martedì 12 febbraio 2013

Di canyon, mici e frutti proibiti



La giornata al King’s Canyon parte bene: cielo sereno, temperatura piacevole, un po’ di tempo speso scrivendo un post. Penso di condire il tutto con una passeggiatina, giro attorno al camper e mi accorgo che, dai e dai, parlare male degli aborigeni ha fatto arrabbiare il Serpente Arcobaleno, una delle loro divinità più cattive. Da vero dio vendicativo, il signor Serpente nella notte è strisciato fino al nostro camper e... ci ha bucato una gomma! Ma porc...

Così, mentre Ilaria dorme il sonno delle giuste, io mi cimento nel cambio dello pneumatico, che comprende lo scavare una buca sotto la gomma perché il cric non riesce a sollevare abbastanza tutto l’ambaradan.

Si sta di nuovo insinuando qualcosa sul mio peso? Comunque, in tutto ciò io avverto fra sonno e veglia che il camper ondeggia in maniera bizzarra. Indecisa se si tratta di un sogno o se è Davide che mi sta facendo uno scherzo, decido di ignorare la cosa con tutte le mie forze. E, quando mi alzo, c’è la gomma nuova!

Finisco giusto in tempo per la colazione, quindi per fortuna non abbiamo perso tempo, ma sembro un minatore appena sbucato dalle miniere del Sulcis, per cui come prima cosa si impone una doccia.
Salutata senza troppi rimpianti (e qualche vaffa) la King’s Creek Station procediamo verso nord per gli ultimi chilometri che ci separano dalla meta odierna. L’ambiente è ancora una volta incredibile: per oltre 30 km sulla nostra destra ci segue il margine roccioso di un altopiano che precipita nella pianura sottostante da un centinaio di metri d’altezza. La sera prima, con le rocce rosse rese lucide dalla pioggia, la vista era persino migliore, ma anche così non ci lamentiamo.
Come non ci lamentiamo quando arriviamo al canyon: anzi, facciamo che restiamo a bocca aperta! Ancora una volta ci addentriamo fra alte pareti rocciose, in mezzo a una vegetazione rigogliosa, camminando sul fondo della gola fino al termine del sentiero e scoprendo una pozza d’acqua dove nuotano centinaia di girini e altre creature assortite.

In fondo al King's Canyon, si posa per la foto di rito
Poi decidiamo di cimentarci anche nel tragitto più impegnativo (dopo i Monti Olga e Ayers Rock non ci spaventa niente), vale a dire il giro delle pareti del canyon, che inizia l’ascesa della Scala senza fine del Signore degli Anelli
Una volta giunti in cima iniziamo a camminare fra cupole rocciose fatte a strati, frutto della sedimentazione della sabbia – che strano, altrove le rocce diventano sabbia, qui avviene l’esatto contrario! Ancora una volta ci troviamo estasiati da un panorama diverso da tutti quelli che abbiamo visto finora e capace di lasciarci senza parole.

Pronto a spiccare il volo!
Quando poi il sentiero ti porta sul bordo del canyon, a un passo dal baratro e con una vista che spazia sulla lontana pianura, beh... la bellezza è troppa, non si può descrivere, dovete proprio andarci!
Il giro prosegue, fra infiniti saliscendi, portandoci prima ai Giardini dell’Eden, dove ancora vivono le piante dei tempi in cui l’Australia era un posto umido, e poi sull’altro lato del King’s Canyon, su rocce che non sono semplicemente a strapiombo: si protendono nel vuoto, sfidando la legge di gravità.

Saranno le fatiche dei due giorni precedenti, saranno i dislivelli, sarà il sole che oggi sembra particolarmente caldo, sarà l’acqua che qui fa veramente schifo, insomma ci stanchiamo parecchio e non vediamo l’ora di tornare al punto di partenza. Certo che il King’s Canyon è davvero un luogo straordinario: anche questo a parere mio e, credo, di Ilaria, riesce a superare in bellezza Ayers Rock.

Confermo.

Salutiamo con un certo dispiacere i suoi strapiombi e ci dirigiamo al resort che si trova lì a pochi chilometri: oggi niente panini al formaggio, cetrioli e carote, oggi vogliamo mettere nello stomaco qualcosa di sostanzioso! E cosa può esserci di meglio di un gustoso hamburger di cammello? Bene, dopo il coccodrillo e lo squalo abbiamo assaggiato anche questo, ora non mi resta che provare il canguro!

Incredibile: hanno infilato un cammello qui dentro!
Il tempo stringe (il limone pure N.d.R.): mentre si scatena il solito acquazzone pomeridiano facciamo una sosta dal gommista locale, che sistema la gomma bucata (viaggiare senza ruota di scorta da queste parti è poco raccomandabile) e poi via verso la Erldunda Station, dove torniamo di nuovo sulla Stuart Highway, pronti a svoltare verso sud in direzione del South Australia. Ma non oggi: la giornata lascia solo il tempo dell’ennesima piscina e di una buona cena con pasta allo zafferanno, mentre due simpatici micioni ci fanno compagnia. Miao!

La mattina seguente il micio fa colazione con noi, ma non possiamo perdere troppo tempo perché ci aspettano 1.200 km da percorrere in due giornate, per cui fatti armi e bagagli si parte e, dopo un centinaio di chilometri, si abbandona il Northern Territory per entrare nel South Australia.

Attraversi la strada e cambi fuso orario. Roba da matti.

Benvenuti!
Vicino al confine ci sono un sacco di cartelli che ci avvisano che, qualora venissimo sorpresi a importare frutta o simile dal nord, verremmo giustiziati con un colpo alla nuca al margine della strada. Visto che ne abbiamo parecchia, di frutta, decidiamo di mangiarla tutta – disponendola bene in vista sul cruscotto nel procedimento.

