni. Il fatto è che il sistema è interamente gratuito, e questo comporta vari corollari. Principalmente 2:

  1. Qualunque cosa tu abbia, ti sarà prescritto del paracetamolo;
  2. La regola dei 10 minuti.
È possibile prendere un appuntamento della durata di non più di 10 minuti, durante i quali devi spiegare il tuo problema e il GP deve ipotizzare metodi di indagine e soluzioni. A me sta cosa mi mette un po' d'ansia, mi sento come l'ospite che ti piomba in casa non invitato proprio quando stavi per entrare in doccia, che poi devi uscire per l'aperitivo.

E non è che parli ogni volta con lo stesso, eh. È un terno al lotto. Magari puoi scegliere se vuoi un medico uomo o donna; io per l'appuntamento di oggi ho scelto, ma ho pescato un nome a caso, sperando che fosse la stessa dottoressa che mi ha visitato la prima volta (un personaggione, sembrava la dottoressa nera di Grey's Anatomy). Invece no. È stata brava ugualmente, per carità. Ha addirittura prescritto, contravvenendo al corollario n. 1, delle analisi di laboratorio per scoprire [warning: fa schifo] quale tipo di fungo si è accampato sulle mie unghie dei piedi. Solo che manca quel rapporto di familiarità e quasi di amicizia che si instaura con chi ti segue in ogni tuo raffreddore, mal di schiena o herpes zoster.

In ogni caso, mi tocca tornare fra un paio di settimane, quando ho preso appuntamento per le vaccinazioni per il Brasile. Sperando che sia qualcosa di un po' più forte del paracetamolo.

P.S. Comunque la quinoa non mi è uscita tanto bene

Brazil in London

Giuro che ieri, con un minimo sforzo di immaginazione, poteva anche sembrare di essere da qualche parte nel mar dei Caraibi. Musica latinoamericana, sole picchiaduro, un paio di palme, perché no un mojito.

La location era Southbank, che autoesplicandosi si trova sulla riva sud del Tamigi; per la precisione, l'arena all'aperto che c'è davanti allo Scoop, bizzarro edificio emisferico o quasi, fra London Bridge e Tower Bridge, di fronte alla Torre di Londra. Tali punti di riferimento sono quei dettagli che tradiscono la vera location in cui ha luogo l'evento, cioè il festival a tema brasiliano per celebrare l'apertura dei Giochi Olimpici.

Con Maracatu Estrela do Norte, che ora conoscete, abbiamo suonato in due sessioni, quella di apertura alle 11 e una seconda volta alle 13, per 30 minuti. C'erano poi altri gruppi culturali brasiliani che rappresentavano le varie sfumature dello spettro del samba e del carnevale.

Per darvi un'idea dell'atmosfera che si respirava, ecco qualche foto (anche perché stasera mi manca la forza, ieri ho speso troppe energie):

Alfaias
Colleghi di una band rivale (ma no, che ci vogliamo tutti bene)




Re e Regina del carnevale

Vabbè basta


Per concludere, video! Gentilmente offerto da Yi (di cui potete ammirare il dito indice), la collega di cui vi ho parlato qualche post fa.



A questo proposito, un sentito ringraziamento - che andrà almeno in parte perso nello scambio linguistico - a lei e agli altri colleghi, ex colleghi ed amici che sono venuti a fare pubblico!

Questo post è veramente grezzo, ma spero apprezzerete comunque!

