mercoledì 26 settembre 2012

Hillary goes to Hollywood

E ci va a cavallo!
Dopo il grande successo di Le strade di Toowong (che vorrei linkarvi, ma non riesco), vi presento il mio nuovo film. 

Lezione di equitazione

Buona visione! 

 

domenica 23 settembre 2012

La casa nella prateria


Non solo non mi sono fatta sentire per un sacco di tempo, ma ho una confessione da farvi. L’ultima volta vi ho mentito. Non ero proprio diretta a Childers, ma a Cordalba. Cordalba è una strada a circa 15 km da Childers circondata dalle piantagioni di canne da zucchero, e in questa strada abitano circa 300 persone. E cosa ti porta a Cordalba? Vi chiederete voi. A Cordalba c’è la prima farm in cui mi fermerò a lavorare!

Dovete sapere che quando ero ancora a Brisbane mi sono iscritta al WWOOF, Willing Work On Organic Farm, un’associazione che mette in contatto i coltivatori, allevatori ecc. australiani che lo desiderano (ma l’associazione è presente in un sacco di paesi) con persone che vogliono viaggiare in maniera po’ diversa. In cambio di qualche ora di lavoro giornaliera, i proprietari delle aziende agricole offrono vitto e alloggio per un periodo di tempo concordato insieme. Questa pratica è definita appunto wwoofing. Al momento dell’iscrizione mi hanno dato il WWOOF Book, tipo le pagine gialle dell’associazione, dove sono indicati nomi e contatti degli associati; mi sono messa quindi a mandare un po’ di mail ad minkiam (l’unico criterio era la zona: io mi muovo verso nord, possibilmente lungo la costa) e Sharon è stata fra i primi a rispondermi. La sua mail mi ha galvanizzato immediatamente: Sharon si occupa di cavalli, e io ho sempre desiderato un cavallo! Era il mio grande sogno di bambina! Dopo aver sfogliato la guida per sette minuti (e aver considerato la possibilità di contattare un centro di meditazione buddista e una fattoria gestita da nudisti), decido che quella sarà la prossima tappa. Dopo qualche mail per conoscersi un po’, definisco con Sharon la data del mio arrivo che, come sapete, corrisponde al mio ritorno da Fraser Island. Ed eccoci quindi arrivare sul bus che da Rainbow Beach mi porta a Childers, dove verrà a prendermi Sharon.

L’arrivo è previsto per le 22.25, e confesso di essere un po’ nervosa: arrivare la notte in un paesino di 1.300 abitanti sperando che la persona che ti verrà a prendere sia in effetti chi dice di essere… anzi, che dico: sperare che qualcuno si presenti a prenderti! Capirete anche voi la suspense. Da un lato non vedevo l’ora di arrivare, dall’altro ero un po’ inquieta. Più che un po’. Ed ecco che l’autista annuncia la mia fermata. Afferro zaino, sacco delle provviste, cappello, borsa e mi precipito giù dal bus. L’autista scende con me per tirare fuori la mia valigia dal bagagliaio, e io inizio a guardarmi intorno. Il buon uomo mi chiede a che ostello sono diretta, e gli dico che dovrebbe venirmi a prendere una persona. Continuo a cercare con lo sguardo (ma cosa, poi? Non so chi sia, Sharon!) e con la coda dell’occhio vedo Leah e Bronagh che dal pullman mi fanno grandi gesti per salutarmi e augurarmi buona fortuna. Mi sbraccio di rimando, e poi ricomincio a cercare. L’autista nel frattempo si accende una sigaretta. Ha appena iniziato il suo turno, si sta già prendendo una pausa? Forse è preoccupato per me e vuole assicurarsi che in effetti qualcuno arrivi. Inizio a scrivere un messaggio per Sharon, quand’ecco che si ferma un pick up. Dev’essere Sharon. Infatti non appena parcheggia, una donna sorridente si affaccia al finestrino e mi dice qualcosa. Non ho ben capito cosa, ma accanto a lei vedo una ragazza orientale, che immagino sia l’altra wwoofer che lavora da loro. Decido che è Sharon. Ringrazio l’autista, saluto ancora una volta Leah e Bronagh e monto in macchina. Sharon parla e guida in queste buissime strade di campagna, io guardo quel poco che si vede del paesaggio e cerco di rispondere, ma sono davvero stanca. Almeno però ora sono più tranquilla, Sharon esiste davvero e sembra simpatica. Finalmente arriviamo a casa, e tutta la stanchezza se ne va (ma solo per un attimo) quando incontro uno dei mici di casa, Elsie o LC. Sempre buona cosa trovare un gatto in casa. Ma sono davvero stanca. Poso la valigia, mangio qualcosa gentilmente offerto dalla padrona di casa e me ne vado a dormire.

