lunedì 19 settembre 2016

Il teatro interattivo

È più o meno da quando sono arrivata a Londra che volevo andare al Globe. Il fatto è che sono arrivata a settembre, praticamente alla fine della stagione. Poi è iniziata la vita londinese, una cosa tira l'altra, e prima che te ne accorgi passano due anni e ancora non hai fatto quello che volevi fare.
Ma finalmente, il mese scorso o giù di lì, ho preso il toro per le corna, ho convinto Anna (un'amica che nella sua vita precedente era insegnante di lingua e letterature inglese, quindi non è stato molto complicato convincerla), e in quattro e quattr'otto abbiamo preso i biglietti. Macbeth. Che non è la mia opera preferita, ma è pur sempre Shakespeare.

La più grande incognita di qualsiasi attività all'aria aperta di questa città, ovviamente, è il meteo. Oddio non sarà troppo tardi andare a settembre? E se fa freddo? E se piove? Eh sì perché il Globe è tipo il Pantheon, ma con un buco molto più grosso sul soffitto:



Come ogni scrittore che si rispetti - credo - mi faccio le domande e mi do anche le risposte.
E la risposta è: se in questa città vuoi aspettare il bel tempo per fare cose e vedere gente, allora campa cavallo. Ergo scegliamo un giorno strategicamente posto a metà settimana, AKA mercoledì, equidistante da altre esperienze galvanizzanti mirate a rompere la monotonia casa-lavoro-lavoro-casa, e prenotiamo.

Io invito tutti ad approcciarsi al sito del Globe Theatre e giocare un po' con il modulo per acquistare i biglietti online. Quando scegli il titolo, non ci sono solo i banali Mr., Mrs. e Ms. Io per l'occasione sono diventata addirittura Contessa. Alla Royal Opera House sono ancora più esosi - ecco chi si aspettano di ricevere:



Che poi me li vedo William e Kate che prenotano online i biglietti per assistere a uno spettacolo in piedi a ridosso del palco. Perché, come dice Anna, se vuoi fare l'esperienza del Globe, la devi fare in piedi. E noi infatti abbiamo preso i biglietti in piedi, alla modica cifra di 5 pippi.

Miracolosamente, usciamo dal lavoro in orario - chi più, chi meno - e alle 7 siamo pronte a varcare i cancelli del Globe, posto sulla riva sud del Tamigi, altrimenti e localmente nota come Southbank. Aprono quindi le porte della "sala" (o ha più senso chiamarla arena? ché quello mi ricorda) e mi fiondo dentro senza aspettare nessuno, con un entusiasmo che mi ricorda quel 23 maggio 1995, all'apertura dei cancelli dell'Aquatica per il concerto dei Bon Jovi.

E qui si finisce anche in una postazione migliore, praticamente a pogare sotto il palco, accanto a una scaletta laterale che gli attori usano per accedere alla scena. Eccolo qui, il Globe:


C'è ancora una buona luce, e l'ho detto che la giornata è incredibilmente e fortunatamente bella? Non si vede una nuvola. Siamo pronti per cominciare, e cominciamo con un telo che si solleva per mostrare le 4 (?) streghe di Macbeth, che agitano arti mozzati e altri attrezzi di scena. Una delle streghe ha il braccio tagliato all'altezza del gomito, e io passo tutta la prima scena a cercare di capire come hanno ottenuto l'effetto. È solo quando l'attrice torna sul palco in seguito che mi rendo conto che non c'è nessun trucco, è proprio il suo braccio. Più tardi, nel corso della serata, la cosa sarà anche oggetto di una gag.

