Quante meraviglie nel parco di Kakadu! Quindi non perdiamo tempo, e passiamo subito la parola a Davide!
Al mattino
presto è l’ora della mia solita passeggiata solitaria per il campeggio.
Solitaria per i primi dieci metri, perché poi un’allegra, piccola mosca viene a
farmi compagnia. Siccome le sto simpatico, chiama le sue due sorelle. Che passano
la parola alle cugine. Che, già che ci sono, invitano le vicine di casa e delle
amiche in visita per il weekend. Dov’è il repellenteee? Ci sono oltre 1.000
specie di mosche, da queste parti, tutte fermamente decise a rompervi l’anima.
Dopo
colazione ci rendiamo finalmente conto di essere a Kakadu, una delle mete
naturalistiche più famose al mondo! Per capire cosa fare, raggiungiamo subito
il visitor centre, dove il Ranger Smith ci istruisce sui luoghi da visitare e
sulle passeggiate da fare: Ubirr, Alligator River, Nourlangie... si prospetta
una giornata piena! E meno male che abbiamo riempito tutte le nostre 24
bottiglie d’acqua da 60 cl (24, ricordate questo numero).
La prima
tappa ci conduce verso nord per una quarantina di chilometri, in direzione del
sito di arte aborigena di Ubirr, dell’East Alligator River e del Cahill Crossing. La strada si snoda in un paesaggio spettacolare, dal quale
all’improvviso sbucano strane formazioni rocciose sedimentarie, che fanno un
po’ Far West e un po’ India. Avvolti da una cappa di caldo soffocante, ci
incamminiamo in un jungle walk sulle sponde del fiume, dove non fa capolino
neppure un coccodrillo per ora (il tipo che ha scoperto l’Alligator River l’ha
chiamato così pensando di aver visto alligatori e non coccodrilli... e l’errore
è rimasto nel nome).
Il Cahill Crossing sull'East Alligator River |
In compenso ci sono tanti pipistrelloni sopra di noi e un
luogo “sacro” riservato alle donne, dove io non potrei entrare. Ilaria però mi
dà il permesso: nel caso, sig.ra divinità aborigena, la colpa è sua.
Appena più a
nord di questo luogo si trova Ubirr (bel nome), dove parecchi giovinastri
aborigeni dei millenni passati si sono divertiti a rovinare le pareti rocciose
verniciate di fresco disegnandoci sopra la qualunque. Scherzi a parte i
graffiti sono interessanti e i pannelli informativi esaurienti, ma quello che
resterà per sempre impresso nella mia mente è il panorama che si gode dalla
sommità di uno sperone roccioso: ai nostri piedi si estende verso nord una
sconfinata savana, punteggiata da pozze d’acqua e, all’orizzonte, da una fitta
foresta. Alle nostre spalle, una vallata piena di alberi viene chiusa da
lontani pendii rossastri, creando quello che sembra essere uno scorcio della
Terra com’era ai tempi dei dinosauri.
In cima all'Ubirr Lookout, dove lo spazio è senza confini |
Dopo alcuni
minuti di contemplazione riscendiamo il sentiero roccioso e iniziamo la marcia
di ritorno verso Jabiru, visto che è ora di pranzo. Questa cittadina, l’unica
nel raggio di 250
chilometri come ho già detto, è piuttosto desolata e,
soprattutto, assolutamente immobile nel caldo delle 2 del pomeriggio. Gli
aborigeni qui sono un po’ più attivi di quelli visti a Darwin (dopotutto Kakadu
è casa loro e sono direttamente coinvolti nella gestione del parco), ma
mantengono un elemento di fondo che li fa sembrare “strani”, perfette comparse
in un film di zombi. Jabiru è soltanto una tappa veloce, comunque: un (pessimo)
hamburger, un giro al supermercato e poi via, verso sud.
La
destinazione, ad altri 40 chilometri di distanza, è Nourlangie, che ci accoglie
con una spettacolare formazione rocciosa alta circa 200 metri che torreggia
su di noi. Dopo aver letto l’immancabile introduzione di Bill Neidjie, un
aborigeno che scrive in modo sgrammaticato ma è uno dei padroni delle terre del
parco, ci incamminiamo in un silenzio surreale (rumori di animali a parte).
