martedì 19 febbraio 2013

A grandi salti verso Kangaroo Island



In teoria il programma prevede un’intera giornata a Port Augusta e questo comporta il fatto che la sveglia per Ilaria sia fissata tardi, dove tardi è da intendersi con le ore 8. Mi immagino le maledizioni quando apro la porta del camper per avvisarla che è ora di svegliarsi (io, naturalmente, sono in piedi almeno dalle 6).

Dal momento che vogliamo prendercela comoda, la prima tappa è la biblioteca cittadina, dove si naviga un po’ su Internet: poco però, perché c’è il limite dei 50 MB, così non riesco neppure a caricare qualche fotografia. Quando ci decidiamo a muovere qualche passo per la cittadina, ormai è quasi mezzogiorno.

Veduta omnicomprensiva di Port Augusta

Port Augusta si rivela carina, pulita, con delle belle casette, tanti parchetti e soprattutto il mare, che non fa mai male. Approfittando di una mappa super-dettagliata mi improvviso guida turistica e conduco Ilaria nella carrellata degli edifici storici della città. Che, per inciso, comprendono anche la macelleria, il cui ingresso è sovrastato dalla testa di un toro macellato nel 1927. Provano a venderci dei materassi per strada, facciamo un po’ di palestra all’aperto e seguiamo una coppietta aborigena fan degli AC/DC. E questo è quanto, alle 14 scarse ci troviamo ad aver esaurito qualsiasi cosa si possa fare da queste parti, per cui prendiamo la decisione di iniziare il viaggio verso Adelaide, in modo da avere una tappa più corta il giorno seguente.

L’idea sarebbe quella di procedere lungo la costa, ma ben presto Ilaria chiude gli occhi sul sedile del passeggero. Quindi decido di prendere la strada interna, allontanandomi dalla costa, e inizio ad accarezzare l’idea di puntare direttamente verso l’imbarco per Kangaroo Island, 450 km più a sud.

Ma non ho capito, approfitti dei miei momenti di assenza per stravolgere i programmi di viaggio?

Quando la mia navigatrice si sveglia, siamo già a un centinaio di km da Adelaide e procediamo spediti, quindi decidiamo di prenotare il traghetto per l’isola. E qui inizia l’avventura, perché la linea cade, ricade, riricade, ririricade. Jacintha, la tizia del servizio clienti, diventa in pochi minuti la donna alla quale ho fatto più telefonate in tutta la mia vita. E, by the way, alla fine mi hanno fatto due prenotazioni, una a nome di Davide Solditi e Rlaia Sufè. No, dico: Rlaia Sufè.

Potrei riempirci un elenco del telefono con tutte le nuove versioni del mio nome. Ma questa le batte tutte.

Attraversiamo Adelaide nell’ora di punta, senza mai perderci una sola volta. Dovremmo provare a fare qualche rally, andremmo alla grande! E subito dopo il panorama si trasforma e pare di stare in Italia, fra vigneti, dolci colline, fattorie e cavalli. Poi però dai prati spuntano le testoline dei canguri, a decine, ovunque, e capisci che sei ancora in Australia. Ci troviamo nella penisola di Fleurie, in un paesaggio davvero stupendo, mentre la distanza da Cape Jervis e dal traghetto si accorcia. Visto che l’imbarco è la mattina seguente, però, decido di buttarmi in una stradina laterale verso Rapid Bay, per passare la notte da qualche parte vicino al mare.

E faccio centro, perché finiamo in un campground dove parcheggio a una decina di metri dall’oceano (e a oltre cento metri dai bagni, con grande disappunto di Ilaria). Arriva subito un vecchietto a riscuotere i 12 dollari per la nottata e poi ci chiudiamo dentro: fa freddo, tira vento e piove. Però soffritto, pasta al sugo e poi qualche bicchiere di goon fanno in modo che all’intero del camperino si stia molto bene, fino alla conclusione della serata. Povero Dottor Horrible...

E voglio aggiungere: niente docce né elettricità. Poveri noi…

Ma devo ammettere che tutto ciò ha un suo fascino

E che spettacolo la mattina seguente! Tiro la tenda e guardo direttamente le onde, esco e posso camminare sulla spiaggia deserta, quando ancora sta sorgendo il sole. Una di quelle cose che non ti dimentichi più, insomma. Un po’ come tutta questa vacanza.

Un paio d’ore dopo, alle 10, siamo pronti a salpare le ancore: pronti via e si balla, le onde sono molto alte e mi vedo costretto a rinunciare al proposito di restare all’aperto, aggrappato alle balaustre come un lupo di mare, visto che il vento minaccia di sollevarmi di peso. Insomma: poltrona in prima fila e si guarda il mare per 45 minuti dal finestrone della nave.

