venerdì 5 luglio 2013

Nella vita ci sono cose meno stressanti che badare alle vacche




Chi si rivede! È passato un sacco di tempo, vero? E mi sa che molti avranno dubitato della mia buona volontà, pensando che avrei lasciato perdere il blog. Chi mi conosce bene però sa quanto odio non portare a termine quello che inizio, quindi ho deciso che devo assolutamente mettere mano alle mie memorie e raccontarvi la fine della storia. Preparatevi, che ci sono ancora un sacco di pagine da scrivere.

Facciamo un veloce riepilogo delle ultime puntate. Camden Springs, non lontano da Canberra, nella fattoria di Ric e Lexie, lo studente di italiano e la professoressa di matematica. 1.200 pecore, 150 mucche e 3 cani. Se ricordate, delle pecore abbiamo parlato due mesi fa. Oggi parliamo delle mucche.

Razza Angus Aberdeen, destinate al macello. Sono divise in tre grandi gruppi: giovenche, manzi (questi due sono i gruppi dei giovani), mucche adulte – e gravide.
Io, quando penso alle mucche, penso a questa 


o a questa 



No no no. Le mucche sono animali tremendi. Intanto, sono grosse. Sono timide, timidissime (non tanto quanto le pecore, ma sono sulla buona strada), ma con la giusta motivazione possono diventare estremamente minacciose. Su questo ci torneremo dopo, però. Iniziamo con la normale routine di gestione dei bovini.


Circospezione e discrezione

Uno dei primi compiti in cui assisto Ric è lo spostamento degli animali. Funziona un po’ come con le pecore, si accerchiano le mucche e si spingono nella direzione desiderata. Quindi montiamo in sella al quad – io, Ric e Fred – e iniziamo a spostare gli esemplari più giovani da un punto all’altro del pascolo. La meta è il recinto in cortile, dove nel pomeriggio arriverà Corey, che di mestiere fa lo station agent, un incrocio fra un veterinario e un piazzatore di animali: pesa le bestie, aggiorna gli allevatori sui prezzi del mercato, mette in contatto venditori e acquirenti, eccetera. Prima di tutto questo, però, dobbiamo radunarle. Fred è ben felice di viaggiare sul quad a tutta velocità; io un po’ meno. Non mi piacciono molto le moto. Per questo, quando Ric mi chiede di saltare a terra per “spingere” le mucche, sono ben felice di eseguire. Ci saranno 40 gradi, nell’erba alta potrebbero nascondersi serpenti e Dio solo sa cos’altro, rischio di essere investita dalle mandrie, ma tutto questo per me è molto meglio che essere costretta ad andare in moto.
Il mio lavoro in realtà non è così terribile, e nel giro di un’oretta le giovenche sono al loro posto; è ora di occuparsi dei maschietti. Ric mi assicura che i manzi sono molto più semplici da spostare (soliti discorsi dei maschi che lavorano con le donne: sono isteriche, sono mestruate, e via dicendo), quindi penso che nel giro di mezz’ora ce la caviamo. Ultime parole famose: terrorizzati all’ennesima potenza, i tapini fuggono in tutte le direzioni; perdiamo così tanto tempo che, quando finalmente arriviamo al recinto, Corey è già lì che ci aspetta. Missione del giorno: pesare gli animali. Maschi e femmine, sempre rigorosamente separati, vengono spinti in diversi recinti – divide et impera, si applica anche agli animali – e tramite cancelli e corridoi si fanno passare uno per uno sulla bilancia, fornita e montata dallo station agent. Se qualche bestia fa la timida, si persuade con dei grossi tubi di gomma usati a mo’ di bastone.

Vai avanti tu che mi viene da ridere

State (relativamente) tranquilli: tutto ciò non nuoce alla mucca. O meglio, l’operazione è ovviamente un’infinita fonte di stress, ma gli animali non vengono maltrattati in senso stretto. Hanno paura, fanno tanta cacca a destra e a manca, ma non vengono maltrattati. Potrete pensare che sono senza cuore, che anche solo far subire loro uno stress del genere è crudeltà. No. Non avete ancora letto niente.

Facciamo un salto in avanti nel tempo. Sono passati forse un paio di mesi dalla pesa di cui sopra. Manzi e giovenche sono stati ricombinati nei pascoli a seconda del peso, Ric si è fatto un’idea degli esemplari che vuole vendere. La sottoscritta ha preso un po’ più di confidenza con le tecniche di mastering. Oggi dobbiamo di nuovo spostare le vacche e portarle alla base per una nuova pesa. Anche stavolta il grosso del lavoro lo fa Ric in sella al quad, io però sono stata promossa alla guida del pick up, ovvero più che altro sosto con il mezzo agli incroci per assicurarmi che i bovini non prendano la strada sbagliata. Dopo pranzo mettiamo gli animali nel recinto, e procediamo a selezionare quelli possono essere venduti, indirizzandoli nel corridoio per l’etichettatura. Per la prima volta entro anche io nel recinto per aiutare Ric nella separazione dei buoni e dei cattivi (fa molto Vangelo). Ecco come deve sentirsi il torero nell’arena. Io sono armata solo di un tubo di plastica, però. D’altra parte, loro sembrano quelli più spaventati, ma scommetto che se ci prendiamo reciprocamente a calci farebbe più male a me. Uno dei torelli riesce eroicamente a scappare, scavalca due staccionate e si ritrova a fare visita a papino! E ora chi lo recupera… 