Siamo nel cuore della bassissima stagione, in giro non c’è quasi nessuno e in
questo momento siamo quasi sicuramente gli unici due esseri umani nel raggio di
una ventina di chilometri.
Altra arte
aborigena (ragazzacci: pure i disegni sconci!) e un’arrampicata su e giù per i
roccioni, con panorami che compaiono all’improvviso e ti sembra di ritrovarti
sull’isola di Lost. Altra cosa che compare all’improvviso è un simpatico
serpente, che attraversa il sentiero a un paio di metri da noi, fermandosi giusto
nel mezzo per permetterci di ammirarlo al meglio. Non credo sia velenoso (non
mortale, almeno), visto che era tutto verde e qui quelli pericolosi pare siano
marroni: comunque meglio non approfondire e lasciarlo andare per la sua strada,
mentre noi completiamo la camminata tornando verso il parcheggio.
Ecco un esempio di arte aborigena |
Ora ci
aspetta l’ultima tappa della giornata. Siamo a Kakadu, terra dei coccodrilli, e
ancora non ne abbiamo visto uno: direi che è semplicemente intollerabile. Per
questo scelgo di percorrere la Anbangbang
Billabong Walk, un itinerario circolare che si snoda attorno
a un lago dove i coccodrilli sono così numerosi che sui cartelli non c’è
scritto “attenzione”, ma “troppo tardi”.
Non nascondo
il fatto che l’idea che magari a pochi metri da noi ci sia una creatura in
grado di farci fuori senza troppi problemi è strana, decisamente inusuale per
un europeo. Si procede guardinghi, in fila indiana, lontani dall’erba alta e
controllando ogni passo manco fossimo dei marine in esplorazione nel delta del
Mekong.
Il lago
(ancora poco più che una pozza, la “stagione umida” finora è stata
insolitamente secca da queste parti) è meraviglioso, popolato da ogni genere di
uccelli, e sulle sue rive saltellano piccoli wallaby e canguri, piccoli pure
loro peraltro. Siamo molto stanchi, le soste per bere sono frequenti e la
soglia dell’attenzione è sempre alta, anche perché la luce diurna ha ormai
lasciato il posto a quella serale. Altri canguri e un tronco che sembra un
coccodrillo con la bocca spalancata, ma nulla più: purtroppo (dico io) o per
fortuna (dice Ilaria) manco qui abbiamo visto il nostro primo rettilone.
Non si direbbe, ma questo luogo ameno è pieno di insidie |
Cotti dal
sole e dalle camminate riguadagniamo il camper e raggiungiamo in una mezzoretta
Cooinda, la tappa odierna. Dopo aver salvato una tedesca smarrita in campeggio
(che vince il premio Mrs. Ansia 2012 – memorabile il mio “Be quiet!” con cui la
zittisco involontariamente), è il momento di un altro tuffo in piscina e di una
bella razione di pasta. La stanchezza presenta il conto e le zanzare sono fin
troppo insistenti, per cui ancor prima della mezzanotte arriva l’ora di
ritirarsi nel camper (bollente, accidenti a lui), mentre sopra di noi splende
Orione. Orione... Con che fa rima Orione?
Quasi
dimenticavo... delle 24 bottiglie d’acqua mattutine, alla conta serale ne sopravvivono
4. Fanno 12 litri
d’acqua consumati in due, senza contare le numerose soste a tutte le fontanelle
incontrate!
Anche la
giornata seguente sarà improntata al segno dell’acqua. Per iniziare perché
oltre alla nuotatina serale aggiungiamo anche quella mattutina, preludio all’abbondante
colazione. Prima di ogni altra cosa però prenoto la crociera al tramonsto sullo
Yellow River. Poi mi faccio quattro chiacchiere con il Ranger Smith locale, che
mi informa che la passeggiata da lì al fiume è chiusa per pericolo coccodrilli
(e una parte di me non gli crede, vista la penuria di rettili del giorno
precedente). Decidiamo quindi di andarcene a qualche chilometro da lì, in uno
dei tanti billabong che punteggiano la zona.