Riepilogo:

167 km

Km totali percorsi: 17.477
E la mattina dopo, fresca e pimpante per cominciare la settimana in questa nuova location! Prima, però, qualche coordinata. Come dicevo, Cordalba è ‘sto minuscolo paese nascosto in mezzo ai campi di canna da zucchero dove, oltre alle case, uniche altre costruzioni notevoli sono la scuola elementare e il pub del paese. Insieme ad altri comuni, fra cui Childers, fa parte della comunità di Isis. Sharon e suo marito Wayne lavorano entrambi in una raffineria di canna da zucchero, e come attività collaterale hanno questo “allevamento” di cavalli. Allevamento non è la parola migliore… in realtà al momento hanno sei cavalli, un pony, tre cani, due gatti e due wwoofer. A volte mettono a disposizione i cavalli per degli show, a volte affittano gli spazi per organizzare rodeo e esibizioni, e naturalmente è possibile prendere lezioni di equitazione. In casa con loro vive anche Doreen, la madre di Sharon, e come accennavo prima al momento del mio arrivo c’è un’altra ragazza, Rie, proveniente dal Giappone. Nel mio primo giorno di lavoro sarà Rie a spiegarmi cosa devo fare.

Sveglia alle 7, giù dal letto a castello, brrr che freddo! Colazione racimolata dalle provviste avanzate dai giorni di campeggio a Fraser. Non vi ho detto però dove dormo. Io e Rie occupiamo una bunk house, un monolocale completamente autonomo attaccato alle scuderie. Questo vuol dire che, se a Brisbane il mio sonno era turbato da quel rompicoglioni del kookaburra, ora ci pensano Martin e Montague a tenermi sveglia, sbuffando, nitrendo e scalpitando. Blucher! Ma sono pur sempre meno rumorosi dell’odioso volatile.

Vi faccio fare il giro della casa. Guardate prima a destra...

...e poi a sinistra. Ecco, avete fatto il giro della casa.

Dicevo, oggi Rie mi spiegherà in cosa consiste il lavoro. Prende una carriola, un forcone e si dirige verso le scuderie; faccio per imitarla, ma mi ferma: “Oggi tu guarda”. Guardiamo. Dopo 10 minuti però il lavoro mi sembra molto chiaro: sostanzialmente si tratta di spalare merda. Letteralmente. E quando le scuderie sono pulite e la lettiera è stata cambiata, ci spostiamo fuori, ai recinti, dove ci sono gli altri ospiti: Sophie, Arthur, due vecchietti (di cui non ho ancora scoperto il nome) e Daisy, il pony. Tutti loro dormono fuori. E si ricomincia a spalare merda. Tutta questa cacca non viene buttata via, ma viene usata per concimare il frutteto dietro la casa. Lo diceva anche Fabrizio: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. E i frutti. Ogni cosa al suo posto, quindi. Ma c’è ancora un compito da svolgere. Quando pensate di aver finito con la cacca, la vostra collega vi mette in mano un catarù e vi dice lapidaria: “La cacca dei cani.” Mi sembra di lavorare con il maestro Miyagi, ma meno loquace. I cani sono Edna ed Ebony, due ferocissimi Stafforshire bull terrier, e Bertha, un vecchio danese. 

Ebony durante una giornata di duro lavoro

Edna e Bertha riflettono sul senso della vita

Bravi, avete capito, di quelli che fanno cacche pantagrueliche. Ridendo e scherzando, il vostro turno di lavoro mattutino se n’è andato in merda, sono solo le 9 e avete ora un sacco di ore libere, almeno fino alle 5 del pomeriggio. Quando è l’ora della merenda per i cavalli, e quindi si può procedere a metterli via. Facendo tutto con estrema calma, è passata un’altra ora, e la vostra giornata professionale è finita. A questo punto Sharon è tornata dal lavoro, controlla che stiano tutti bene e inizia a pensare alla cena, con un piccolo aiuto anche da parte nostra, mentre Doreen apparecchia la tavola; Wayne è di turno allo stabilimento, e non l’ho ancora incontrato. Si finisce di cenare che non sono neanche le 8.30, e con un bicchiere di vino in mano 

Il goon. Giuro che è vino.

io e Sharon ci mettiamo in salotto a chiacchierare un po’, così da iniziare a conoscerci. L’accento australiano mi complica un po’ la vita, ma piano piano comincio a decodificarlo. La mia padrona di casa mi pare un tipo in gamba: socievole, gioviale, alla mano, e soprattutto una gran lavoratrice. Per mandare avanti tutta la baracca, per forza deve esserlo! Mi dice che il giorno dopo Doreen andrà a Bundaberg a fare spese, verrà a prenderla suo fratello Ray, e mi chiede se voglio andare anche io. La gita in città avviene solo una volta a settimana, non me la voglio perdere! Mi fanno sapere che Ray verrà alle 8.30. Urgh. Questo si traduce in una levataccia assurda per poter fare tutto per tempo. E vabbeh, amen.

La serata non dura molto. Per la prima volta in vita mia da anni, vado a dormire che sono appena le 22.30. Mi arrampico sulla scaletta del letto a castello (capisci di essere davvero invecchiato quando preferisci dormire sotto) e mi metto a dormire. Non prima di aver puntato la sveglia alle 6.

