giovedì 23 agosto 2012

Chi non ha testa, ha gambe


Giorno 3

In questo nuovo giorno, volevo andare a visitare la riserva naturale di Bukit Timah, a nord della città. Così a nord che è fuori dalle mappe del centro. E puntualmente, io che mi perdo persino con una cartina, mi sono smarrita anche questa volta. Ma non è stata colpa mia, sono gli autisti degli autobus che mi davano informazioni errate. Oltretutto, se non mi fossi persa non sarei finita in quel posto fantascientifico che è l’area di Marina Bay.

Manco a farlo apposta, prendendo un autobus a caso (dopo il terzo bus errato, a un certo punto ho detto: “Sai che? Esploriamo la città con i mezzi pubblici, vediamo dove finisco!”) capito nella zona della baia, costellata di edifici che dire futuristici è riduttivo.

Sembrano cose tirate su a caso...

Ero contentissima, il ponte a forma di elica che attraversa la baia punta dritto dritto al mostruoso edificio che avevo visto due giorni prima dall’altro lato del fiume e che mi attira come il nuovo film di Joss Whedon. Più mi avvicino al colosso, più penso: “È mostruosamente grande. Chissà cos’è. Chissà se ci posso salire.” Non è certo l’unico edificio strano, in questa zona. A parte la banale ruota panoramica, lo stadio di calcio in costruzione sull’acqua, il centro commerciale a ciambella, il museo delle arti e delle scienze a forma di guantone da baseball...
Ho perso il filo del discorso. Attraverso il ponte, entro nella ciambella e cerco di salire il più possibile. Nella mia testa, è questa la chiave per arrivare a quel coso mostruosamente grande. Scopro che in cima alla ciambella, all’esterno, c’è una sorta di passeggiata che circonda tutto l’edificio e ti porta sempre più vicino al mostro. È piacevole, quassù, C’è silenzio, non c’è quasi nessuno, ed è gradevole passeggiare sotto il sole di mezzogiorno a 45° all’ombra. Circumnavigo la ciambella, e forse trovo la base del mostro. Di più, scopro che razza di creatura è: un fottutissimo hotel.

Oggi potrebbe finire male...
Mentre cerco una via d’entrata, continuo a ripetermi questo mantra: è un fottutissimo hotel. Santo dio è un fottutissimo hotel. Chi ha mai pensato di poter fare una cosa così grande e metterci dentro delle camere da letto? È una torre di Babele del XXI secolo, ecco che cos’è. Cerco disperatamente l’ingresso, e alla fine lo trovo, non prima di aver detto per l’ennesima volta: è un fottutissimo hotel. E si può salire in cima!!

Sorriso soddisfatto di chi ha appena avuto un'idea malsana
Faccio il biglietto, prendo l’ascensore e up in the sky! 57 piani, 200 metri, ed eccomi sulla prua di quella nave che corona i tre edifici del fottutissimo hotel. Scoprirò solo in seguito che il tratto della struttura che sporge dal tetto è il più lungo del suo genere. Stavo là sopra, sospesa nel vuoto, e non mi rendevo conto. Meglio così. Altra cosa che ho scoperto in seguito, è che in cima c’è anche la piscina più alta del mondo. Complimenti. Io mi accontento di girare da un lato all’altro della nave, e a tribordo scopro un’altra cosa curiosissima: un parco con delle strutture assolutamente eccentriche, sembrano alberi metallici incredibilmente grandi. Decido che, una volta scesa a terra, voglio esplorare quel luogo. Non prima però di aver visitato le mostre abbinate al tetto del fottutissimo hotel: Andy Wharol e il maledettissimo Harry Potter. Torno quindi alla base, e prima di recarmi al museo – il guantone da baseball – bighellono un po’ nella hall dell’hotel. Ormai vi sarete stufati di sentirmi dire che non ho mai visto una cosa del genere, ma è così. Sembra un ibrido fra una nave spaziale e un alveare, posto che non ho mai visitato nessuna di queste due cose.

Ogni "striscia" è un piano. Cose pazze.
Mentre passeggio, penso che voglio vedere come sono i cessi di un posto del genere, quindi mi infilo nella toilette… delusione, sono cessi appena sopra la media. All’estremità della hall c’è un ristorante rialzato con tanto di quartetto d’archi che suona, e la violinista ha la faccia divertita di quella che pensa: “Ma guarda sti allocchi, come si fanno abbindolare da un po’ di pailettes…” Io mi avvicino ai musicisti e mi metto ad ascoltare accanto a una panchina. Una panchina stranissima, d’altra parte come ogni cosa in questo posto: sembra il dorso di un dinosauro, è coperta da scaglie di plastica verde. Mi siedo per saggiarne la comodità, sono molto curiosa, magari è l’ultimo grido in termini di ergonomia. “Mi scusi, ma’am (davvero, qui ti chiamano tutti così), ma non può stare seduta lì… quella è un’opera d’arte.” …gag da film. Me ne vado un po’ mortificata, ma anche fiera di me per le mie figure barbine, e prendo il tunnel che porta al casinò, al teatro e al guantone da baseball. Inutile che vi racconti delle mostre (vi dico solo che sono entrata come Corvonero). Passiamo piuttosto al parco là davanti.