Lasciamo perdere, pensiamo al da farsi. Il primo bovino entra nel corridoio, pronto per farsi fare il piercing. Ancora una volta, prima le femmine, poi i maschi. Non sembra un lavoro lungo: le signorine, pur non essendo felici, lasciano fare con una certa indifferenza. Ma, quando passiamo all’altro sesso, la carica drammatica dell’operazione cresce esponenzialmente: muggiti di paura, testate a destra e a manca, scrollate di spalle, impennate, e chi più ne ha più ne metta. Alcuni puntano i piedi rifiutandosi di procedere, altri cercano di caricare la barriera e sfuggire al loro destino. Dopo circa un paio d’ore, tanta polvere e un po’ di sangue, anche questa è fatta.

Tutto bene? Pensate che le povere bestie siano trattate male? Aspettate.

Come dicevo all’inizio, oltre ai giovani esemplari, ci sono anche un centinaio di mucche in attesa. I lieti eventi sono attesi per fine gennaio. E infatti, proprio nei giorni e modi stabiliti dalla legge della natura, i vitellini iniziano a spuntare come funghi. Ogni volta che facciamo un giro di ricognizione per vedere come vanno le nascite, troviamo vitellini nuovi, alcuni nati solo da poche ore, ancora sporchi di robaccia amniotica, che neppure riescono a reggersi in piedi. Altri, quelli che hanno già qualche giorno, vanno appresso alle mamme e ogni tanto si attaccano a mangiare.


Sembra una comunità molto stretta, quella delle puerpere bovine, in cui le madri creano una sorta di  asilo nido per proteggere i loro bambini. Dove va la mamma, va anche il vitellino, non appena è in grado di camminare. Io sono già in brodo di giuggiole a vedere sti cosini piccoli e teneri e nuovi, ma le meraviglie della natura sono solo all’inizio. Arriva il momento di spostare madri e figli – per metterli in un pascolo più accogliente, per pesarli, e via dicendo – e ogni vitellino segue la sua mamma, ogni mamma aspetta con pazienza il suo vitellino. A volte capita di vedere una mucca seguita da due vitellini, e mi domando se si è trattato di un parto gemellare, o se un vitellino non riesce più a trovare la sua mamma. Un manipolo di vitelli più anziani e sgamati invece costituisce una specie di associazione a delinquere con la finalità di darci del filo da torcere, e si nascondono in fondo al ruscello, e la sottoscritta deve scendere a prenderli. Avete presente La Storia Infinita

Temo di fare la fine del cavallo

Oltretutto i pischellini non sono ancora spaventati dalla presenza umana, quindi o mi ignorano o mi prendono per il culo, risalendo da una parte per poi scendendo dall’altra. Santo cielo che fatica. Altrove, per ogni mucca che Ric riesce a muovere, 5 vitelli si danno alla macchia. È come cercare di afferrare l’acqua.

Decidiamo di prenderci una pausa, e nel tardo pomeriggio andiamo a recuperare i latitanti. Ci incamminiamo col pick up e scopriamo che molte vacche sono tornate indietro alla ricerca dei loro vitellini. Una, poverina, cerca ma non lo trova, e Ric sospetta che il vitellino sia morto. Purtroppo ne troviamo uno annegato in uno stagno. Proseguiamo con la perlustrazione, e quasi alla fine del giro ne troviamo uno addormentato in mezzo al campo. Ric cerca di avvicinarsi di soppiatto per afferrarlo e metterlo sul pick up, ma quello si sveglia e inizia ad agitarsi. È solo con l’aiuto dei cani che riusciamo a circondarlo e atterrarlo. Ric lo afferra per le zampe davanti, io dovrei prenderlo per le zampe posteriori e quindi sollevarlo. Avete idea di quanto pesa uno di questi cosi? E quanto scalciano? 40 kg di materiale instabile. Lui ha paura, ma io di più. Proviamo a legarlo prima di caricarlo in macchina, e nonostante le difficoltà, si rivela essere la strategia vincente. Il salamino si agita e muggisce, ma non ce n’è: ti portiamo dalla mamma, piccolo. Facciamo appena in tempo a entrare nel nuovo recinto, che lo scalmanato si libera e salta giù dal pick up. E dietro a un tronco a terra vediamo un altro orfanello. Con l’aiuto dei cani, Ric cerca di indirizzarli verso il resto della mandria, ma se il primo prigioniero non vede l’ora di andarsene e dimenticarsi di noi, l’altro non si lascia convincere così facilmente. Non ho mai visto i suoi fratelli maggiori opporre molta resistenza, ma questo addirittura carica i cani! Ric mi chiede di placcarlo, ma io non ci penso neanche ad avvicinarmi! Quindi lo blocca lui e lo mette sul pick up. Stavolta però niente corde: “Sali, siediti sopra il vitello e tienigli la testa schiacciata.” Prego?? Faccio un timido tentativo, ma no, questa roba è troppo hardcore per me. “Io guido. Tu ti siedi sul vitellino.” Ed è con estrema fatica che li riportiamo a casa. Una delle vacche sta evidentemente cercando il suo vitellino, dato che non smette più di annusare i piccolini che le girano intorno. 