E il risveglio arriva, in maniera meno traumatica del previsto. Non è tanto il sonno da vincere, quanto il freddo. Col passare delle ore il clima si scalda, ma alle 6 fa ancora freschino. Ma non c’è tempo da perdere, oggi giornata di shopping! Dopo aver finito di eliminare tutte le cacche del pianeta, c’è giusto il tempo per una doccia, ed ecco che arriva lo zio Ray. Ray è il fratello di Doreen, che vive a Bundaberg, 40 km a nord-est di Cordalba, e ogni martedì la porta in giro per la città a fare spese. Oddio, parlare di città è un po’ eccessivo. Più che altro sono una serie di centri commerciali sparsi, McDonald’s, Hungry Jack’s, KFC e via dicendo. L’unico negozio degno di nota è una gelateria “italiana” che decido di esplorare per confermare il mio scetticismo, e invece una volta all’interno mi sorprende piacevolmente: non solo il gelato sembra gelato vero, ma il negozio pare una di quelle vecchie botteghe di una volta, che vende i prodotti sciolti da mettere nel sacchetto con il misurino. Farine di diverso tipo, pasta di grano duro, frutta secca, uvette, caramelle, un sacco di varietà di cioccolati diversi… Sono quasi commossa. Memore delle cene a casa Fritz nell’estate boreale appena trascorsa, compro un sacchetto di cous cous ed esco tutta contenta di aver trovato questo piccolo angolo di serenità gastronomica.

Dopo le compere, passiamo da casa di Ray per il pit stop, ed è subito un’altra sorpresa: Ray è gravemente affetto da cinefilia. Appena entrate in casa, veniamo aggredite da un enorme scaffale pieno di DVD, e sopra diverse mensole in giro per il soggiorno ci sono hard disk che ci guardano di sottecchi. Accanto al televisore 12.000 pollici (comunque non grande quanto la sala cinematografica di casa Dickson), una pila impressionante di Blu-ray; in un angolo, infine, la fucina da cui esce tutto questo bendiddei: PC e router. Ray ci mette in mano il suo catalogo - quasi un migliaio di film – e ci invita a servirci, a prendere quello che vogliamo. Mi confessa che si vede 4-5 film per notte, ma non gli piace andare al cinema. “Costa troppo.” Ci credo, 18 dollari farebbero passare il vizio a chiunque.

Comprato tutto quello che c’era da comprare, presi anche i film per nutrire lo spirito, torniamo a casa. Quando Sharon rientra dal lavoro, ci annuncia che l’indomani arriveranno Shane e Ethan, rispettivamente figlio e nipote. Shane lavora in uno stabilimento minerario più a nord (a sole 8 ore di macchina), mentre suo figlio Ethan vive a Bundaberg con la madre, ma in occasione delle ferie del padre passerà qualche giorno alla fattoria. Ora però è il momento di dare da mangiare ai cavalli, quindi basta perdere tempo in chiacchiere!
Mentre mi affaccendo al ripostiglio dei mangimi, vengo avvicinata prima da una voce un po’ stridula dal pesante accento australiano (sono qui da poche settimane, ma questa cadenza è decisamente marcata anche per me!), quindi da un personaggio infagottato in una tuta da lavoro, cui qualsiasi descrizione potrebbe solo far difetto, ma che proverò ugualmente a descrivervi. Secco secco, baffoni rossi e barba indisciplinata, cappello da cowboy che nasconde un riporto temerario. Wayne Dickson. “Volevo darti il benvenuto. Come ti chiami?” “Piacere, Ilaria.” “Come?” “Ilaria.” “Lalia.” “Ilaria.” “Illaia?” “Hillary?” “Hillary?” “Sì, tipo Hillary Clinton.” “Oh, bene, Hillary.” Comunque più vicino di Allosa. 

Per le prossime settimane, quindi, sarò Hillary.

P.S. Come di consueto, nel congedarmi da voi vi rimando a qualche eloquente immagine.

mercoledì 12 settembre 2012

Un sacco di sabbia


Riallacciamoci senza soluzione di continuità alla storia precedente.

È martedì primo pomeriggio, e Max mi accompagna a prendere il bus per Noosa. In men che non si dica mi ritrovo on the road, e in men che non si dica, come dicevo la volta scorsa, l’autista ci fa sapere che: “Il motore si sta surriscaldando, ci tocca fare una fermata imprevista.” Dopo neanche un’ora dalla partenza! Cominciamo molto bene. Ci fermiamo a una stazione di servizio in costruzione – desolazione allo stato puro – e l’autista ci chiede di aspettare a bordo mentre controlla il motore. Aspettiamo pazienti. Aspettiamo. Aspettiamo. Fino all’annuncio che nessuno di noi voleva sentire: “Se volete scendere a sgranchirvi un po’… qui ne abbiamo ancora per molto, dobbiamo aspettare il soccorso stradale.” Sgrunt. Scendiamo e aspettiamo. Aspettiamo. Non credo di riuscire a rendere l’idea di quanto è stata fastidiosa quell’attesa. A un certo punto l’autista si incammina nella direzione da cui siamo arrivati. Non so se sbaglio a interpretarlo come un brutto segno. Ogni macchina che si avvicina alla stazione di servizio ci fa esultare di speranza, ma poi ci liscia senza neanche rallentare… cazzo entri nella zona di sosta, per prenderci per il culo???
Sai che? Me ne torno sul bus, almeno mi porto avanti coi lavori. E come sapete, ne è uscito un post lunghissimo :)

Attenzione, si riparte! Tutti ad applaudire, back on track! Dai che recuperiamo!!! “Ragazzi, vi devo dare una brutta notizia: il motore si sta surriscaldando di nuovo.” Vabbeh, almeno finirò di scrivere il post. E avrò un’altra storia da raccontare… I viaggi in autobus sono sempre così noiosi! Come potete vedere, per me il bicchiere è sempre mezzo pieno.