Un’attrazione nuovissima, Gardens by the Bay, che guarda al futuro in maniera impressionante, ma a me non faceva che ricordare Jurassic Park. Un’area che comprende una serra di fiori, un’altra serra che ricostruisce la foresta pluviale - addirittura con una cascata interna - un percorso con le palme di tutto il mondo, la ricostruzione di giardini asiatici vari, prati, stagni (con due inquietanti libellule metalliche che volano a pelo d’acqua) e il pezzo forte, il bosco dei super alberi. Sti catafalchi alti fra i 25 e i 50 metri sono strutture che hanno lo scopo di riciclare acqua e catturare l’energia solare. Non ci ho capito nulla di spiegazioni tecniche scientifiche, ma l’insieme è notevole. E, sullo sfondo, sempre il fottutissimo hotel.

Questa gente ama davvero i parchi. Mi incammino verso l’uscita e nelle zone meno battute dai turisti incontro singaporiani (?) dediti al più dolce far niente, a bivaccare, a cazzeggiare in questa domenica ormai arrivata al termine. È solo quando esco dai giardini e costeggio l’area portuale che incrocio frotte di operai indiani che staccano dal lavoro e tornano a casa. Neanche oggi hanno perso tempo; ci hanno pensato loro, a mandare avanti la baracca. Che a Singapore c’è ancora molto da costruire.
Giorno 4
Pochi cazzi, oggi devo andare a Bukit Timah! Parto anche prima del solito, esco di casa ben mezz’ora prima, che non voglio fare tardi. Ho addirittura controllato i mezzi per arrivare al parco. Stavolta non mi scappa.
E infatti, appena 2 ore dopo (e foto al KFC!), eccomi catapultata nel cuore della jungla di Lost. Oddio, all’inizio non è così selvaggia. C’è solo questo sentiero asfaltato ripidissimo che mi sfianca dopo pochi metri. In più mi sono messa in cammino che saranno le 11.30 passate: vi lascio immaginare il caldo. Bukit Timah è una collina ( = bukit) di Singapore, anzi con i suoi 164 metri scarsi è il punto più alto della città, ed è l’unica zona che ancora conserva la vegetazione originaria dell’isola. Insomma, per vedere com’era Singapore fino a 150 anni fa, bisogna salire a Bukit Timah.

Ci ho trovato una marea di persone in escursione: giovani, meno giovani, molto giovani, da soli, in gruppo, a camminare, a CORRERE… cose pazze, che coraggio! Nella riserva naturale ci sono 4 sentieri principali da percorrere, un sentiero dedicato ai ciclisti e dei sentierini minori. Il percorso più diretto per la vetta della collina è lungo circa 2 km… ma come ho già detto in passato, a me non piacciono le cose semplici, no? Quindi ho scelto di perdermi nei meandri della jungla. Anche perché speravo, andando nelle zone meno frequentate, di incontrare le scimmie che popolano la foresta. Vi dico subito che purtroppo non ne ho viste :( Ma l’esperienza è stata comunque interessante. Immensi alberi esotici avvolti da liane, vegetazione che non lascia scampo al più sottile raggio di sole, e un pensiero che mi perseguita: se cado e mi rompo una gamba qui, non mi troveranno mai più. D’accordo, sto esagerando. Se non altro perché c’è davvero molta gente a spasso per la foresta. Ma il rischio di cadute è verosimile: spesso i sentieri, quelli più selvatici, consistono in gradini scavati nella terra alti anche 40 cm, e se non hai un buon slancio rischi di non farcela a salire, e se ne hai troppo in discesa rischi di cadere rovinosamente lungo queste scale infinite. Il terreno è giallo e viscido per l’umidità, io stessa sono viscida per l’umidità, ma rossa anziché gialla. Per lo sforzo, si capisce. Per la prima volta in vita mia, ho la maglietta tutta chiazzata. Non pensavo di essere in grado di sudare.