Il bello degli inglesi e del loro rapporto col teatro è che non hanno paura di smontare i mostri sacri, anche il più sacro di tutti. Le streghe sovrannumerarie non è la sola libertà che si sono presi nella serata: per il palco circola un Macbeth Jr. che, se non ricordo male, non è figlio dell'opera originale; fanno in tempo anche a fare una battuta sul nome di quell'altro diavolo - Donald Trump. Soprattutto, giocano col pubblico tanto da renderlo un altro attore in scena, e mi immagino che è così che doveva essere 400 anni fa. La prima cosa che fa Banquo al suo ingresso in scena è svuotare una borraccia in platea (d'altra parte Macbeth recita in maniera tanto enfatica che non è possibile non concentrarsi sullo sputo a catinelle, e noi sotto il palco ci sentiamo costantemente minacciati dal maltempo). Un membro del pubblico è invitato a dire la sua sugli avvenimenti, un altro viene chiamato in soccorso di un'attrice imprigionata in un sacco, tutti siamo esortati ad alzare grida di guerra prima della battaglia finale. Generalmente non mi interessano particolarmente le scene d'azione, e comunque considero tali solo quelle che coinvolgono inseguimenti, esplosioni, tripli carpiati giù da palazzi in fiamme - ah, lo spettatore moderno, quanto è difficile da accontentare... E invece no! Il duello finale fra Macbeth e Macduff è stato galvanizzante, lo ammetto, nonostante la morte avvenga off stage. Lo stesso dicasi per gli effetti speciali, che rendevano tutte le scene con streghe e fantasmi davvero inquietanti; anche merito della musica, eseguita dal vivo da un numero imprecisato di musicisti sistemati su un balconcino sopra il palco.

È così che si sentiva lo spettatore shakespeariano contemporaneo? Non lo so con certezza, ma penso di sì.

lunedì 5 settembre 2016

La vida es un carnaval

Mo non voglio dire, ma lo scorso weekend c'è stato il Carnevale di Notting Hill.
Giustamente, qualcuno mi ha fatto notare: Ma il Carnevale? Adesso?

Sì.

Il Carnevale di Notting Hill, dai. Non ho controllato le fonti, quanto sono pigra?
Onestamente non so se ci andrei se fossi solo parte del pubblico - una bolgia del genere non penso di averla mai vista, si mormora un milione di presenze. Il festival di strada più grande d'Europa, e il secondo carnevale più grande del mondo, pare.

Ed ecco come i residenti si preparano all'evento:


Praticamente un assedio.

Far parte della sfilata e stare nel gruppo offre una certa sicurezza, e i tappi nelle orecchie aiutano a preservare l'udito. Si vedono in giro camion carichi di casse e altoparlanti che con un giro di bassi potrebbero farti saltare le otturazioni. Allineati lungo le strade furgoncini e bancarelle vendono cibo di strada caraibico. Spazzatura si accumula a ogni angolo e l'asfalto diventa di mille colori (non ho capito per quale strana tradizione i partecipanti al carnevale sembrano arrivare dalla Colour Run).

La nostra marcia è iniziata intorno a mezzogiorno di domenica, e abbiamo suonato e camminato più o meno ininterrottamente fino alle 5 del pomeriggio. Non appena siamo partiti, ha iniziato a piovere - fortunatamente eravamo preparati all'evenienza e avevamo equipaggiato le alfaia (ho deciso che si tratta di un sostantivo femminile) con un telo antipioggia, ovvero un sacco della spazzatura attaccato con lo sputo al tamburo. Che ha fatto il suo sporco lavoro. Altro pezzo fondamentale e immancabile del buon percussionista: i cerotti preventivi. O rischi di ritrovarti le mani tutte bucate.

Evidentemente non mi sono equipaggiata abbastanza
Il pomeriggio è passato fra una scrosciatina di pioggia e l'altra, sfilando per le strade di Notting Hill fra una folla quanto mai eterogenea, evitando i camion, gli ubriaconi, le bottiglie rotte.
Detta così sembra una guerra. Ma se siamo tornati qui anche quest'anno (il secondo per me, il quinto per Estrela do Norte), vorrà dire che ne vale la pena. A me basta solo il fatto di far parte di un gruppo e suonare insieme (banda di Vanzago, mi manchi!); ma essere al centro di un evento del genere, con fiumi di energia che scorrono, nel bene e nel male, da e verso di te, è un'esperienza fantastica. Nonostante il peso dell'alfaia, il mal di schiena, di spalle, di braccia, i lividi che lo sa il Signore se spunteranno il giorno dopo sulle gambe, i decibel assassini, le vesciche sulle mani, le scene poco edificanti che diventano sempre più numerose con il passare delle ore (tipo più tardi la sera, il muro del piscio), le scene da apocalisse zombi dell'indomani... Poi incontri un bimbetto alto 60 cm che ti chiede se può fare la foto con te e se può provare a suonare il tamburo, una ragazza in sedia a rotelle che balla lungo la sfilata, una sciura settantenne seduta ai margini della strada che si unisce al nostro canto, i ballerini più o meno (o molto meno) professionisti che volevano prendersi una pausa, ma poi iniziamo a suonare e loro ricominciano a ballare.