Molte ore dopo…

No, dai, scherzo. Alla fine abbiamo fatto 3 ore di ritardo. Che, in un viaggio di 2 ore, sono comunque notevoli. Ma l’autista ha chiesto scusa a profusione, come fosse colpa sua. Ed eccomi finalmente arrivata a Noosa! Sono le 7 di sera, e sembrano le 11. Non c’è in giro quasi nessuno. Tiro fuori la mappa e mi incammino verso l’ostello. In un lampo di genialità, non solo ho prenotato il più economico della città, ma anche uno dei più vicini alla fermata del bus! Pat pat, pacca sulla spalla, brava Swaggirl! Eppure sembra lontanissimo, ogni singolo chilo della valigia si fa sentire. E come se non bastasse, l’ultimo tratto è in salita. MA non sarà questo ridicolo pendio a scoraggiarmi, non dopo le strade di Toowong!

Uuuuh, grazie al cielo, eccomi arrivata all’ostello. Ho prenotato la camerata da 16, speriamo bene… E mi va bene. 


Ci sono solo altre 3 persone con me, e due di loro sono molto simpatici, tale Hanon (non ho idea se è scritto nel modo giusto), australiano, che lavora come cuoco, e Wesley, di New York, che fa il cameriere e ha una gran chiacchiera. Pensavo di andare a morire direttamente sul letto dopo cena, e invece mi fermo a parlare con loro per una ventina di minuti buoni. È bello arrivare in un posto nuovo e trovare qualcuno con cui scambiare due parole. Non solo, la mattina seguente Wes è stato più che provvidenziale: mi ha aiutato a chiudere la valigia! Sono qui da meno di un mese, e temo che quello del bagaglio sarà un tormentone… Comunque, l’ostello lascia un po’ a desiderare, devo ammetterlo, ma la compagnia è ottima: a parte i due compagni di stanza, in cucina ho incontrato una coppia di surfisti portoricani, Brad e Leslie, che hanno condiviso la loro colazione con me (povera sprovveduta, speravo di trovare nella cucina dell’ostello almeno il free coffee, invece manco i piatti erano a disposizione!) e mi hanno raccontato del loro viaggio. Loro arrivano da nord, e la loro prossima meta è Byron Bay. Ci scambiamo le nostre storie ed esperienze, finiamo la colazione e ci diamo una mossa per il check out.

Ora ho circa cinque ore da trascorrere prima di rimettermi in viaggio. E che ci sei venuta a fare a Noosa, se riparti subito? Suvvia, per andare a caccia di nuove storie da raccontarvi! Wesley mi consiglia di andare a visitare il Noosa National Park “Ci sono anche i koala!


Fatta. Mi incammino per l’ennesima strada tutta in salita, e vedo sulla cartina che non solo attraversa il parco, ma conduce anche a un belvedere che dà sulla baia di Noosa. È una bella scarpinata, ma ne vale sicuramente la pena. Vedete un po’ anche voi.


Davvero spettacolare, ammetto di essermi commossa. Già che siamo qui, due parole su Noosa. Non si tratta propriamente di una città, ma di un insieme di sobborghi per turisti facoltosi: Noosa Heads, Noosaville, Sunrise Beach, Sunshine Beach… che fantasia, eh? Le case e i resort sono sparpagliati su questo arcipelago, che è più un pasticcio di sputi di sabbia e palme collegati da ponticelli. E questo è tutto ciò che c’è da dire su Noosa. In effetti devo ammettere che al di là della spiaggia meravigliosa, non sono particolarmente colpita dal resto. Anzi, quando mai mi sono avventurata lungo il circuito delle zone residenziali! Case, case, ville, hotel, case… che palle! Sarà cosa buona e giusta incamminarsi verso l’ostello, prendere le valigie e levare le tende. E speriamo che questa volta il bus sia puntuale.

Qualche foto di Noosa e riepilogo:

140 km da Brisbane a Noosa

E siamo in orario! Puntuali come orologi svizzeri, arriviamo a Rainbow Beach alle 7 di sera. Sempre immensa desolazione, ma per fortuna stavolta l’ostello è esattamente di fronte alla fermata del bus. Anche in un tratto di strada così breve però mi capitano cose singolari: mentre scendo dal bus uno dei passeggeri, un signore dall’età indefinita, tipo fra i 73 e i 74 anni, mi chiede di dove sono, e quando scopre che sono italiana, mi saluta con un “Paisano!”. Penso che sia finita lì, invece mi segue giù dal pullman e mi racconta che sua moglie è italiana ed è addirittura di sangue blu, se ho capito bene. Mi faccio dare il numero di telefono, e chissà mai che passando da Maryborough li vada a salutare. E poi, fuori dall’ostello, gente che fa pilates sotto le stelle? Boh, indagherò in un secondo momento. Anche perché ora c’è un problema pressante da risolvere: non trovano la mia prenotazione. Eccheccappio, certo che ho prenotato! Due notti qui e soprattutto l’escursione a Fraser Island! “Guarda, io sono solo il barista… domattina vai alla reception e chiedi.” Moooolto bene. Meglio andare a dormire, che domani mi tocca la levataccia. Spero che non sia inutile però, sai che rottura alzarsi alle 6 del mattino e poi non poter partire?