Siamo così a Kangaroo Island, l’ultima grande tappa del mio tour australiano. Appena si sbarca si parte filati per la prima destinazione, Seal Bay, ché non c’è tempo da perdere – questi ultimi giorni stanno scivolando sempre più nel turboturismo! Per fortuna le distanze su Kangaroo Island sono piuttosto brevi, così non ci vuole molto e il trasferimento scorre via senza nulla da segnalare se non un serpente probabilmente finito sotto la macchina (che dire... sembrava un bastone, se ne stava lì dritto senza muoversi, ‘sto pirla). A proposito di incidenti, ma gli australiani non potrebbero spostare le carcasse degli animali che tirano sotto? Almeno quelle di peso superiore ai 30 kg che restano in mezzo alla strada, su... sembra di guidare nel mezzo di un cimitero di creature pelose!

Iniziamo con un lungo giro sul boardwalk che sovrasta la costa, alta, spoglia e battuta da un vento freddo: a entrambi sembra di essere tornati indietro di tre anni e di trovarci a camminare sul margine delle scogliere del Donegal, nella lontana Irlanda. Sotto di noi, in lontananza, vediamo i primi leoni marini e lo scheletro di una megattera che è venuta qui a morire. Poi rientriamo al centro visitatori, dove l’addetta alla biglietteria è un’asiatica australiana che 20 anni fa ha vissuto a Cerchiate di Pero (posto che esista un posto dal nome simile) e parla ancora molto bene la nostra lingua. Della serie, piccolo il mondo, eh! Sborsiamo il dovuto e ci spostiamo sulla spiaggia in compagnia della nostra guida, Don, un simpatico signore sulla sessantina (che sembra essere alticcio), di poche altre persone e di un sacco di leoni marini, animali teneroni e pigri. A loro difesa, voglio specificare che trascorrono tre giorni a caccia in mare aperto, senza mai dormire, prima di tornare a spiaggiarsi per altrettanti giorni – diciamo che la loro pigrizia è più che giustificata, insomma! 

Uno degli esemplari più vispi

Fra cuccioletti pacioccosi, femmine aggraziate, maschi immaturi e ciccioni dominanti (devono mettere su grasso: quando arriva il momento di lottare per l’accoppiamento non mangiano per sei settimane. E la femmina “ci sta” per una sola giornata. Ogni anno e mezzo. Scusate, lo ripeto: un giorno ogni anno e mezzo.) trascorriamo un’oretta veramente piacevole, prima di spostarci al Little Sahara, vale a dire quattro grosse dune di sabbia capitate chissà come nel mezzo del bush dell’isola, tutte da scalare mentre attorno a noi sfrecciano i sandboarder. Il vento solleva un sacco di sabbia, che sicuramente ritroveremo ovunque nel corso delle prossime 3-4 settimane.

Dall'Irlanda al Sahara!

Dopo questa passeggiata scalzi fra le dune procediamo ancora, fino a raggiungere le Kelly Caves, dove riusciamo a prenotare l’ultima visita della giornata. Facciamo un giretto e poi aspettiamo all’ingresso delle grotte, per renderci conto che il gruppo è costituito soltanto da me e da Ilaria e che la nostra guida sarà il simpatico nerd che ci aveva staccato i biglietti un’oretta prima. Si apre la porta, si scende una scala dalla pendenza improbabile e ci si tuffa nelle viscere della terra.
Sinceramente in vita mia ho visto grotte molto più grandi e belle di queste. Anzi, credo che queste siano le grotte più miserine che io abbia mai visitato: ma è stata senza ombra di dubbio una delle visite più interessanti! Siamo solo in due e la nostra guida dopo un iniziale imbarazzo (è pur sempre un nerd) e alcune improbabili pose esplicative inizia a sciogliersi e a raccontarci tutti i segreti delle sue caverne. In quaranta minuti ci parla della loro storia, di turisti smarriti, di ragni sfigati che entrano credendo di trovare chissà che e finiscono per morire di fame. Poi spegne tutte le luci tranne una piccolissima candela e ci fa vedere come si esplorava ai tempi dei primi visitatori (un ambiente molto romantico, ma scommetto che loro non ci badavano), poi spegne anche la candela per farci capire cosa si prova quando ci si perde e tutte le fonti di luce si esauriscono. Credo che potrei impazzire nel giro di 30 secondi in quel buio totale!

Ma dobbiamo scendere là sotto?
 
Molto interessante davvero, ma ormai sono le 5, la sua giornata lavorativa è finita e, in un certo senso, è finita anche la nostra. Niente più visite per oggi, si punta in direzione di Kingscote, la “capitale” dell’isola. Ilaria recupera le fatiche delle visite dormendo lungo il tragitto e in un’oretta circa raggiungiamo il campeggio dal quale sto scrivendo in questo istante.

Chi non mi conosce deve pensare che io sia affetta da narcolessia.



La serata si conclude con salsicce di dubbia qualità, ancora tanto vino rosso, un po' di risate e parecchia stanchezza, al punto che finiamo per spegnere presto la luce.
Buonanotte!

Però abbiamo camminato tanto, oggi...

522 km
 Km totali percorsi: 27.870. E abbiamo pure preso il traghetto.

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