Siamo finiti anche in TV

È come essere in un quadro di Bosch, scegliete voi se Il Giardino delle delizie o Il Giudizio universale. Impressione che si fa sempre più forte quando la nostra parte è finita, la sfilata si è conclusa, e dobbiamo ritornare al punto di partenza, attraversando la bolgia. Io ho avuto l'idea infelice, pensando che prima di ripartire avremmo avuto un attimo di tregua, di prendere un baslotto (come chiamate quei contenitori di polistirolo per il take away?) di ackee and saltfish, ovvero baccalà e ackee, un frutto tropicale di cui ignoro il nome italiano, ammesso che esista. Dicevo, baslotto in mano, Sam (il maestro... vi ho mai parlato di Sam? Mi sa di no) ci dà l'ordine di partire. Non mi resta che lasciar andare un sospiro rassegnato, cedere la mia alfaia Anastacia - ogni strumento ha un nome proprio - a un gentile collega, e per non fare proprio una figura meschina io trasporto un(a?) gongue, ovvero la cosa che ha in mano il signore nella foto di sotto


In pratica è una massiccia e pesantissima arma da difesa, o almeno io così l'ho usata per poter tagliare la folla. Hyeronimus Bosch, ricordate? La densità per metro quadro è uguale a quella sulla Northern Line la mattina alle 8.00. Ora non siamo più protetti dal nostro status di musicisti, siamo solo dei disgraziati che alla spicciolata cercano di tornare al VIA portando con sé bagagli molto ingombranti. Io ho anche il baslotto. Ogni tanto, quando la folla si dirada un po' - tipo stazione Cadorna alle 7.30 - Sam si ferma e si assicura che ci siamo tutti. A ogni sosta io ne approfitto per mangiare un po' della mia cena. Finalmente, Sam prende una decisione: "Rimettiamoci a suonare, è il modo più veloce e sicuro per arrivare alla meta." L'idea piace a tutti, e in formazione piuttosto sgangherata riprendiamo a suonare. Come Mosè davanti al Mar Rosso, vediamo che effettivamente la folla si apre per farci passare. Avessero avuto dei tamburi, i Guerrieri della notte avrebbero avuto vita molto più facile.

Per fortuna non eravamo così lontani dal nostro furgone. Una volta lì, non so da chi o come sia partita l'iniziativa, ma qualcuno riprende a suonare. O forse non abbiamo mai smesso, non ricordo. Il fatto è che proprio lì, ai margini della festa, sotto un cavalcavia, riparte il ritmo in un movimento circolare. La Regina e un re succedaneo entrano nel cerchio e si mettono a ballare. Chi sta venendo via dal Carnevale si ferma e riprende a ballare e cantare. Si raccoglie una folla di una cinquantina di persone, forse di più. È una festa nella festa e dopo la festa. La gente ci chiede di continuare a suonare. Lì accanto ci sono due poliziotti morti di noia il cui compito è bloccare l'accesso a una stradina laterale. Uno è seduto in macchina, l'altro appoggiato alla transenna si sporge per seguire lo spettacolo. Quando finiamo e ci prepariamo per tornare a casa, non la smette più di farci domande, chiama il suo collega, facciamo una foto tutti insieme. Sospetto che il nostro concerto spontaneo sia stato il momento più bello della sua giornata. Sicuramente, per me lo è stato.