venerdì 5 luglio 2013

Nella vita ci sono cose meno stressanti che badare alle vacche




Chi si rivede! È passato un sacco di tempo, vero? E mi sa che molti avranno dubitato della mia buona volontà, pensando che avrei lasciato perdere il blog. Chi mi conosce bene però sa quanto odio non portare a termine quello che inizio, quindi ho deciso che devo assolutamente mettere mano alle mie memorie e raccontarvi la fine della storia. Preparatevi, che ci sono ancora un sacco di pagine da scrivere.

Facciamo un veloce riepilogo delle ultime puntate. Camden Springs, non lontano da Canberra, nella fattoria di Ric e Lexie, lo studente di italiano e la professoressa di matematica. 1.200 pecore, 150 mucche e 3 cani. Se ricordate, delle pecore abbiamo parlato due mesi fa. Oggi parliamo delle mucche.

Razza Angus Aberdeen, destinate al macello. Sono divise in tre grandi gruppi: giovenche, manzi (questi due sono i gruppi dei giovani), mucche adulte – e gravide.
Io, quando penso alle mucche, penso a questa 


o a questa 



No no no. Le mucche sono animali tremendi. Intanto, sono grosse. Sono timide, timidissime (non tanto quanto le pecore, ma sono sulla buona strada), ma con la giusta motivazione possono diventare estremamente minacciose. Su questo ci torneremo dopo, però. Iniziamo con la normale routine di gestione dei bovini.


Circospezione e discrezione

Uno dei primi compiti in cui assisto Ric è lo spostamento degli animali. Funziona un po’ come con le pecore, si accerchiano le mucche e si spingono nella direzione desiderata. Quindi montiamo in sella al quad – io, Ric e Fred – e iniziamo a spostare gli esemplari più giovani da un punto all’altro del pascolo. La meta è il recinto in cortile, dove nel pomeriggio arriverà Corey, che di mestiere fa lo station agent, un incrocio fra un veterinario e un piazzatore di animali: pesa le bestie, aggiorna gli allevatori sui prezzi del mercato, mette in contatto venditori e acquirenti, eccetera. Prima di tutto questo, però, dobbiamo radunarle. Fred è ben felice di viaggiare sul quad a tutta velocità; io un po’ meno. Non mi piacciono molto le moto. Per questo, quando Ric mi chiede di saltare a terra per “spingere” le mucche, sono ben felice di eseguire. Ci saranno 40 gradi, nell’erba alta potrebbero nascondersi serpenti e Dio solo sa cos’altro, rischio di essere investita dalle mandrie, ma tutto questo per me è molto meglio che essere costretta ad andare in moto.
Il mio lavoro in realtà non è così terribile, e nel giro di un’oretta le giovenche sono al loro posto; è ora di occuparsi dei maschietti. Ric mi assicura che i manzi sono molto più semplici da spostare (soliti discorsi dei maschi che lavorano con le donne: sono isteriche, sono mestruate, e via dicendo), quindi penso che nel giro di mezz’ora ce la caviamo. Ultime parole famose: terrorizzati all’ennesima potenza, i tapini fuggono in tutte le direzioni; perdiamo così tanto tempo che, quando finalmente arriviamo al recinto, Corey è già lì che ci aspetta. Missione del giorno: pesare gli animali. Maschi e femmine, sempre rigorosamente separati, vengono spinti in diversi recinti – divide et impera, si applica anche agli animali – e tramite cancelli e corridoi si fanno passare uno per uno sulla bilancia, fornita e montata dallo station agent. Se qualche bestia fa la timida, si persuade con dei grossi tubi di gomma usati a mo’ di bastone.

Vai avanti tu che mi viene da ridere

State (relativamente) tranquilli: tutto ciò non nuoce alla mucca. O meglio, l’operazione è ovviamente un’infinita fonte di stress, ma gli animali non vengono maltrattati in senso stretto. Hanno paura, fanno tanta cacca a destra e a manca, ma non vengono maltrattati. Potrete pensare che sono senza cuore, che anche solo far subire loro uno stress del genere è crudeltà. No. Non avete ancora letto niente.

