Altro che due settimane di pausa, eh? Mi sono presa
qualche giorno in più. Come dicevo, sono invecchiata e il riposo è necessario.
E a volte non è una cosa semplice da ottenere.
Per esempio, durante un viaggio notturno in bus. Partenza
idealmente alle 23 dalla stazione di Bundaberg; il bus non si presenta prima
delle 23.40. Fino ad allora, desolazione semi-totale, e fa pure un gran freddo.
Insieme a me ci sono due ragazzi francesi ad aspettare. Lo scenario è un po’
creepy, ma sul piazzale della stazione si affaccia l’ingresso di un ostello,
dal quale esce musica a volume piuttosto alto, quindi sono tranquilla. Ho
passato le ultime ore a casa dello zio Ray, che vive in città ed è stato tanto
gentile da ospitarmi in attesa della partenza: l’alternativa sarebbe stata
ciondolare in giro per la città con tutto il mio bagaglio, e capirete che ci
sono cose che pure una randagia come me non può tollerare in misura così
abbondante.
Finalmente arriva l’autobus, dicevo. Tutti si accalcano
intorno all’autista, che controlla i biglietti e carica le valigie a seconda
della destinazione. “Per Airlie Beach, da
questa parte.” C’è poi la corsa ai posti liberi: è notte, e i sedili sono
occupati da persone accampate alla meno peggio per trascorrere la notte. Ci
sono anche un paio di bambini piccolissimi, speriamo che facciano i bravi.
Finalmente trovo due posti liberi e mi svacco con armi e bagagli. Un paio di
piedi aromatizzati Camambert 1978 sconfinano dalla fila dietro sul mio sedile.
Santo cielo, non ho più la forza per fare queste cose. E naturalmente di
dormire non se ne parla. L’unica cosa che mi sento di fare, fra una sosta e
l’altra, è ascoltare la musica. Cerco di scrutare il paesaggio notturno e mi
rendo conto che sto attraversando esattamente gli stessi luoghi che ho visitato
solo qualche settimana prima. Persino le fermate sono le stesse: Rockhampton,
Sarina, Mackay, Bowen. È bello questo senso di familiarità geografica, così
posso rendermi conto di quanto manca alla destinazione; ed è una bella
soddisfazione scoprire di conoscere tanto bene una parte di mondo di cui
ignoravo l’esistenza fino a poco tempo fa. Allo stesso tempo affiorano la
nostalgia e la stanchezza: ho passato in questi luoghi quasi due mesi, e quando
iniziavo a sentirmi a casa, sono salita di nuovo su un bus. Forse è un
comportamento un po’ incoerente, decidere di partire sempre, anche se questo
provoca sofferenza. Ma c’è ancora tanta Australia da vedere.
Con più di due ore di ritardo, alle 11 del nuovo giorno,
entriamo ad Airlie Beach, che forse alcuni di voi ricorderanno come il punto di
partenza per quel luogo meraviglioso che è l’arcipelago delle Whitsundays.
Manco a dirlo, ancora una volta mi sembra che solo un mese fa il luogo fosse molto
più bello. Sarà che nel frattempo ci siamo avvicinati all’alta stagione, e le
strade sono affollate di turisti. Molto più probabilmente, la notte
insonne mi ha reso un po’ irascibile. Cercherò di recuperare questa notte. Che
grande idea che ho avuto, spezzare il viaggio in due tappe!