A ogni modo, stiamo entrando nella parte più desolata del viaggio, quella attraverso il vero “nulla”. Già la roadhouse di Marla ci sembra ai limiti delle possibilità di sopravvivenza umane, ma più si procede verso sud più l’ambiente va facendosi brullo e le querce del deserto che punteggiavano l’area di Ayers Rock lasciano il posto a... beh, a niente, a dire il vero.
Ma è solo quando, in serata, raggiungiamo Coober Pedy che ci rendiamo conto di aver definitivamente lasciato il pianeta Terra. Questo paesino multietnico (ci vivono persone di 44 nazionalità diverse) è il centro mondiale dell’estrazione degli opali, visto che da qui proviene il 90% di queste pietre, ed è anche un posto dove fa molto caldo, dove la gente vive sottoterra, dove il primo albero mai visto è stato realizzato con scarti metallici. Un posto unico, insomma, che io e Ilaria esploriamo a piedi, passando davanti al club dei minatori italo-australiani e al Big Winch, un grosso argano di cui qui vanno giustamente (???) fieri.

E si tratta pure di una copia! L'originale è andato distrutto... meno male che l'hanno ricostruito, eh.

Come se non bastasse tutto questo a renderlo un posto bizzarro, un matto ha pensato bene di aprire un museo a cielo aperto con le sue eccentriche opere d’arte. Uno scenario post-apocalittico nevvero.

Anche il campeggio che troviamo per la sera è particolare: ricavato in una vecchia miniera di opali è isolato, ventoso e spettacolare. Potremmo anche scendere a dormire sottoterra, ma dato che per andare sottoterra c’è sempre tempo, decidiamo di rimanere in superficie. Trovata la sistemazione per la notte, torniamo in città, per cenare al raffinato ristorante Umberto, dove un cliente scassamaroni tira un pippone di 20 minuti a un cuoco derelitto per un piatto venuto male. Quando torniamo al camping è ormai notte inoltrata e sopra di noi, in un cielo nero, brillano miliardi e miliardi di stelle – e passa pure un satellite. Emozioneee!

E non menzioni che hai anche assaggiato il canguro?

E poi, durante la notte: freddoooo! Dopo non aver dormito per il caldo, ecco che mi sveglio per il gelo del deserto – per fortuna riesco ad afferrare a tentoni uno dei sacchi a pelo che non avrei mai creduto di dover usare e mi riaddormento subito.
Il mattino dopo ci svegliamo infreddoliti – tanto che quando faccio la doccia apro addirittura il rubinetto dell’acqua calda! – e ce la prendiamo comoda prima di comprare un po’ di opali (mi arresteranno in frontiera, lo so) e di tornare a Coober Pedy per un ultimo saluto e soprattutto per vedere i set cinematografici abbandonati (qui hanno girato Mad Max III, Priscilla la Regina del Deserto, Pitch Black, Fino alla Fine del Mondo e molti altri) e fare spesa. Così sono quasi le 11 quando salutiamo la cittadina, che per ora vince la palma di posto più strano che io abbia mai visto.

Che modo di parcheggiare!
In teoria ci aspettano 540 chilometri di nulla fino a Port Augusta, dove finalmente rivedremo il mare! Invece questo nulla si riempie di tanti tipi di nulla diversi, che ci affascinano mentre chiacchieriamo del telefilm più bello delmondo, di cinema e di aborigeni sfaccendati. Le miniere di opali lasciano il posto a territori sconfinati, con l’orizzonte che si perde in ogni direzione. Gli alberi appaiono a tratti e per decine di chilometri viaggiamo in regioni dove crescono soltanto pochi ciuffi d’erba.

Nel pomeriggio, quando la meta si avvicina, le cose si fanno ancora più interessanti. Prima compare uno spettacolare lago salato, che io e Ilaria raggiungiamo a piedi, trovando un bel cartello che avvisa di non raccogliere nulla da terra perché potrebbero essere ordigni inesplosi (tutta l’area fa parte di un poligono militare). Poi arriviamo a Woomera, la base operativa da dove negli anni ’50 si gestivano i test atomici e missilistici che gli inglesi conducevano nel deserto lì vicino. La città, che è ancora una struttura militare operativa, mette i brividi tanto è vuota e bizzarra, così ci affrettiamo a visitare il suo museo all’aperto, pieno di missili, aerei e armi varie, e poi riprendiamo la strada verso sud.

Il progetto con cui Swaggirl ha vinto la Fiera della Scienza locale

A questo punto mi sembrava di essere in un episodio di, che so, Fringe, o X-Files. Mi aspettavo una comunità di polidattili, microcefali, gente che si scopa le proprie sorelle. Invece proprio il nulla assoluto. Una città fantasma.




In mezzo a panorami sempre mozzafiato, la Stuart Highway scende lentamente ma costantemente verso il mare e Port Augusta, dove arriviamo quando sono le sette di sera passate – grazie all’ora legale, entrata in vigore il 1 dicembre, il sole è però ancora alto e possiamo goderci un buon barbecue ristoratore. Niente piscina però, che fa freddo pure qui!

Ce lo dico da soli: quanta strada, quante cose... bravi!

1.278 km
 Km totali: 27.348. E siamo quasi arrivati!

1 commento:

  1. Non sto insinuando "di nuovo" qualcosa sul tuo peso, visto che non l'ho maaaaai fatto.

    Certo che se continui a tirare in ballo l'argomento i tuoi lettori penseranno che hai la coda di paglia :D


    Cmq... dove lo trovi qualcuno che ti cambia la gomma bucata mentre dormi tranquilla sul veicolo, eh? Manco in Ferrari!!!

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