Facciamo un salto in avanti nel tempo. Sono passati forse un paio di mesi dalla pesa di cui sopra. Manzi e giovenche sono stati ricombinati nei pascoli a seconda del peso, Ric si è fatto un’idea degli esemplari che vuole vendere. La sottoscritta ha preso un po’ più di confidenza con le tecniche di mastering. Oggi dobbiamo di nuovo spostare le vacche e portarle alla base per una nuova pesa. Anche stavolta il grosso del lavoro lo fa Ric in sella al quad, io però sono stata promossa alla guida del pick up, ovvero più che altro sosto con il mezzo agli incroci per assicurarmi che i bovini non prendano la strada sbagliata. Dopo pranzo mettiamo gli animali nel recinto, e procediamo a selezionare quelli possono essere venduti, indirizzandoli nel corridoio per l’etichettatura. Per la prima volta entro anche io nel recinto per aiutare Ric nella separazione dei buoni e dei cattivi (fa molto Vangelo). Ecco come deve sentirsi il torero nell’arena. Io sono armata solo di un tubo di plastica, però. D’altra parte, loro sembrano quelli più spaventati, ma scommetto che se ci prendiamo reciprocamente a calci farebbe più male a me. Uno dei torelli riesce eroicamente a scappare, scavalca due staccionate e si ritrova a fare visita a papino! E ora chi lo recupera… 

Lasciamo perdere, pensiamo al da farsi. Il primo bovino entra nel corridoio, pronto per farsi fare il piercing. Ancora una volta, prima le femmine, poi i maschi. Non sembra un lavoro lungo: le signorine, pur non essendo felici, lasciano fare con una certa indifferenza. Ma, quando passiamo all’altro sesso, la carica drammatica dell’operazione cresce esponenzialmente: muggiti di paura, testate a destra e a manca, scrollate di spalle, impennate, e chi più ne ha più ne metta. Alcuni puntano i piedi rifiutandosi di procedere, altri cercano di caricare la barriera e sfuggire al loro destino. Dopo circa un paio d’ore, tanta polvere e un po’ di sangue, anche questa è fatta.

Tutto bene? Pensate che le povere bestie siano trattate male? Aspettate.

Come dicevo all’inizio, oltre ai giovani esemplari, ci sono anche un centinaio di mucche in attesa. I lieti eventi sono attesi per fine gennaio. E infatti, proprio nei giorni e modi stabiliti dalla legge della natura, i vitellini iniziano a spuntare come funghi. Ogni volta che facciamo un giro di ricognizione per vedere come vanno le nascite, troviamo vitellini nuovi, alcuni nati solo da poche ore, ancora sporchi di robaccia amniotica, che neppure riescono a reggersi in piedi. Altri, quelli che hanno già qualche giorno, vanno appresso alle mamme e ogni tanto si attaccano a mangiare.


Sembra una comunità molto stretta, quella delle puerpere bovine, in cui le madri creano una sorta di  asilo nido per proteggere i loro bambini. Dove va la mamma, va anche il vitellino, non appena è in grado di camminare. Io sono già in brodo di giuggiole a vedere sti cosini piccoli e teneri e nuovi, ma le meraviglie della natura sono solo all’inizio. Arriva il momento di spostare madri e figli – per metterli in un pascolo più accogliente, per pesarli, e via dicendo – e ogni vitellino segue la sua mamma, ogni mamma aspetta con pazienza il suo vitellino. A volte capita di vedere una mucca seguita da due vitellini, e mi domando se si è trattato di un parto gemellare, o se un vitellino non riesce più a trovare la sua mamma. Un manipolo di vitelli più anziani e sgamati invece costituisce una specie di associazione a delinquere con la finalità di darci del filo da torcere, e si nascondono in fondo al ruscello, e la sottoscritta deve scendere a prenderli. Avete presente La Storia Infinita

Temo di fare la fine del cavallo

Oltretutto i pischellini non sono ancora spaventati dalla presenza umana, quindi o mi ignorano o mi prendono per il culo, risalendo da una parte per poi scendendo dall’altra. Santo cielo che fatica. Altrove, per ogni mucca che Ric riesce a muovere, 5 vitelli si danno alla macchia. È come cercare di afferrare l’acqua.