Trascino tutto il bagaglio all’ostello (meno male che
l’ho prenotato combinando i due fondamentali criteri di economicità e distanza
dalla fermata del bus – non è vicino per niente!), e se ero già smaronata causa
ritardo e mancanza di sonno, ora non migliorano certo le cose dicendomi che è
troppo presto per il check in e che devo tornare alle 12. OK, mi ripresento
alla reception alle 12. “No, è troppo
presto per il check in. Devi tornare alle 12.30.” Eccheccazzo. Medito se mettermi
il costume e andare a rinfrescarmi nella laguna, ma sono troppo stanca e
demotivata. Non faccio altro che aspettare su una panchina, dove credo di
trovare i primi australiani scorbutici del mio viaggio, ai quali chiedo se
posso sedermi e i quali mi rispondono con una faccia che dice: “Fai un po’ quel
cazzo che ti pare.” Sempre più smaronata. Finalmente è giunta l’ora del check
in e prendo possesso della camera. Bella lì, camera da 8, ma solo 2 persone,
una tedesca e un inglese. Domande di rito, di dove sei, quanto stai qui, dove
vai, sei qui col working holiday, dove sei stato finora… Bravi tutti, ora però
ho bisogno di trovare un internet spot. Mi reco quindi all’agenzia turistica
per backpacker Peterpan Adventure, presso la quale si può usufruire gratuitamente di PC e
connessione a patto di mostrare il braccialettino che attesta che
sei un loro cliente. Ah che bello, una nuova scoperta: il braccialettino non
serve più a una cippa, devi acquistare la card (2 $) che ti permette di usare
internet in tutte le agenzie Peterpan. Non è per i due dollari in sé,
naturalmente: è solo che da un po’ di tempo a questa parte ho la sensazione che
l’Australia non sia quel paese dei balocchi che si favoleggia, nessuno è lì
pronto a offrirti lavoro, soldi e l’esperienza della vita for free. Piuttosto,
sembra che gli australiani si siano resi conto che i backpacker siano un flusso
continuo e abbonante di polli felici di farsi spennare, una fonte inesauribile
di denaro e soprattutto di forza lavoro a buon mercato. OK, la smetto con la
polemica, è chiaro che oggi vedo tutto nelle più diverse sfumature di nero.
Finalmente torno in contatto col mondo, ed ecco la nuova brutta sorpresa della
giornata (al peggio non c’è limite): Luciana mi fa sapere che purtroppo non
riusciremo a incontrarci a Cairns. Momento spiegone: forse ricorderete Luciana,
che avevo incontrato a Brisbane pochi giorni prima che lasciassi la città.
Mentre io mi spostavo a nord e lavoravo in fattorie e resort e visitavo luoghi
da sogno, lei aveva deciso di trasferirsi a Cairns. Ci eravamo ripromesse di
ritrovarci lì, dal momento che io avrei sfiorato la città per l’eclissi del 14
novembre. E ora mi diceva che non ce l’avrebbe fatta, perché aveva trovato
lavoro fuori città e si era già trasferita. Non avete idea della delusione:
lasciare gli amici di Bundaberg e sperare di incontrare un’altra amica che ti
rendesse la separazione un po’ meno difficile, soprattutto in un momento di
malinconia come quello che stavo vivendo… e invece nulla! Con la brutta notizia
in tasca me ne torno in ostello, e con disappunto – di che ti stupisci –
incontro due altre ospiti della stanza, due ragazze austriache. La popolazione
germanofona fa subito amicizia e mi lascia lì per passare la serata a fare
baldoria: sembra brutto, ma meglio così, non ho proprio voglia di essere
socievole oggi. Voglio solo cenare e andare a dormire. Alle 22 quindi spengo la
luce. Alle 23 viene riaccesa senza ritegno, e se possibile con ancor meno
riguardi nei miei confronti una massa di gente entra in stanza ridendo e
scherzando come se fossero in spiaggia. Non posso credere alle mie orecchie,
non posso pensare che se ne sbattano in cotale misura della persona che sta
teoricamente dormendo. Li lascio andare avanti per qualche minuto, sperando che
la loro intenzione sia quella di abbandonare la stanza al più presto. Quando mi
rendo conto che non è così, me ne esco con un “Please, guys!”, che ovviamente non impressiona nessuno. L’unico
effetto che riesco a ottenere è il passaggio a un tono di voce normale.
