lunedì 14 gennaio 2013

Mr Crocodile



Quante meraviglie nel parco di Kakadu! Quindi non perdiamo tempo, e passiamo subito la parola a Davide!

Al mattino presto è l’ora della mia solita passeggiata solitaria per il campeggio. Solitaria per i primi dieci metri, perché poi un’allegra, piccola mosca viene a farmi compagnia. Siccome le sto simpatico, chiama le sue due sorelle. Che passano la parola alle cugine. Che, già che ci sono, invitano le vicine di casa e delle amiche in visita per il weekend. Dov’è il repellenteee? Ci sono oltre 1.000 specie di mosche, da queste parti, tutte fermamente decise a rompervi l’anima.

Dopo colazione ci rendiamo finalmente conto di essere a Kakadu, una delle mete naturalistiche più famose al mondo! Per capire cosa fare, raggiungiamo subito il visitor centre, dove il Ranger Smith ci istruisce sui luoghi da visitare e sulle passeggiate da fare: Ubirr, Alligator River, Nourlangie... si prospetta una giornata piena! E meno male che abbiamo riempito tutte le nostre 24 bottiglie d’acqua da 60 cl (24, ricordate questo numero).

La prima tappa ci conduce verso nord per una quarantina di chilometri, in direzione del sito di arte aborigena di Ubirr, dell’East Alligator River e del Cahill Crossing. La strada si snoda in un paesaggio spettacolare, dal quale all’improvviso sbucano strane formazioni rocciose sedimentarie, che fanno un po’ Far West e un po’ India. Avvolti da una cappa di caldo soffocante, ci incamminiamo in un jungle walk sulle sponde del fiume, dove non fa capolino neppure un coccodrillo per ora (il tipo che ha scoperto l’Alligator River l’ha chiamato così pensando di aver visto alligatori e non coccodrilli... e l’errore è rimasto nel nome). 

Il Cahill Crossing sull'East Alligator River

In compenso ci sono tanti pipistrelloni sopra di noi e un luogo “sacro” riservato alle donne, dove io non potrei entrare. Ilaria però mi dà il permesso: nel caso, sig.ra divinità aborigena, la colpa è sua.

Appena più a nord di questo luogo si trova Ubirr (bel nome), dove parecchi giovinastri aborigeni dei millenni passati si sono divertiti a rovinare le pareti rocciose verniciate di fresco disegnandoci sopra la qualunque. Scherzi a parte i graffiti sono interessanti e i pannelli informativi esaurienti, ma quello che resterà per sempre impresso nella mia mente è il panorama che si gode dalla sommità di uno sperone roccioso: ai nostri piedi si estende verso nord una sconfinata savana, punteggiata da pozze d’acqua e, all’orizzonte, da una fitta foresta. Alle nostre spalle, una vallata piena di alberi viene chiusa da lontani pendii rossastri, creando quello che sembra essere uno scorcio della Terra com’era ai tempi dei dinosauri.

In cima all'Ubirr Lookout, dove lo spazio è senza confini
Dopo alcuni minuti di contemplazione riscendiamo il sentiero roccioso e iniziamo la marcia di ritorno verso Jabiru, visto che è ora di pranzo. Questa cittadina, l’unica nel raggio di 250 chilometri come ho già detto, è piuttosto desolata e, soprattutto, assolutamente immobile nel caldo delle 2 del pomeriggio. Gli aborigeni qui sono un po’ più attivi di quelli visti a Darwin (dopotutto Kakadu è casa loro e sono direttamente coinvolti nella gestione del parco), ma mantengono un elemento di fondo che li fa sembrare “strani”, perfette comparse in un film di zombi. Jabiru è soltanto una tappa veloce, comunque: un (pessimo) hamburger, un giro al supermercato e poi via, verso sud.