Decidiamo di prenderci una pausa, e nel tardo pomeriggio andiamo a recuperare i latitanti. Ci incamminiamo col pick up e scopriamo che molte vacche sono tornate indietro alla ricerca dei loro vitellini. Una, poverina, cerca ma non lo trova, e Ric sospetta che il vitellino sia morto. Purtroppo ne troviamo uno annegato in uno stagno. Proseguiamo con la perlustrazione, e quasi alla fine del giro ne troviamo uno addormentato in mezzo al campo. Ric cerca di avvicinarsi di soppiatto per afferrarlo e metterlo sul pick up, ma quello si sveglia e inizia ad agitarsi. È solo con l’aiuto dei cani che riusciamo a circondarlo e atterrarlo. Ric lo afferra per le zampe davanti, io dovrei prenderlo per le zampe posteriori e quindi sollevarlo. Avete idea di quanto pesa uno di questi cosi? E quanto scalciano? 40 kg di materiale instabile. Lui ha paura, ma io di più. Proviamo a legarlo prima di caricarlo in macchina, e nonostante le difficoltà, si rivela essere la strategia vincente. Il salamino si agita e muggisce, ma non ce n’è: ti portiamo dalla mamma, piccolo. Facciamo appena in tempo a entrare nel nuovo recinto, che lo scalmanato si libera e salta giù dal pick up. E dietro a un tronco a terra vediamo un altro orfanello. Con l’aiuto dei cani, Ric cerca di indirizzarli verso il resto della mandria, ma se il primo prigioniero non vede l’ora di andarsene e dimenticarsi di noi, l’altro non si lascia convincere così facilmente. Non ho mai visto i suoi fratelli maggiori opporre molta resistenza, ma questo addirittura carica i cani! Ric mi chiede di placcarlo, ma io non ci penso neanche ad avvicinarmi! Quindi lo blocca lui e lo mette sul pick up. Stavolta però niente corde: “Sali, siediti sopra il vitello e tienigli la testa schiacciata.” Prego?? Faccio un timido tentativo, ma no, questa roba è troppo hardcore per me. “Io guido. Tu ti siedi sul vitellino.” Ed è con estrema fatica che li riportiamo a casa. Una delle vacche sta evidentemente cercando il suo vitellino, dato che non smette più di annusare i piccolini che le girano intorno. 


Chissà se alla fine ha trovato il suo. Io, che c’ho la lacrima facile, davanti a queste cose mi commuovo. Ma le mie doti emotive sono ancora da mettere alla prova.

Prima di tutto, un bello spavento. Ric e Lexie devono andare in città per qualche ora, quindi Ric mi lascia i compiti da fare: liberare i cani, andare a controllare che le mucche e i vitelli siano a posto, finire di interrare un tubo che corre proprio nel pascolo dove attualmente sono stanziate le nostre mucche. Io, che non c’ho tempo da perdere, prendo il quad (ormai sono una perfetta centaura!), i cani, la vanga, faccio un giro di ricognizione e poi mi fermo al tubo. Per il momento la maggior parte delle mucche sono divise in due grossi gruppi, e io sono proprio nel mezzo. Ogni tanto una coppia madre-figlio si stacca da un gruppo per unirsi all’altro, e quando mi passano accanto rallentano, mi considerano per qualche minuto, quindi mi aggirano con cautela. C’è un’atmosfera strana, tipo Gli Uccelli, ma meno bella. Mi rincuoro pensando che i cani dovrebbero tenere eventuali malintenzionate alla larga. Finisco in quattro e quattr’otto il lavoro, monto in moto e faccio per tornare a casa, quando accade. Le mucche iniziano ad agitarsi, si alzano, vengono verso di me. Mi circondano. Io rallento, mi fermo. I cani fanno i pirlotti in giro e mi urlano: “Ci vediamo su, eh!” Prego che perdano in fretta interesse nei miei confronti e tornino a godersi il fresco, sotto l’albero. Invece continuano a controllarmi, in silenzio. Il boss è una mucca guercia. Io tengo un occhio su di lei, l’altro sul resto della mandria. Lentamente, cerco di prenderle alla larga e allontanarmi sempre di più, ma se non sto attenta rischio di volare giù dalla scarpata. 


Mi domando, qualora dovessi veramente darmela a gambe, in quanto tempo il quad può fare da 0 alla velocità massima. Non abbastanza per evitare una testata, temo. Quindi proseguo piano piano, per gradi. Il tutto avviene in 5 minuti, ma immaginerete che sembrano un’eternità. I cani in cima alla collina mi guardano come per dire: “Beh, non vieni?” Metro dopo metro riesco ad allontanarmi, ma quelle continuano a fissarmi, sento i loro occhi sulla nuca. Ancora un tratto a rallentatore, e… via! Velocità massima! Arrivo in cima alla collina con il cuore in gola e qualche capello bianco in più, ne sono sicura. Ma le emozioni forti non sono ancora finite.