Il giorno dopo, il mistero è svelato. Hanno completamente cannato il nominativo della prenotazione. Sono diventata Allosa Suse, o qualcosa del genere. Non finisco mai di stupirmi al pensiero di quanto trovino difficile il mio nome. Però mi dicono tutti che è molto bello. Mamy, ottima scelta! E si parte per Fraser Island!
L’escursione dura tre giorni, si esplora l’isola (proprio di fronte a Rainbow Beach, un paese evidentemente nato solo come punto di partenza per esplorare l’isola) a bordo di una jeep, si dorme in un campeggio attrezzato nel mezzo della foresta e ci si porta appresso scorte di cibo e acqua. Siamo un gruppo di 22 persone + la guida, tale Muzza (che si legge Masa), che è anche l’autista del convoglio di testa, dove viaggio pure io.

Allora, mi tolgo subito il pensiero e vi confesso che mi aspettavo molto di più da questa esperienza. Di sicuro i posti sono davvero belli; purtroppo la compagnia lo è stata un po’ meno, e questo ha inciso molto. Per carità, i miei compagni di team erano – quasi – tutti persone molto gradevoli, ma essere l’unica italiana in compagnia di due ragazze irlandesi, Leah e Bronagh (ho capito il suo nome l’ultimo giorno… si legge Brona), Dan e Jack, inglesi, e un canadese, Johnny, non è facile. Miscugli di slang e accenti che vi lascio immaginare… capivo una frase su cinque. Essere poi l’unica italiana in tutto il gruppo è stata un’esperienza nuova, e non particolarmente esaltante. Così imparo a lamentarmi dei branchi di connazionali all’estero. 

In quanto ai luoghi, niente da dire, tutto molto bello. Si tratta dell’isola di sabbia più grande del mondo, lunga 120 km e larga al massimo 25, non ha strade asfaltate ed è patrimonio Unesco. Il resto andate a cercarvelo su Wiki, se vi interessa. Ci sono un sacco di laghi e ruscelli sull’isola, e ovviamente un mucchio di sabbia, praticamente tutto quello che abbiamo visto per 3 giorni. La fauna locale è interessante: meduse, balene, delfini, tartarughe, squali e dingo! Abbiamo visto anche i dingo! Che sono carini e pucciosi, ma sono cani selvatici che devono essere lasciati stare… un cretino un mese fa si è allontanato dal campo nel cuore della notte, ubriaco: l’hanno trovato la mattina dopo a un chilometro di distanza con un sacco di fratture e la faccia mangiucchiata, e si è fatto un mese in ospedale.

Detto questo, ecco un elenco esaustivo di altre cose da fare se sei a Fraser Island:

-          Fare il bagno nel lago McKenzie


-          Visitare la foresta di Central Station, che ospita piante vecchisssssime
-          Sguazzare nell’Eli Creek e, se avete sete, farvi un sorso di acqua di torrente
-          Guidare sulle spiagge dell’isola e perché no? rimanere bloccati nella sabbia


-          Fare una foto davanti al relitto del Maheno

-          Fare il bagno (di nuovo) alle Champagne Pools
-          Salire in cima a Indian Head e pensare, guardando giù, che se anche la caduta non ti ammazza, lo faranno gli squali

Non si vede granché, ma anche così è inquietante...
-          Vagare nel deserto alla ricerca di acqua e trovarla in fondo alla vallata



E qualche altra immagine.
In ogni caso, non importa cosa decidiate di fare: sappiate che avrete sempre a che fare con la sabbia. Sotto le unghie, nelle scarpe, nelle orecchie, nelle mutande, nel cibo… dopo diversi giorni e numerose docce, continuo a trovare mucchietti di silicio nei posti più singolari.

Insomma, dalla maniera in cui vi ho raccontato di Fraser vi sembrerà che abbia sprecato soldi e tempo. Che dire… no, dai. È comunque una visita che va fatta, se sei da queste parti. Poi sul finire del viaggio ho fatto anche conoscenze piacevoli, ho ascoltato nuove storie ed esperienze… Una volta tornati a Rainbow Beach ho anche avuto modo di conoscere meglio i miei compagni di convoglio, e mi sono convinta ancora di più che è stata la barriera linguistica a rendere tutto più difficile. Quello, e alcuni membri del gruppo poco amichevoli. D’altra parte, Ila, non è che puoi sempre trovare gente disposta ad accoglierti a braccia aperte!

E così è finita anche l’esperienza sull'isola, e sono pronta per ripartire. Alle 7 di sera arriva il bus, lo stesso che mi ha portato qui; in fretta e furia carico i bagagli e corro a salutare i ragazzi che mi hanno accompagnato in questi giorni. In viaggio invece mi seguono Marina, Leah e Bronagh, anche loro dirette a nord, ma verso destinazioni diverse: Hervey Bay e Cairns. E per Cairns sono 14 ore di pullman. Mi sento molto, molto fortunata, con le mie 3 ore e mezza di tragitto, anche se quando arriverò sarà praticamente notte inoltrata e non so chi mi verrà a prendere.