Maledetti backpacker. Li insulto mentalmente al meglio delle mie possibilità,
metto la testa sotto il cuscino e aspetto che se ne vadano, che gli caschi la
lingua o che li colpisca un fulmine. Delle tre, purtroppo la prima è quella che
si verifica, e finalmente posso tornare a dormire, promettendomi che domani
quando mi sveglierò farò più chiasso possibile. Quanto sono meschina. Ma lo
capite che arrivavo da una giornata veramente di merda?
Il giorno successivo parte con presupposti migliori
(peggiori sarebbe stato impossibile). Mi arriva un messaggio di Luciana: “Ila, non ci crederai, ma riusciremo a
incontrarci a Cairns!” Evvai! Tutta baldanzosa rinuncio ai miei propositi
di vendetta nei confronti dei miei compagni di stanza, vado a fare colazione,
check out e mi dirigo alla fermata dell’autobus che, attenzione, arriva
puntuale. Mentre carico la mia valigia, accanto a me sento parlare italiano, e
bisognosa di conforto umano dopo la giornata di ieri, faccio una cosa che
raramente accade: mi faccio riconoscere. “Italiani?”
“Sì.” “Di dove?” “Lei di Torino, io
di vicino Milano.” “Dai, pure io! Di
dove, esattamente?” Rullo di tamburi… “Busto
Arsizio.” La Terra di Merdor!!! Non me ne vogliano i bustocchi di tutto il
mondo, ma la citazione era inevitabile. Che sorpresa incredibile, trovare un
vicino di casa ad Airlie Beach. Ci mettiamo comodi sul bus, partiamo, e
iniziano 10 ore di chiacchiere. Che poi includono sempre le solite domande:
cosa fai qui, da quanto sei in Australia, che facevi in Italia… Dino vive a
Melbourne e lavora come tecnico audio per concerti ed eventi. È in Australia da
parecchi anni ormai e qui sembra aver trovato l’America. Valentina è un’amica
di vecchia data che è venuta a trovarlo per spezzare l’inverno piemontese.
Avete idea di quanto sia incredibile un incontro del genere? Non è puramente
una questione di oh, proveniamo dalla
stessa zona… La cosa più bella è mettersi a parlare degli stessi luoghi ed
esperienze: non solo Dino mi nomina locali della vivace scena dell’hinterland
nord-occidentale che anche io ho frequentato per anni (Circolone, anyone?), ma
finiamo per scoprire che entrambi abbiamo vissuto a Dublino (sebbene in momenti
diversi), addirittura quasi dirimpettai sulle opposte sponde del Liffey, e
anche lì si bazzicavano gli stessi posti: Whelan’s, Mezz, Porter House… OK,
qualche puntiglioso dirà che a Dublino la scelta è limitata, ma suvvia! non
rovinatemi l’attimo, il momento in cui il karma si è reso conto di esserci
andato giù pesante con me e ha deciso di farsi perdonare.
Il viaggio trascorre in maniera molto più piacevole
rispetto alla tappa precedente, e puntuali alle 19.30 arriviamo a Cairns.
Decidiamo di cenare insieme non appena sbrigati gli obblighi di rito nei
rispettivi ostelli, e ci salutiamo. L’ultima volta che sono stata a Cairns non
ne ero rimasta per nulla entusiasta, ma oggi l’impressione è più positiva.
Senza dubbio merito di una migliore disposizione d’animo: giustapponete luce e
ombra, ed entrambe saranno molto più estreme. Scusate, le fatiche del viaggio e
il poco sonno mi fanno straparlare. Mi fiondo in ostello, e ancora prima di
entrare Luciana mi viene incontro per offrirmi un abbraccio da manuale. Lascio
giù tutto e andiamo a cena in un ristorante convenzionato, e nel frattempo ci
aggiorniamo a vicenda sugli ultimi sviluppi. Se oggi riusciamo a incontrarci è
perché ha avuto un’offerta di lavoro migliore in città, e dal momento che il
primo lavoro che aveva accettato le sembrava una mezza fregatura, ha deciso di
tornare a Cairns. Io fra le altre cose le racconto delle mie nuove conoscenze,
che poco dopo non mancano di raggiungerci, dotati addirittura di veicolo fresco
di autonoleggio. Finiamo per passare una bellissima serata e ci diamo
appuntamento l’indomani per vedere insieme l’eclissi. Come vi dicevo, di solito
nei miei viaggi evito i connazionali, e se arrivo alla fine della giornata
rendendomi conto che non ho detto neanche una parola di italiano, non posso che
essere soddisfatta di me. Ma ammetto che esprimersi sempre in un’altra lingua è
una cosa molto stancante, e a volte ho l’impressione che l’esercizio costante
non renda le cose più semplici, piuttosto non fa che esaurirmi di più. Quanto è
bello tornare a parlare nella propria lingua di tanto in tanto?