E qui,
meraviglia delle meraviglie, Ilaria riesce a vedere occhi e narici di un
coccodrillo, che subito dopo si inabissa per non riapparire più (quelle
bestiacce possono restare sott’acqua per più di un’ora, senza respirare).
Tempus fugit e caldus picchiat, per cui torniamo dalle parti di Cooinda che è
già quasi ora di pranzo, dico quasi perché prima ci si tuffa di nuovo in
piscina, dove l’acqua è così rovente che diventiamo bolliti e, visto il sole a
picco, riusciamo pure a rimediare una leggera scottatura.
Fra una cosa
e l’altra si avvicina l’ora del giro in barca, così mettiamo qualcosa sotto i
denti e saltiamo sul pullmino che ci condurrà all’imbarcadero, guidato da uno
spilungone vissuto per sette anni con gli aborigeni che sarà anche il capitano
del nostro barcone. Eccoci sistemati a bordo, dove fra l’altro ci sono anche
altri tre italiani. Si parte!
Ora,
purtroppo le mie parole non potranno mai descrivere neppure la metà della
bellezza della crociera sullo Yellow River. Un acquazzone improvviso. Un
coccodrillo che compie un balzo per afferrare al volo un uccello, fallendo. Minuscoli
uccelli dai colori sgargianti che ci osservano dai rami degli alberi. Il Jesus
Bird con le sue lunghe zampette che cammina sulle ninfee. Coccodrilli stesi a
riva, a respirare con la bocca aperta o a sgranocchiare un pesce, su uno sfondo
delle più diverse tonalità di verde e accompagnati dai rumori di cento animali,
che si fanno assordanti quando il pilota spegne il motore e lascia che sia la
corrente a trascinare in silenzio la barca.
Ilaria e un coccodrillo insieme in una foto non li vedrete tanto spesso |
La chiatta
segue le anse del fiume, facendosi strada fra infinite meraviglie. I
coccodrilli esistono davvero, è ufficiale, e qui sembra quasi di poterli
toccare: per lo più si fanno i fatti loro, ma ogni tanto si avvicinano e
guardano il barcone, si immergono e ci passano sotto, lasciando una scia di
bollicine. Poi incrociamo il boss di questo tratto di fiume, un bestione lungo
quasi cinque metri che nuota tranquillo a pelo d’acqua, con la tipica aria del
ras del quartiere, per nulla intimidito dalla nostra presenza. Ecco, forse è
questo quello che intimorisce di più di questi dinosauri: quando li guardi
sembrano dirti “Me ne sbatto di te, mica ho paura. Sei tu che dovresti averne.”
Pigro e letale |
Cala la sera
e i rettili si fanno più attivi, ora ne vediamo a decine. I colori del cielo
diventano spettacolari, complici i nuvoloni dell’acquazzone, e arriva il
momento di tornare all’imbarcadero. Non mi ero mai sentito così “immerso” nella
natura in tutta la mia vita, è stata veramente un’esperienza incredibile. Altre
volte, per esempio in alta montagna, mi ero sentito “solo”, isolato, ma qui è
diverso, sei isolato ma non sei solo con te stesso, sei in compagnia di un
sacco di animali e animaletti, che ti fanno capire che sei un intruso dalle
loro parti.
Ancora con i
coccodrilli in mente ci immergiamo nella vasca idromassaggio della piscina (si
sarà capito che le piscine sono ormai una costante delle nostre giornate – anzi
ho deciso che quando avrò la mia megavilla ne vorrò almeno un paio). Pasta al
pesto reloaded e film serale ci accompagnano verso la conclusione della
giornata, mentre una grossa tempesta ci inonda di lampi per poi schivarci
abilmente quando si tratta di versare a terra un po’ di pioggia. Iniziano i
rumori della notte e noi si va a letto.
E grazie Davide per il resoconto puntuale e colorato! Certo, potevi risparmiarmi gli attimi di terrore intorno al billabong dei coccodrilli... Ma anche questa volta siamo sopravvissuti! E siamo pronti e pimpanti per un'altra avventura, prossimamente sui vostri PC!
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