Riepilogo:

140 km

Km totali percorsi: 17.310

Fermi lì, inutile andarvi a rileggere le righe precedenti, non ho ancora svelato la mia nuova meta. Ma è ora di farlo: vado a Childers!

domenica 9 settembre 2012

Incontri


Come ho fatto intendere nell’ultimo post, ho deciso di lasciare Brisbane e di spostarmi verso nord, dove il clima è migliore, almeno fino a novembre, quando inizierà la stagione delle piogge. Quindi mi piacerebbe visitare quella parte del paese prima di allora. Ho acquistato un biglietto della Premium Motor Service della durata di 3 mesi, che mi permette di scendere in qualsiasi fermata fra Brisbane e Cairns, muovendomi però in un’unica direzione. La prima tappa è Noosa, sulla Sunshine Coast, a poco più di 2 ore da Brisbane.
Ma, appena dopo un’ora di viaggio, l’autista ci annuncia che c’è un guasto al motore e ferma tutto. Al momento siamo bloccati in autostrada in attesa del soccorso stradale. Non sembra l’inizio di un racconto di Stephen King?
Ma questa storia ve la racconto un’altra volta. Adesso vorrei chiudere la pagina Brisbane, raccontandovi delle esperienze migliori che ho vissuto in quella città: gli incontri che ho fatto.

Vi ho già parlato, in maniera un po’ sintetica a dire il vero, dei miei padroni di casa, Max e Karen. Vorrei raccontarvi qualcosa in più di loro, soprattutto tutto quello che hanno fatto per me, ma non so da che parte cominciare. Queste persone si sono portate in casa praticamente un’estranea, le hanno dimostrato infinita fiducia lasciandola anche a casa da sola, le hanno affidato i loro amati animali. Io per sdebitarmi non ho potuto altro che portare a spasso Molly, aiutare un po ‘in casa, e stop. In cambio ho subito un intervento al cuore che me lo ha reso dieci volte più grande. Come abbiamo convenuto io e Karen, a volte le cose belle accadono.

Max e Karen

Grazie a loro, inoltre, ho passato un fine settimana estremamente piacevole nonostante si siano assentati per andare a trascorrere un weekend al mare, a casa di amici. Spiaciuti dal fatto che rimanessi a casa da sola per tutto il tempo, mi hanno presentato i loro vicini di casa, Chloe e Gundy, una coppia sulla trentina, prossimi al matrimonio. In un minuto, il programma per il weekend è fatto: venerdì sera al pub per festeggiare l’impresa di un amico di Gundy, che ha corso 100 km in 12 ore per beneficienza, e sabato pomeriggio allo stadio a vedere una partita di AFL. Tutto molto promettente. E tutto si è rivelato essere ben migliore delle aspettative.

Venerdì sera (che inizia alle 17.30!) lo passiamo in questo pub dove un omino seduto a un pianoforte canta i più grandi successi di sempre (sono la solita esagerata). Dopo aver ben bevuto, grazie al gentile protagonista della serata, tutti pronti a scatenarsi in pista a ballare e cantare! Trovo molto divertente il pensiero che gli anglofoni sappiano le parole delle canzoni in inglese. Anziché cantare:

Smoke on the water,
na na na na na na na

Loro sanno riempire tutti gli spazi!
Quando mi lascio sfuggire che il mio sogno sempiterno è andare al karaoke a cantare I will survive, subito fanno la richiesta al pianista… che inizia a suonare per me! E io urlo a squarciagola:

At first I was afraid, I was petrified,
keep thinking I could never live without you by my side,
na na na na na na na na
na na na na na na na na

Eccetera. Ma che figata! Grazie, ragazze!
Durante l’intervallo, Reese e Brook (ovvero il corridore e suo fratello), neozelandesi, si sono esibiti, esclusivamente per me, nella gloria del loro paese, l’Haka. Devo dire che è stato impressionante, nonostante Reese indossasse una camicia rosa. Dopodiché il pianista è venuto a chiacchierare un po’ e Chloe gli ha spiegato che la loro amica italiana era venuta fin lì apposta per cantare quella canzone. Lol. Naturalmente, dopo aver scoperto questa cosa, il pianista ha deciso di dedicare una canzone to our Italian friend:

Na na na na na na na na na na na na
That’s amore

In seguito Chloe mi ha rivelato che mentre cantavo osservava se conoscevo le parole di questa canzone. Bi-lol.
Una serata davvero divertente. Non come l’hangover del giorno dopo. Ma, sia lodata la birra, che non lascia effetti a lungo termine. Con una buona colazione ero già a posto, pronta e scattante per andare alla partita di AFL con Gundy.
Allora, AFL sta per Australian Football League. Somiglia al rugby, dal momento che giocano con una palla ovale e i giocatori sono senza protezioni. Il campo è ovale anch’esso e ci sono 15 giocatori per squadra. Una partita dura quattro quarti da 25 minuti l’uno. Lo scopo è fare punto passando fra i due pali centrali (6 punti se la palla viene calciata lì in mezzo, 1 se viene portata a mano) o fra quelli laterali (1 punto). Si può passare la palla in tutte le direzioni, calciandola o con un pugno. Non si possono placcare i giocatori, ma devi solo cercare di prendere la palla. Eppure ha fama di essere uno sport molto violento. Queste sono le regole base che vi servono per assistere a una partita di AFL. Il tutto mi ha fatto pensare, per qualche motivo, al quidditch. Devo ammettere che mi sono divertita, l’ho trovato più interessante del calcio e l’ho capito anche un po’ di più. Le squadre in campo non erano professioniste, era piuttosto un campionato locale, e c’era un’atmosfera da festa campestre. Chioschi di bibite e panini, le mascotte ubriache, un sacco di gente di ogni età seduta intorno a fare il tifo (la peggio era sta sciura sulla cinquantina che indirizzava – credo – i peggiori epiteti ai giocatori… anche il mio accompagnatore era impressionato).