La destinazione, ad altri 40 chilometri di distanza, è Nourlangie, che ci accoglie con una spettacolare formazione rocciosa alta circa 200 metri che torreggia su di noi. Dopo aver letto l’immancabile introduzione di Bill Neidjie, un aborigeno che scrive in modo sgrammaticato ma è uno dei padroni delle terre del parco, ci incamminiamo in un silenzio surreale (rumori di animali a parte). Siamo nel cuore della bassissima stagione, in giro non c’è quasi nessuno e in questo momento siamo quasi sicuramente gli unici due esseri umani nel raggio di una ventina di chilometri.

Altra arte aborigena (ragazzacci: pure i disegni sconci!) e un’arrampicata su e giù per i roccioni, con panorami che compaiono all’improvviso e ti sembra di ritrovarti sull’isola di Lost. Altra cosa che compare all’improvviso è un simpatico serpente, che attraversa il sentiero a un paio di metri da noi, fermandosi giusto nel mezzo per permetterci di ammirarlo al meglio. Non credo sia velenoso (non mortale, almeno), visto che era tutto verde e qui quelli pericolosi pare siano marroni: comunque meglio non approfondire e lasciarlo andare per la sua strada, mentre noi completiamo la camminata tornando verso il parcheggio.

Ecco un esempio di arte aborigena

Ora ci aspetta l’ultima tappa della giornata. Siamo a Kakadu, terra dei coccodrilli, e ancora non ne abbiamo visto uno: direi che è semplicemente intollerabile. Per questo scelgo di percorrere la Anbangbang Billabong Walk, un itinerario circolare che si snoda attorno a un lago dove i coccodrilli sono così numerosi che sui cartelli non c’è scritto “attenzione”, ma “troppo tardi”.
Non nascondo il fatto che l’idea che magari a pochi metri da noi ci sia una creatura in grado di farci fuori senza troppi problemi è strana, decisamente inusuale per un europeo. Si procede guardinghi, in fila indiana, lontani dall’erba alta e controllando ogni passo manco fossimo dei marine in esplorazione nel delta del Mekong.

Il lago (ancora poco più che una pozza, la “stagione umida” finora è stata insolitamente secca da queste parti) è meraviglioso, popolato da ogni genere di uccelli, e sulle sue rive saltellano piccoli wallaby e canguri, piccoli pure loro peraltro. Siamo molto stanchi, le soste per bere sono frequenti e la soglia dell’attenzione è sempre alta, anche perché la luce diurna ha ormai lasciato il posto a quella serale. Altri canguri e un tronco che sembra un coccodrillo con la bocca spalancata, ma nulla più: purtroppo (dico io) o per fortuna (dice Ilaria) manco qui abbiamo visto il nostro primo rettilone.

Non si direbbe, ma questo luogo ameno è pieno di insidie

Cotti dal sole e dalle camminate riguadagniamo il camper e raggiungiamo in una mezzoretta Cooinda, la tappa odierna. Dopo aver salvato una tedesca smarrita in campeggio (che vince il premio Mrs. Ansia 2012 – memorabile il mio “Be quiet!” con cui la zittisco involontariamente), è il momento di un altro tuffo in piscina e di una bella razione di pasta. La stanchezza presenta il conto e le zanzare sono fin troppo insistenti, per cui ancor prima della mezzanotte arriva l’ora di ritirarsi nel camper (bollente, accidenti a lui), mentre sopra di noi splende Orione. Orione... Con che fa rima Orione?

Quasi dimenticavo... delle 24 bottiglie d’acqua mattutine, alla conta serale ne sopravvivono 4. Fanno 12 litri d’acqua consumati in due, senza contare le numerose soste a tutte le fontanelle incontrate!

Anche la giornata seguente sarà improntata al segno dell’acqua. Per iniziare perché oltre alla nuotatina serale aggiungiamo anche quella mattutina, preludio all’abbondante colazione. Prima di ogni altra cosa però prenoto la crociera al tramonsto sullo Yellow River. Poi mi faccio quattro chiacchiere con il Ranger Smith locale, che mi informa che la passeggiata da lì al fiume è chiusa per pericolo coccodrilli (e una parte di me non gli crede, vista la penuria di rettili del giorno precedente). Decidiamo quindi di andarcene a qualche chilometro da lì, in uno dei tanti billabong che punteggiano la zona.