L'ora del post stupido

Come misurare 50 gr di quinoa senza avere una bilancia:


  1. Prendi il pacchetto da 500 gr di quinoa.
  2. Ne versi metà in una tazza;
  3. Versi metà di quello che rimane nel pacchetto in un'altra tazza;
  4. Versi metà di quello che rimane nel pacchetto in un'altra tazza.
I più sgamati in matematica avranno calcolato che ora nel pacchetto ci rimangono 62.5 gr di quinoa. A questo punto,

     5. Gettare x grammi di quinoa nel lavandino nel tentativo di lavarla.


Domani parleremo di come cucinare la quinoa così faticosamente calcolata.

mercoledì 3 agosto 2016

Maracatu

È da un po' che non scrivo, ma giurin giuretta non sono stata pigra (e comunque niente a che vedere con le pause che mi prendevo in passato, dai). Nei giorni scorsi ho ospitato a casa una collega che era homeless per qualche giorno, quindi il tempo per fare l'asociale con la mia scrittura è stato poco. Poi ieri sono andata alle prove, ed eccoci a mercoledì grazie a dio.

Ed è proprio delle prove che vi racconto oggi, delle prove e della band.

Fin da quando da ragazzetta vidi questo video di Michael Jackson


(ma pure le sfilate con gli sbandieratori) ho sempre avuto il pallino di suonare in una di queste band che fanno tanto rumore. E qui, con qualsiasi cosa tu voglia cimentarti, è possibile che troverai facilmente il modo di farla.

Così l'anno scorso mi sono unita a questa band brasiliana chiamata Maracatu Estrela do Norte, il che ha soddisfatto tutta la mia necessità di fare rumore. La prima volta che sono andata alle prove ho passato due ore a cercare di suonare, ballare e cantare - in portoghese, che non è una lingua che conosco - tutto insieme. Cervello in cortocircuito, ma per quelle due ore ho dimenticato tutti i miei problemi.

Ho suonato con la band più o meno per tutta l'estate, abbiamo partecipato al Brazil Day a Trafalgar Square, abbiamo preso parte al carnevale di Notting Hill e a qualche altro concerto.

 
A novembre dell'anno scorso mi sono capitati un sacco di cambiamenti tutti insieme, e ci ho messo del tempo a riaggiustarmi. Mi sono presa una pausa dalla band, e la pausa ha quasi rischiato di diventare permanente. Sono stati sei mesi un po' spinosi. Però nel momento in cui la mia vita sociale era a zero per una serie di circostanze casuali e concomitanti, ho deciso di riprendere.

Una delle decisioni migliori che abbia preso in questi sei mesi.

Da dove cominciare a spiegare? Farò un elenco puntato, che mi aiutano sempre a mettere ordine:

  1. Una sera a settimana stacco completamente dalla routine e non penso a nient'altro se non a tenere il tempo e far finta di cantare in portoghese (che, no, non ho ancora imparato).
  2. Non è solo beneficio mentale ma anche fisico! La alfaia (quel grosso tamburo) non è un ottavino e, se vuoi fare le cose per bene, devi picchiare duro. Di conseguenza le endorfine esplodono tutte intorno a te. L'effetto dura per ore. Garantito.
  3. La vita sociale rischia di avere un boost pazzesco. Due settimane fa mi hanno convinto ad andare a yoga al mattino, tornare a casa alle 6 del pomeriggio per poi uscire di nuovo alle 9, andare dall'altra parte della città e scatenarmi nelle danze a un festival brasiliano. Di domenica.
  4. Yoga, appunto. Una signora della band, Max, è un'insegnante di yoga e quando arriva la bella stagione decente ci dà appuntamento ogni settimana in un parco diverso della città per una lezione di yoga seguita da picnic e svacco. L'unico problema è che questo avviene di domenica mattina. Motivo per il quale finora sono andata solo 3 volte.
  5. Ora, non vorrei suonare come un'approfittatrice, ma la band mi ha anche risolto il problema delle vacanze quest'anno... Brazil! Ulteriori dettagli in seguito.
E insomma, mi pare un'introduzione atta a questo mio hobby. In realtà non ho detto molto sulla band in sé, sui suoi personaggi, sulla musica... rimandiamo a un altro post!

giovedì 28 luglio 2016

Yujin

Dopo Yi, rimaniamo in Oriente. Oggi vi racconto della mia amica Yujin.