Va' che foto plastica

Non siamo rimasti lì fino alla fine, ce ne siamo andati alla conclusione del terzo quarto, dal momento che l’epilogo era ovvio (la squadra di casa stava perdendo). A dire il vero ero un po’ delusa per non aver visto il sangue. Comunque, lasciamo il centro sportivo e Gundy mi porta a vedere un bel panorama della città dall’alto, quindi ci indirizziamo verso casa, ma ormai a Toowong facciamo una fermata dell’ultimo minuto. “Ti va una birra?” Il ragazzo ha capito tutto. Ma non mi porta in un banale pub: andiamo nientemeno che al club di bocce che ho scoperto l’altro giorno! Bene bene, mi piace mischiarmi coi locali, e questo posto non ha nulla di glamour, è esattamente un circolino di quartiere, tipo i Combattenti a Vanzago. Le birre ce le abbiamo, e Gundy mi chiede se voglio fare una partita a bowling. Eccerto! Le bocce per giocare non sono come le nostre, sono un po’ schiacciate ai poli, cosa che conferisce effetto quando le lanci. Lo scopo è arrivare il più vicino possibile al boccino. Fin qui nulla di nuovo. Io ho fallito miseramente. Anche questa non è una novità. Però si gioca scalzi. Questo sì che è inusuale! Ma piacevole. Comunque ho dato un pochiiiino di filo da torcere al mio avversario, che ha temuto per il suo virile orgoglio: “Noooo, cosa diranno i miei amici se perdo con una ragazza!” Tranquillo Gundy, per questa volta ti lascio vincere!

Anche questo è uno sport molto violento

Un occhio all’orologio, e mi rendo conto che devo scappare a casa: la povera Molly mi starà aspettando per la passeggiata! Rimaniamo però d’accordo che dopo lo raggiungo per mangiare insieme: il suo amico Nick, che ho conosciuto la sera prima, ha promesso che si occuperà della cena.
Rientro in casa e Molly mi accoglie con un: “È questa l’ora di tornare???” e infatti faccio giusto in tempo a raggiungere il bosco che si dà alla pazza gioia. Sotto questo aspetto i cani sono ammirevoli. La riporto a casa e raggiungo Gundy. È incredibile come si fidino così tanto gli uni degli altri all’interno del quartiere, si può entrare tranquillamente nel giardino del vicino senza neanche suonare il campanello. Anzi ora che ci penso non ho visto neanche un citofono. “Nick è dovuto andare via e abbiamo già mangiato, ma ti ho tenuto da parte qualcosa… ti piace la cucina indiana?” è tutto il giorno che sono lì lì con la lacrimuccia pronta al pensiero di quanto è gentile questo ragazzo, e adesso potrei cedere proprio davanti a un piatto di chicken masala.

Mentre mangio mi mostra le foto dei loro viaggi. Anche lui e Chloe sono stati backpacker, qualche anno fa hanno fatto il giro del mondo; mi fa vedere le foto che hanno scattato in Europa, mi racconta di quanto gli è piaciuta l’Italia. A quel punto torna Nick, che chiede a Gundy se lo porta in una discoteca dall’altra parte della città: “Non prendo la macchina, così posso bere. Potrei chiamare un taxi per farmici portare, ma così risparmio 50 $. Che userò per bere.” Non fa una piega. Sono anche io della partita, tutti in macchina, e andiamo, andiamo, andiamo… Non ho idea di dove siamo, ma confesso che sono un po' stanca, spero di tornare a casa presto. Dopotutto sono già le 7.30! E grazie al cielo, mezz’ora dopo siamo arrivati. “Che programmi hai domani? Io devo partecipare a una corsa di beneficienza… Reese mi ha incastrato l’altra sera, quando ero ubriaco. Vado per le 6, ma se ti va, Chloe mi raggiunge in bicicletta verso le 8. Ti prestiamo una bici e vieni pure tu!” è una proposta interessante, mi fa molto piacere che mi abbia chiesto di partecipare… ma le 8 del mattino è tremendamente presto per me. Lo ringrazio per la bellissima giornata, rimaniamo con la promessa che ci rivedremo prima della mia partenza, e buonanotte.

Buonanotte si fa per dire. A parte i consueti rumori notturni, il fatto di stare da sola in una casa non mia mi agita non poco. Il pensiero di dovermi svegliare all’ora x per timore che Molly si senta trascurata e faccia le sue cose in casa mi preoccupa notevolmente. Mi sveglio alle 6. In fin dei conti potevo anche andare con Chloe. Molly entra in camera dicendo: “Allora, ci diamo una mossa???” Va bene, va bene. Non ce la faccio, esco in pigiama. Esploriamo il solito pezzetto di bush che costeggia il quartiere, quindi rientriamo, tutte pronte per cominciare la giornata.