Ora, due parole su questa eclissi. Intanto, non ne sapevo
nulla finché non ho visto cartoline commemorative a Port Douglas, quasi un mese
prima dell’evento. Quando non si lavora è molto facile perdere la cognizione del tempo e il conto dei giorni, quindi pensavo che fosse già avvenuta. E
invece no, la data non era ancora passata… beh, a Cairns ci dovevo andare,
quindi perché non approfittarne e assistere al classico evento più unico che
raro? Quand’è stata l’ultima eclissi di sole totale in Italia? Boh, chi se lo
ricorda? Ergo occasione molto ghiotta. Il culmine dell’eclissi sarebbe stato
alle 6.38 del 14 novembre, quindi l’appuntamento era con Luciana alle 5.30
all’ingresso dell’ostello e con Dino e Valentina a un’ora imprecisata sul
lungomare. Lungomare affollato di gente a perdita d’occhio, che si guardi a
nord o a sud. Uno spettacolo incredibile. Tutti seduti sul muretto con i piedi
a penzoloni sull’acqua probabilmente infestata da meduse e coccodrilli;
moltissimi sono dotati di occhiali oscurati per evitare il rischio di cecità,
alcuni già con le magliette ricordo. Un elicottero della televisione passa a
più riprese sulla baia, poco distante da noi un inviato terrestre intervista
qualcuno dei presenti. Noi, al pensiero di essere ripresi per caso alle spalle
dell’intervistato, mandiamo il saluto tipico dell’italiano in televisione: “Ciao, mamma!” Grande eccitazione,
l’atmosfera è elettrica, sta per arrivare il momento… e arriva anche una nuvola
che potrebbe lasciare all’ombra il Molise per giorni. Ogni tanto si apre e ci
illude che forse riusciremo a vedere qualcosa, ma purtroppo questo è il massimo
che gli elementi ci concedono.
Comunque suggestivo, vero? Vabbeh, il sole è tornato, e
sentiamo tutti la necessità di un caffè. Anzi, ci meritiamo un vero espresso
stamattina! Ci accomodiamo in un bar italiano il cui caffè è degno del nome che
porta, e Dino e Valentina ci spiegano i piani per l’immediato futuro: fra poco
più di un’ora partiranno alla volta dell’Eclipse Festival, circa 3 ore a nord
di Cairns. “Per caso passate dall’aeroporto? Mi dareste mica un passaggio?” E
anche questa è organizzata! Torno in ostello, raccolgo le mie cose e poco dopo
i ragazzi mi fanno sapere che mi stanno aspettando all’ingresso. Mi pare di
rivivere di nuovo la scena di poche ore prima quando ho salutato Luciana al mio
arrivo a Cairns, ma ora il nostro è un abbraccio di congedo. Stavolta però
sappiamo esattamente quando e dove ci rivedremo: “Fra un mese esatto a Byron
Bay, vero?”
3.080 km |
Visto che alla fine esce sempre il sole? Cioè no, in questo caso no, che c'era l'eclissi... però il senso si è capito!
RispondiEliminaFusinaaaa, altro che due settimane di pausa!
RispondiEliminaPasserai un Natale al caldo?
baci, ti pensiamo da una Milano gelida!