Ho conosciuto Yujin tre anni fa, nell'ultima parte del mio viaggio australiano - quella che non è mai finita nel blog. Ero a Perth, da lì sarei partita per Bali, ma prima avrei passato una settimana in città. Yujin era in camera con me nell'ostello. Lei era appena arrivata dalla Corea del Sud con il suo working-holiday visa, io stavo per andarmene. Nonostante i pochi giorni passati insieme, abbiamo legato immediatamente e in una maniera sorprendente, abbiamo scoperto un'incredibile affinità su più livelli; la cosa che più mi fa specie se ci penso è quanto avessimo in comune in termini di percorsi di vita.

Pochi giorni dopo esserci incontrate, lei è partita alla scoperta del continente australiano, piena di entusiasmo, io tornavo a casa un po' con la coda fra le gambe. Da allora, ci siamo sentite ogni tanto su Facebook, ma nulla di più.

Qualche giorno fa, posto una delle mie foto del KFC su Facebook, e Yujin mi contatta, chiedendomi se fossi a Londra. E Facebook fa il miracolo! In quattro e quattr'otto organizziamo per incontrarci dopo il lavoro. Il lavoro gentilmente mi concede di uscire in orario, il meteo è piacevolmente benigno nonostante una mattinata pessima, e come da programma ci troviamo a Camden Town. 

Che bellissima sorpresa! Esitiamo un attimo a riconoscerci, ma solo un attimo, ci corriamo incontro, ci abbracciamo, e subito sembra di essere ieri che ci siamo viste l'ultima volta; ma le cose da raccontarci sono tantissime, quello che ci è successo da quando ci siamo separate, ma anche ritornare con la memoria alle storie che ci siamo scambiate in quei giorni. Passeggiamo per il mercato di Camden, che a quest'ora di un mercoledì si sta svuotando in fretta - è la prima volta che noto la sua struttura a bazaar - prendo da mangiare a una bancarella malese, andiamo a sederci lungo il canale, senza mai smettere di parlare. L'impressione di aver avuto due vite così diverse, eppure con tanti punti in comune, è ancora viva dopo 3 anni; ascoltiamo le rispettive storie, ci raccontiamo i traguardi raggiunti - così diversi da quelli delle nostre coetanee, così intangibili, eppure Yujin mi aiuta a capire che pur sempre di traguardi si tratta. Andiamo a toccare esperienze passate difficili, che entrambe abbiamo cercato di nascondere o dimenticare, e invece oggi ne parliamo non con facilità, ma almeno con un certo senso di liberazione, anche se per quanto mi riguarda c'è ancora tanto lavoro da fare. Però parlare e confrontarmi con lei mi ha fatto almeno intuire quanta strada ho fatto fino ad oggi.

Mentre parliamo sedute sul canale, passano due singolari individui (donne? uomini? boh) che fanno cosplay, un incrocio fra Minnie, le guardie della Regina di Alice e Harley Quinn. Non penso di aver dato l'idea. Ma Londra è anche questo, e Camden soprattutto. I due non possono fare a meno di attirare l'attenzione di tutti i presenti; io penso che stiano andando a una festa, e invece li vedo sedersi in un caffè sull'altra riva del canale, a livello della strada, da dove arriva musica acustica. Dal momento che ho finito di mangiare e Yujin ha voglia di prendersi un dolce, decidiamo di andare proprio in quel caffè, che ho visto così tante volte e avevo sempre evitato con sospetto date le vibrazioni hipster che emanava. E insomma, non mi sbagliavo. Ma in fin dei conti ci stava tutto: open mic night, finestroni sul canale coperto dalle foglie degli alberi, la ferrovia che corre parallela all'acqua, le narrow boat ormeggiate, un cielo plumbeo che però non spaventa più, tanto la pioggia ha già dato.