Dunque, si fissa il giorno fatale e Ric contatta Bruce, un vicino di casa cowboy, che con il suo cavallo ci aiuterà a portare mamme e figli al recinto in cortile per la castrazione. Lo spostamento è uno stress per tutti, noi e loro, ed è quasi mezzogiorno quando arriviamo a destinazione. Ora dobbiamo separare le mucche dai vitelli. Io sono moooolto a disagio, c’è una cagnara tremenda, tutti che urlano, le mamme non vogliono staccarsi dai piccoli; c’è pure una mucca mezza matta che carica e salta, la numero 18. Con molta fatica e gran urto dei nervi, le mucche rimangono chiuse fuori dal recinto e i vitellini sono dentro. E qui inizia lo strazio. Le mucche restano tutto il tempo vicine al recinto, chiamando i vitellini, che dall’altra parte piangono disperati, tremano, sono spaventatissimi. 


Abbiamo – hanno, ché io mi adeguo a quello che mi dicono di fare – un’idea brillante: andare a pranzo e cominciare il lavoro vero e proprio solo nel pomeriggio. Questo vuol dire che per tutta l’ora seguente le bestie urlano e piangono e si stracciano le vesti. Se ci ripenso, non so come ho fatto ad arrivare alla fine di quella giornata. Per adesso siamo solo a metà. È ora di impugnare le forbici. Uno per uno, i vitellini vengono infilati nel solito corridoio, Bruce controlla se sono maschi o femmine, e a seconda del sesso Ric fa il piercing sull’orecchio destro o sinistro. Non vengono ancora etichettati, ma si recide un pezzetto di cartilagine con un affare che funziona tipo la macchinetta per fare i buchi ai fogli. Le femmine sono quindi libere di andare, mentre i maschietti ricevono anche un elastichino lì; nel giro di un paio di settimane ci saranno palline di vitello sparse per tutto il pascolo. E, 70 vitelli dopo, abbiamo finito. Si aprono i cancelli, e i nuclei familiari sono ricomposti. Le mucche si coccolano i loro piccini, che hanno ancora tutto il musetto rigato di lacrime. I poveretti si sono pianti l’anima.


giovedì 9 maggio 2013

Consigli per gli acquisti

Non c'entra nulla con il mio viaggio, ma volevo farvelo sapere.

Oggi è ufficialmente nata la vostra lettura per l'estate: L'Elenco. Un libro che è una figata pazzesca.
Per ora è disponibile solo online, ma prestissssssimo sarà anche in libreria! E, soprattutto, sabato 18 maggio al Salone del Libro di Torino il romanzo sarà accompagnato dalle genitrici per conoscere il suo pubblico. Se potete, fate un salto, e mi renderete la persona più felice del mondo: rivedere i miei amici dopo tanto tempo in una simile occasione!

lunedì 29 aprile 2013

Flashforward. O, per gli anglofobi, prolessi

Saprete - o forse no - che, nel tempo reale di questo viaggio, è arrivato per me il momento di tornare a casa. Un po' prima della scadenza del visto, ma d'altra parte quando sono partita non mi sono mai posta come condizione quella di rimanere tassativamente per un anno. Le ragioni della mia decisione le racconterò al momento debito, ovvero quando finalmente avrò recuperato il filo delle mie vicende e arriverò a raccontarvi di questo momento, di me seduta nella reception di un ostello in attesa della navetta per l'aeroporto.

Per ora scrivo soltanto per farvi sapere che nelle settimane a venire potrei essere più latitante del solito, accumulando ritardi su ritardi. Ma vi assicuro che, anche se nei prossimi mesi vi racconterò infinite volte le mie storie di persona (anche se non vorrete ascoltarle)... beh, non mi piace lasciare le cose a metà, quindi finirà tutto nero su bianco. Arial su schermo.

Vi anticipo intanto una piccola novità. A partire dai prossimi post il blog non sarà più pubblico, ma sarà accessibile su invito. Devo ancora capire bene come funziona, sono sicura che è semplicissimo, se solo mi prendessi la briga di leggere le istruzioni... Ma ce la farò!