Chissà se alla fine ha trovato il suo. Io, che c’ho la lacrima facile, davanti a queste cose mi commuovo. Ma le mie doti emotive sono ancora da mettere alla prova.

Prima di tutto, un bello spavento. Ric e Lexie devono andare in città per qualche ora, quindi Ric mi lascia i compiti da fare: liberare i cani, andare a controllare che le mucche e i vitelli siano a posto, finire di interrare un tubo che corre proprio nel pascolo dove attualmente sono stanziate le nostre mucche. Io, che non c’ho tempo da perdere, prendo il quad (ormai sono una perfetta centaura!), i cani, la vanga, faccio un giro di ricognizione e poi mi fermo al tubo. Per il momento la maggior parte delle mucche sono divise in due grossi gruppi, e io sono proprio nel mezzo. Ogni tanto una coppia madre-figlio si stacca da un gruppo per unirsi all’altro, e quando mi passano accanto rallentano, mi considerano per qualche minuto, quindi mi aggirano con cautela. C’è un’atmosfera strana, tipo Gli Uccelli, ma meno bella. Mi rincuoro pensando che i cani dovrebbero tenere eventuali malintenzionate alla larga. Finisco in quattro e quattr’otto il lavoro, monto in moto e faccio per tornare a casa, quando accade. Le mucche iniziano ad agitarsi, si alzano, vengono verso di me. Mi circondano. Io rallento, mi fermo. I cani fanno i pirlotti in giro e mi urlano: “Ci vediamo su, eh!” Prego che perdano in fretta interesse nei miei confronti e tornino a godersi il fresco, sotto l’albero. Invece continuano a controllarmi, in silenzio. Il boss è una mucca guercia. Io tengo un occhio su di lei, l’altro sul resto della mandria. Lentamente, cerco di prenderle alla larga e allontanarmi sempre di più, ma se non sto attenta rischio di volare giù dalla scarpata. 


Mi domando, qualora dovessi veramente darmela a gambe, in quanto tempo il quad può fare da 0 alla velocità massima. Non abbastanza per evitare una testata, temo. Quindi proseguo piano piano, per gradi. Il tutto avviene in 5 minuti, ma immaginerete che sembrano un’eternità. I cani in cima alla collina mi guardano come per dire: “Beh, non vieni?” Metro dopo metro riesco ad allontanarmi, ma quelle continuano a fissarmi, sento i loro occhi sulla nuca. Ancora un tratto a rallentatore, e… via! Velocità massima! Arrivo in cima alla collina con il cuore in gola e qualche capello bianco in più, ne sono sicura. Ma le emozioni forti non sono ancora finite.

Dunque, si fissa il giorno fatale e Ric contatta Bruce, un vicino di casa cowboy, che con il suo cavallo ci aiuterà a portare mamme e figli al recinto in cortile per la castrazione. Lo spostamento è uno stress per tutti, noi e loro, ed è quasi mezzogiorno quando arriviamo a destinazione. Ora dobbiamo separare le mucche dai vitelli. Io sono moooolto a disagio, c’è una cagnara tremenda, tutti che urlano, le mamme non vogliono staccarsi dai piccoli; c’è pure una mucca mezza matta che carica e salta, la numero 18. Con molta fatica e gran urto dei nervi, le mucche rimangono chiuse fuori dal recinto e i vitellini sono dentro. E qui inizia lo strazio. Le mucche restano tutto il tempo vicine al recinto, chiamando i vitellini, che dall’altra parte piangono disperati, tremano, sono spaventatissimi. 


Abbiamo – hanno, ché io mi adeguo a quello che mi dicono di fare – un’idea brillante: andare a pranzo e cominciare il lavoro vero e proprio solo nel pomeriggio. Questo vuol dire che per tutta l’ora seguente le bestie urlano e piangono e si stracciano le vesti. Se ci ripenso, non so come ho fatto ad arrivare alla fine di quella giornata. Per adesso siamo solo a metà. È ora di impugnare le forbici. Uno per uno, i vitellini vengono infilati nel solito corridoio, Bruce controlla se sono maschi o femmine, e a seconda del sesso Ric fa il piercing sull’orecchio destro o sinistro. Non vengono ancora etichettati, ma si recide un pezzetto di cartilagine con un affare che funziona tipo la macchinetta per fare i buchi ai fogli. Le femmine sono quindi libere di andare, mentre i maschietti ricevono anche un elastichino lì; nel giro di un paio di settimane ci saranno palline di vitello sparse per tutto il pascolo. E, 70 vitelli dopo, abbiamo finito. Si aprono i cancelli, e i nuclei familiari sono ricomposti. Le mucche si coccolano i loro piccini, che hanno ancora tutto il musetto rigato di lacrime. I poveretti si sono pianti l’anima.