Sono le 9 quando ci salutiamo, scorrendo i rispettivi impegni per le prossime settimane e concludendo che probabilmente settembre sarà un buon mese per vedersi. Per una volta la distanza nel tempo non mi spaventa né mi frustra. Un po' perché settembre è dietro l'angolo (ansia), un po' perché, con certe persone, è sempre come se le avessi viste ieri. E ritrovarle sulla mia strada è un po' come essere a casa.


martedì 26 luglio 2016

Yi

Secondo giorno del revival, secondo post. Brava!

Oggi tra l'altro manco è successo qualcosa di notevole, a parte che ho perso le prove perché sono uscita tardi dal lavoro.

Quindi oggi, prendendo spunto da questa foto, parlerò di Yi.


Yi è una mia collega, una ragazza cinese adorabile. Fin dalle prime settimane di lavoro, quando ancora più o meno nessuno mi rivolgeva la parola, Yi quasi ogni giorno mi chiedeva: Ilaria! Hai pranzato? o Ilaria! Cosa fai ancora qui a quest'ora? È tardi!

I primi tempi eravamo compagne di banco, e più volte aveva l'abitudine di lasciare sulla mia scrivania un dolcetto o un pezzo di cioccolato, con la scusa che se non avesse distribuito, avrebbe mangiato tutto lei.
Ora è appena tornata dalle vacanze - in Cina, presumo - e ha portato in ufficio i famigerati Kit Kat verdi,


dei cosi a forma di Minions che ho già avuto la disgrazia di assaggiare, e il dolcetto di cui potete vedere un'immagine sopra. Ero molto titubante, ma Yi mi aveva offerto personalmente una di queste merendine (Tokyo Banana, si chiamano), e non volevo mica fare la cafona! 

Ci ho messo due giorni a decidermi - dopo che il mio manager mi ha caldeggiato di mangiarla "dopo aver completato tutti gli incarichi della giornata" [cit.]. Ma stasera ero troppo scazzata per aver perso le prove... e quando sono scazzata, compenso col cibo. E il cibo a portata di mano era quello.

Primo morso: disgusto. Non per il sapore in sé, ma per la consistenza: cilindro di pan di spagna (io ooooodio il pan di spagna!) che avvolge un cuore dell'equivalente cinese di crema pasticcera. 
Secondo morso, Dai, non è poi così male.

E poi è finito.

Per fortuna qualcuno aveva portato in ufficio una scatola di Baci Perugina.

L'anima prova nell'amore una esuberante libertà.

Ma voi lo sapete cosa sono i brownie point?

lunedì 25 luglio 2016

Where is Swaggirl 2.0 - O, per meglio dire, cosa combina Swaggirl

Più di 3 anni dall'ultimo post. Incredibile.

Incredibile che stia riprendendo in mano questo blog, stavolta con l'idea di fare post più brevi e possibilmente più frequenti.
Tanto lo so che entrambi i propositi verranno meno.

Stavolta l'idea è quella di scrivere pezzettini di cose, possibilmente belle e mi auguro curiose e inusuali, che mi capitano in questo momento di stanzialità.
Sono ormai quasi due anni che mi sono fermata, la domanda non è più dov'è Swaggirl, ma piuttosto cosa fa Swaggirl. Capito il senso del titolo, eh? Molto sottile.

Presempio, oggi... oggi non è successo nulla di che. Ma ho ricominciato a scrivere sul blog - questa è metanarrazione - che è una cosa bella e molto inusuale.

E poi, insomma, è un lunedì, non è che possiamo aspettarci chissà cosa. Sono uscita stratardi dal lavoro, e questo ahimè non è molto inusuale, ma la cosa bizzarra è che l'umore non ne ha risentito particolarmente. Sono uscita dal lavoro e ho resistito alla tentazione di fermarmi a comprare junk food, e anche questo non è da me. Ma per i prossimi tre mesi ho deciso di (provare a) mettermi a dieta. È già il secondo proposito nel giro di poche righe. Ormai l'ho scritto.