Bene, è ora di chiudere la valigia. A presto!

domenica 28 aprile 2013

Il silenzio degli agnelli di 'sta cippa



Allora, mettiamo in ordine le idee e cerchiamo di capire qual è il miglior modo di raccontare i due mesi e mezzo passati a Camden Springs. Ci ho riflettuto assai, e credo che sia meglio affrontare la questione per settori produttivi: pecore, mucche, varie ed eventuali. Iniziando dalle pecore.

Ho scoperto che le pecore sono animali timidissimi. No, aspettate, questa è la scoperta dell’acqua calda. La pecora è l’animale mansueto per definizione, c’è fior fiore di iconografia religiosa che ce lo ricorda. Fate il minimo movimento verso la pecora, e lei subito si sposterà nella direzione opposta con grande fretta, seguita con fretta ancora più grande da tutte le sue sorelle. 

Noi ce ne andiamo

Magari un attimo prima sono tutte sdraiate all’ombra di un eucalipto a riposare, o intorno all’abbeveratoio a rinfrescarsi… ma nell’attimo stesso in cui avvertono che uno sgradito bipede o il suo servo canino si avvicina, nulla al mondo potrebbe farle rimanere al loro posto. A meno che… a meno che non sia l’ora del pranzo.

Dal momento che quest’anno la siccità è stata davvero spietata, nei campi l’erba scarseggia, quindi Ric è costretto a integrare la dieta degli ovini con i cereali. Ogni tre giorni distribuiamo una striscia di orzo nel pascolo, e allora apriti cielo! Non ho mai visto una cosa del genere: non appena le avanguardie vedono arrivare il pick up, iniziano a gridare eccitate, e in pochi secondi una fiumana di pecore corre nella nostra direzione. E che belati esigenti! “Allora, ti sembra questa l’ora di arrivare? Abbiamo fame! Dacci da mangiare! Fame! Fame!” Non so se riesco a darvi un’idea della scena. Facciamo così: avete presente un qualsiasi film di zombi? 


Ecco. C’è persino la pecora tripode, che conferisce il giusto tono gore alla situazione. Pecore zombi. Questa sì che è un’idea accattivante… Beh, capisco che potrei non aver suggestionato a sufficienza la vostra immaginazione. Ergo ho pensato bene di girare un nuovo capolavoro in 3D per documentare il mio vissuto. 



Come dite? Non è in 3D? Ma avete messo gli occhialini? Sempre solo 2D, capisco. Beh, meglio così. Il 3D è sopravvalutato.

Comunque, le pecore sono così affamate che dimenticano tutta la loro timidezza, se ne sbattono del rischio di finire sotto le ruote del pick up e arrivano anche a calpestarsi l’una con l’altra. La striscia di orzo diventa sempre più lunga, e loro mollano il pezzetto che si erano guadagnate a suon di spintoni perché sono avide di sapere se il nuovo segmento a terra nasconde qualche sorpresa. Finché non ce ne andiamo, continuano a correrci dietro. E questo è il primo segnale che mi suggerisce che quando si parla di masse di pecoroni… beh, non sono proprio parole dette a caso.

Sul serio, più passa il tempo, più vedo crescere le somiglianze fra pecore e persone. Per esempio, al momento della vaccinazione degli ovini. Non si tratta proprio di un vaccino, piuttosto di fermenti lattici/integratori minerali o qualcosa di simile. Una roba color fango dall’odore di melassa. Si fanno entrare le pecore in un recinto, collegato a un altro recinto da uno stretto corridoio, quindi si fanno passare nel corridoio, ammassate il più possibile, e con una specie di pistola si spara in bocca una per una le buone vitamine.
Naturalmente le pecore non hanno idea che tutto ciò è volto al loro bene. Loro capiscono solo che ci sono tre cani che abbaiano furiosamente e cercano di evitarli per quanto possibile. Per un po’ corrono ripetutamente in tondo nel recinto di partenza, cercando disperatamente una via di fuga; poi basta che una sola capisca qual è la direzione da prendere, il corridoio, che subito la massa la segue. Quindi, dicevo, si ammucchiano le pecore strette strette – è il principio del controllo delle folle, no? – finché non hanno più spazio di manovra, e sono bloccate le une dalle altre. 

Embee?