Oggi c’è un altro incontro in programma: Bellapasta mi ha dato il contatto di una sua cara amica, una ragazza italo-argentina che è partita con lei dall’Italia per l’avventura australiana. A un certo punto le loro strade si sono divise poiché hanno deciso di vivere esperienze diverse, e Luciana è arrivata nella città in cui mi ritrovo anche io. Appuntamento nel primo pomeriggio in centro, di fronte a Hungry Jack’s. Prendo la mattinata estremamente con calma, scrivo, riordino un po’, mi cucino il mio primo piatto di pasta australiana. Considerate le circostanze, non è uscito niente male. Gli orari soprattutto sono molto australiani, ho pranzato che era da poco passato mezzogiorno.
Quindi parto alla volta della city e arrivo all’appuntamento quasi in orario. Mi guardo intorno, chi ha l’aria di aspettare qualcuno? Quasi tutti. Tiro fuori il cellulare per mandare un sms (“maglietta bianca con scritta rossa, L’ELENCO”), e in quel momento Luciana mi chiama: è la ragazza proprio davanti a me!

Bibitozzo da Starbucks e chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere. Su cosa ci ha portato lì, cosa combiniamo, cosa abbiamo in programma per il futuro. La cosa che mi colpisce di più è scoprire un sentimento comune: “Le giornate sembrano lunghissime, perché quando qui è il momento di andare a letto, in Italia è solo metà pomeriggio, e rimanderei all’infinito l’ora in cui spengo le luci perché voglio continuare a parlare con i miei amici.” Ci siamo appena conosciute, e già mi spiace pensare al fatto che presto partirò, perché poteva nascere una bella amicizia. Beh, magari è solo rimandata. Dopo un paio di ore di chiacchiere e di vasche per il centro, siamo raggiunte da una coppia di amici italiani, anzi milanesi, Genny e Andrea. Quanto è strano sentire “fi*a” da questa parte del mondo? Una cifra. Per completare il quadro, andiamo a mangiare tutti insieme, in un pub che la domenica sera fa pizza a 5 $. Mi sa che nel corso dell’anno svilupperò anche io il fiuto per questo genere di cose. Dopo cena, altre chiacchiere, si finisce per parlare di Guzzanti e della telenovela piemontese. Il senso di straniamento ormai ha raggiunto livelli esponenziali. Verso le 8 però Luciana deve rientrare nell’ostello in cui vive, perché inizia il suo turno di lavoro. La accompagniamo, visito rapidamente l’ostello, quindi ci salutiamo. Forse in modo un po’ frettoloso o superficiale, perché in fondo è troppo strano pensare che, nonostante uno splendido pomeriggio passato insieme e numerose affinità portate alla luce, fra due giorni parto e chissà quando ci rivedremo. Ma non si può mai sapere.

Mentre torno a casa, penso al bellissimo weekend che ho passato, al fatto che contro ogni aspettativa non sono stata sola un minuto. Appena formulato il pensiero, mi arriva un sms da Karen: “Ciao Ilaria, fammi sapere quando arrivi alla stazione, che se non è troppo tardi ti veniamo a prendere.” Ecco. Ma meglio camminare un po’, così’ almeno smaltisco la mia pizza cajun chicken. Arrivo a casa in una mezz’oretta, senza neanche perdermi! E al mio arrivo, un’altra sorpresa: i miei ospiti mi hanno portato un bel cappellone da cowboy, indispensabile per affrontare l’estate australiana! “Ah, Ilaria, domani sera avremo a cena Steven e Lilly, così vi potete salutare. E ci ha detto Chloe che passeranno anche loro per il dolce.

Ed è seguita una cena epica. Per la festa del papà, che è stata appunto domenica, Steven ha portato dei gran bei regali a Max: Toblerone formato famiglia e T-bone di dinosauro. E ha praticamente estromesso i suoi genitori dalla cucina, “Voglio fare io.” Steve è proprio figlio di suo padre, sempre la battuta pronta, non perde occasione per scherzare.
Lilly è più discreta, ma ha una risatina acuta e una voce che mi fanno morire dal ridere, e un paio di occhiali che mi piace un casino. È davvero bello vederli tutti insieme, c’è un calore da Mulino Bianco in questa famiglia, ma genuino.


E che magnata! Hanno completato il quadro i Gundy, che sono passati a salutare e a raccontare degli ultimi preparativi per il matrimonio. Mitica Chloe, ha comprato due (2!!!) vestiti da sposa! Qualcuna cerca un abito? Ha intenzione di vendere il doppione su eBay :D

Ed ecco finita la mia avventura a Brisbane. Tempo di fare i bagagli e proseguire il viaggio. Confesso che al momento dei saluti avevo l’occhio un po’ umido, soprattutto quando mi hanno ribadito per l’ennesima volta che a Brisbane ho una famiglia. So che non potrò mai ringraziarli abbastanza, ma spero almeno che un domani potrò fare lo stesso per qualcuno che dovesse trovarsi nella stessa situazione in cui mi trovo io ora.

Oh, quanto ho scritto. Tanto, ma tanto! Tutto per via del guasto all’autobus… Per le prossime volte cercherò di essere più sintetica. Ci risentiamo a Rainbow Beach!