E qui, meraviglia delle meraviglie, Ilaria riesce a vedere occhi e narici di un coccodrillo, che subito dopo si inabissa per non riapparire più (quelle bestiacce possono restare sott’acqua per più di un’ora, senza respirare). Tempus fugit e caldus picchiat, per cui torniamo dalle parti di Cooinda che è già quasi ora di pranzo, dico quasi perché prima ci si tuffa di nuovo in piscina, dove l’acqua è così rovente che diventiamo bolliti e, visto il sole a picco, riusciamo pure a rimediare una leggera scottatura.

Fra una cosa e l’altra si avvicina l’ora del giro in barca, così mettiamo qualcosa sotto i denti e saltiamo sul pullmino che ci condurrà all’imbarcadero, guidato da uno spilungone vissuto per sette anni con gli aborigeni che sarà anche il capitano del nostro barcone. Eccoci sistemati a bordo, dove fra l’altro ci sono anche altri tre italiani. Si parte!

Ora, purtroppo le mie parole non potranno mai descrivere neppure la metà della bellezza della crociera sullo Yellow River. Un acquazzone improvviso. Un coccodrillo che compie un balzo per afferrare al volo un uccello, fallendo. Minuscoli uccelli dai colori sgargianti che ci osservano dai rami degli alberi. Il Jesus Bird con le sue lunghe zampette che cammina sulle ninfee. Coccodrilli stesi a riva, a respirare con la bocca aperta o a sgranocchiare un pesce, su uno sfondo delle più diverse tonalità di verde e accompagnati dai rumori di cento animali, che si fanno assordanti quando il pilota spegne il motore e lascia che sia la corrente a trascinare in silenzio la barca.

Ilaria e un coccodrillo insieme in una foto non li vedrete tanto spesso

La chiatta segue le anse del fiume, facendosi strada fra infinite meraviglie. I coccodrilli esistono davvero, è ufficiale, e qui sembra quasi di poterli toccare: per lo più si fanno i fatti loro, ma ogni tanto si avvicinano e guardano il barcone, si immergono e ci passano sotto, lasciando una scia di bollicine. Poi incrociamo il boss di questo tratto di fiume, un bestione lungo quasi cinque metri che nuota tranquillo a pelo d’acqua, con la tipica aria del ras del quartiere, per nulla intimidito dalla nostra presenza. Ecco, forse è questo quello che intimorisce di più di questi dinosauri: quando li guardi sembrano dirti “Me ne sbatto di te, mica ho paura. Sei tu che dovresti averne.”

Pigro e letale

Cala la sera e i rettili si fanno più attivi, ora ne vediamo a decine. I colori del cielo diventano spettacolari, complici i nuvoloni dell’acquazzone, e arriva il momento di tornare all’imbarcadero. Non mi ero mai sentito così “immerso” nella natura in tutta la mia vita, è stata veramente un’esperienza incredibile. Altre volte, per esempio in alta montagna, mi ero sentito “solo”, isolato, ma qui è diverso, sei isolato ma non sei solo con te stesso, sei in compagnia di un sacco di animali e animaletti, che ti fanno capire che sei un intruso dalle loro parti.

Ancora con i coccodrilli in mente ci immergiamo nella vasca idromassaggio della piscina (si sarà capito che le piscine sono ormai una costante delle nostre giornate – anzi ho deciso che quando avrò la mia megavilla ne vorrò almeno un paio). Pasta al pesto reloaded e film serale ci accompagnano verso la conclusione della giornata, mentre una grossa tempesta ci inonda di lampi per poi schivarci abilmente quando si tratta di versare a terra un po’ di pioggia. Iniziano i rumori della notte e noi si va a letto.

E grazie Davide per il resoconto puntuale e colorato! Certo, potevi risparmiarmi gli attimi di terrore intorno al billabong dei coccodrilli... Ma anche questa volta siamo sopravvissuti! E siamo pronti e pimpanti per un'altra avventura, prossimamente sui vostri PC! 

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