In caso stiano troppo larghe, i cani le spingono nella direzione desiderata. Spingere è una parola grossa: non è neanche necessario il contatto fisico, basta la mera presenza per impaurirle. Una pecora poveretta era così spaventata che ha iniziato a correre avanti e indietro per il recinto, finché non ha sbattuto la testa contro la staccionata e si è spezzata il collo. Ma la povera bestia era ancora viva! Ovviamente non è durata a lungo… 

A questo proposito, mi sembra opportuno sfiorare un argomento che, ahimè, messo per iscritto non darà mai un’idea adeguata della realtà dei fatti: la puzza di morte. Non so quanti di voi hanno avuto modo di vivere questa esperienza sensoriale. Io, prima di arrivare qui, mai. Potreste pensare che il pesce che avete dimenticato in frigorifero prima di partire per le vacanze sia ambasciatore degno della puzza di morte. Neanche per sogno. Avete presente quando, nelle serie tv, trovano un cadavere vecchio di qualche giorno, e si coprono naso e bocca con la mano? Balle. L’unica, realistica reazione è scappare il più lontano possibile, mentre si tenta di trattenere i conati. Una pecora morta da un giorno è quanto di più terribile possa registrare il vostro olfatto. Un odore dolciastro, pesante – ok, col retrogusto di pesce – che, giuro, toglie letteralmente il respiro, e ci vuole un po’ di tempo (e parecchi metri di distanza fra voi e la carogna) per tornare a respirare liberamente.

In mancanza di un'immagine adeguata...

Ma! Passiamo a un argomento un po’ più piacevole. Per noi, non per le pecore. Le abbiamo sfamate, la abbiamo vaccinate, ora sono pronte per andare incontro al loro destino di pecore: la tosatura. Che avviene una volta all’anno (in questa fattoria, almeno), in qualsiasi periodo dell’anno. Ma ci sono dei requisiti da rispettare: le pecore devono essere ben asciutte, perché la lana umida è difficile da maneggiare, e devono essere portate nel capanno della tosatura almeno un paio di ore prima dell’inizio dei lavori, altrimenti sono troppo accaldate. I turni di lavoro sono organizzati in round di 2 ore l’uno, intervallati da mezz’ora di pausa (un’ora per il pranzo). Il sindacato dei tosatori è molto esigente, e gli iscritti prendono anche dei bei soldi. Il tosatore capo per noi è Doug, che gira gli allevamenti della zona per tosare pecore e alpaca e a seconda delle necessità è coadiuvato da altri due tosatori. Quindi, si comincia.

Giorno 1
Il programma prevede di cominciare alle 7.30. Io mi presento alle 7.32, e Doug è già all’opera, alle prese con la primissima pecorella. La afferra per le zampe anteriori, la trascina alla postazione, si appoggia con il busto al gancio che serve a sostenere l’operatore e inizia a tosarla. Prima di tutto, via il manto che ricopre la pancia, che va in una borsa a parte. Poi zampa posteriore destra, fianco, sposta la pecora, gira la pecora, capelli sfumatura alta, grazie. La povera bestia mi guarda, non so se rassegnata o implorante. Col passare dei giorni, ho codificato tre diverse espressioni che possono apparire sul muso della pecora:

  1. Espressione: Non so cosa ti hanno detto, ma hai preso la pecora sbagliata.
  2. Espressione: Ma cosa stai facendo? Ti sembra il modo?
  3. Espressione: Ti pregotipregotiprego non farmi del male.
In ogni caso, quello che sta accadendo ora è comunque infinitamente meglio di quello che si aspettassero quando sono state cacciate nel recinto adibito alla tosatura. Mentre io mi immagino i pensieri delle sventurate, Doug ha già finito: un buon tosatore impiega circa 2 minuti a tosare una pecora. Mentre Ric raccoglie il manto, un pezzo unico, io spazzo via i brandelli che si sono staccati nel mentre, e Doug senza troppi complimenti spinge la pecorella attraverso la porticina che dà sullo scivolo che finisce in un recinto separato, la zona dei nudisti.

 
Dopo la cura

E avanti la prossima! Intanto Ric mi mostra cosa si fa con la lana: stesa sul tavolo da lavoro, si libera dei grumi più grossi di sporcizia e – povera pecora – dei pezzi di pelle viva che sono venuti via. Per fortuna non sono molti, e ancora una volta credo che le pecore si considerino fortunate a cavarsela tutto sommato con così poco. Dopodiché la lana viene messa in un sacco all’interno della pressatrice, che oltre a pressare la lana ci fa sapere anche il peso. In media una di queste pecore (merino) si porta addosso 4 kg di lana. Morbidissima! E un po’ oleosa, a maneggiarla le mani rimangono unticce.

Mi sembra di correre come una matta per tutto il capanno, mi fanno addirittura provare a raccogliere la lana. Non è un lavoro scontato come si potrebbe pensare. Così come per tosare, anche per raccogliere la lana c’è una tecnica particolare: prima si afferra la zampa posteriore destra dal lato sporco, che sarebbe il lato esterno, quindi la zampa sinistra, si accumula il manto con i piedi, si fa su con le mani indietreggiando, quindi si avvolge tutto intorno alle prime zampe che avete raccolto. Ora con un gesto ampio e deciso si stende sul tavolo, come una tovaglia. Se avete fatto le cose per bene, dovreste avere ben distesa sul tavolo, con il lato sporco che guarda in su, la vostra pelliccia di lana merino. Io naturalmente mando lana da tutte le parti.

Ecco come dovrebbe finire

Giorno 2
In cui mi rendo conto che la sporcizia che eliminiamo con la prima sgrossata consiste in cacca di pecora secca.

Altri eventi salienti della giornata:

·         Una povera pecora ha ricevuto un taglio troppo corto. Così corto che le hanno bucato il pancino… Fiotto di sangue rosso scuro che cola senza fermarsi, ma Doug afferra ago e filo e sutura su due piedi la ferita. Io guardo incuriosita e giro la testa dall’altra parte impressionata, più volte, mentre Ric mi chiede se ho intenzione di svenire.
·         Una pecora particolarmente agguerrita riesce a scappare dal recinto e mi carica! O meglio, io mi sono coraggiosamente messa fra lei e la porta del capanno, sperando che come al solito lei si fermasse spaventata. Invece questa qui ha deciso che Doug le fa più paura di me, e mi finisce addosso. Bilancio finale: 0 feriti, 1 tosata.
·         Ho scoperto con immensa gioia, salendo sulla bilancia per pesare la lana, che non ho preso un kg da quando ho lasciato l’Italia!

Come vedete, una giornata ricca di avvenimenti. E ancora solo un tosatore.

Giorno 3
In cui arrivano i rinforzi: il tosatore n. 2, Kel, e una raccoglitrice, Jacintha. Sono molto sollevata che qualcun altro abbia il compito di tirare su la lana, ero davvero preoccupata al pensiero di doverlo fare io. A parte che non lo so fare, ma è anche un lavoro tremendo: la lana pesa, la terra è bassa e il lancio sul tavolo richiede una certa forza! Io invece me la cavo solo col mal di schiena di chi sta in piedi troppo a lungo e male ai pollici (ebbene sì) per via della sgrossatura. Ma anche questa giornata arriva al termine, abbastanza velocemente devo ammettere. I lavoratori se ne vanno, e io e Ric ci fermiamo a sistemare il capanno. Al lavoro sull’ultima balla dilana, scopro che questo settore è fortemente regolamentato: per chiudere la balla si devono utilizzare necessariamente 9 ganci, non uno di più, non uno di meno.
Parlando di cose meno ridicole, Ric mi spiega delle differenti qualità di lana, che si classifica in base alla “lunghezza d’onda” del filo, allo spessore, alla resistenza. Oh, e l’altra scoperta della giornata: non è solo la cacca a inzaccherare il manto delle pecore. La lana giallastra non è di quel colore per via dell’usura, e non è umida per via del sudore.

Tosatori all'opera

Giorno  4
Oggi Kel e Jacintha sono sostituiti da Bruce e Josh. Quest’ultimo non ha l’esperienza e la velocità di Jacintha, ma ancora una volta ringrazio il cielo di non dover fare io il suo lavoro. A parte questo, nulla di particolare da segnalare. La giornata si conclude senza incidenti; luci spente, ultima balla chiusa, reciproca pacca sulla spalla.

Giorno 5
Ed eccoci arrivati al giorno di chiusura! Devo dire che all’inizio ero molto, molto incuriosita dall’argomento tosatura. Ora, 850 pecore dopo… basta, vi prego. Non ne voglio più sapere. Almeno fino a marzo, quando si toseranno gli agnelli.

Non ha una faccia felice, vero?