A un certo punto, a forza di vedere solo piante, divento paranoica: gli insetti e gli uccelli sono fra le cose più chiassose in natura, o almeno quelli che sono a Butik Timah, e qualsiasi rumore che sento mi dice con certezza che sono inseguita da un mostro di fumo nero. Mi volto continuamente per essere sicura di essere sola. Questo posto non me la conta giusta. Sì, OK, quanto è bella la natura… ma se riesco a uscire di qui sarò più tranquilla. Quindi accolgo con gioia il momento in cui la scala della morte si ricongiunge al sentiero principale, quello che porta alla vetta! Tutta sta fatica per 164 metri, e mi sento come Reinhold Messner in cima all’Everest. O come Godo in cima al Monte Fatto.

Notare la latitudine
La discesa è molto più rapida. Avrei potuto allungare su un altro sentiero secondario… ma anche no. Visto un albero, visti tutti. E oggi ne ho visti parecchi. Devo tornare alla caoticissima città, ora ho i compiti da ultimo giorno da assolvere: shopping! Che a dire il vero si riduce a cartoline e poco più. E ho in mente una destinazione precisa per i miei acquisti: Chinatown e Little India! Che vi ho già raccontato con dovizia di particolari, quindi credo di fare cosa gradita a tutti se non mi dilungo eccessivamente. L'unica cosa degna di nota è che, a zonzo per Little India, sono finita in uno strano vicolo. All'inizio c'è un altare con un signore che prega. Poco dopo un gruppo di uomini fermo davanti a una porta, e penso che deve trattarsi di un altro luogo di preghiera. Ci passo davanti... e vedo una signorina in deshabillé che legge il giornale. Non ci posso credere: sono finita nella strada dei bordelli. Una casupola dopo l'altra con donnine che si affacciano appena aspettando i clienti, ma evidentemente la signorina al civico 1 è la più gettonata, sono tutti a fare la fila da lei. Passo anche davanti a un tristissimo negozio di articoli erotici. Mi sento veramente a disagio, chissà che pensano i locali vedendo una turista armata di macchina fotografica e cartina che vaga nel quartiere. La strada non è lunga, ma sembra non finire mai. Ma come faccio a finire sempre in queste situazioni assurde? Finalmente, sorpasso un water abbandonato per la strada, ed esco dall'imbarazzo immenso. Ecco un'altra cosa da raccontare.

Giorno 5
Intanto, la sera prima sono tornati Mary e Michael dal loro weekend, e stamattina è tornata anche Pantoufle! Che era stata mandata anche lei a fare qualche giorno di vacanza.
La giornata è stata abbastanza tranquilla, devo dire. Sveglia con estrema calma, chiacchiere per recuperare un po’ i giorni trascorsi, molte coccole a Pantoufle e il momento della temuta valigia. Fortunatamente sono il tipo che non disfa i bagagli neanche per la vacanza di due settimane, ma questo non vuol dire che sia stato semplice chiudere e assicurarsi di non aver lasciato indietro nulla. Ma ce l’ho fatta.
Spesa, pranzo e giretto in una enorme libreria (ormai l’avrete capito, qui tutto è enorme) vicino a casa, e infine il momento della partenza è arrivato.
Non ci vedevamo da 12 anni, e ci siamo incrociate solo per un paio di giorni scarsi… ma voi non sapete quanto mi ha fatto piacere rivedere la mia amica! Una di quelle cose che fanno bene al cuore, davvero. Essere accolta come mi ha accolto lei, soprattutto all’inizio di un viaggio del genere, è stato un modo meraviglioso per cominciare quest’avventura. Grazie infinite, Mary! Spero di poter ricambiare, un giorno!
E adesso? Adesso* (in Italia sono le 20.30) sono in volo sull’Oceano Indiano, con la compagnia low-cost Scoot. Una specie di Ryanair, ma un po’ più larga e più gentile. Naturalmente non riesco a dormire. Ho commesso l’errore fatale di prenotare un posto col sedile che non si può tirare indietro. Inoltre nella fila accanto alla mia c’è un gruppo di australiani – stimo – extralarge e soprattutto molto maleducati, col capofamiglia che ha ruttato ripetutamente durante la cena, ora ronfa di gusto, ogni tanto si sveglia per urlare due vaccate e poi si rimette a ronfare.
Ci vediamo in Australia.

Prima di lasciarvi, due cose:
per chiudere la pagina Singapore, qui trovate l'album delle foto che ho pubblicato su Facebook (che dovrebbe essere visibile anche per chi non ha un account).
Poi, giocando con il blog, ho scoperto il modo per farvi diventare accaniti lettori di Where is Swaggirl? e ho appiccicato il bottone in alto a destra: Compagni di viaggio. Cliccate, eh!
*ovviamente il post è pubblicato in differita.

5 commenti:

  1. La panchina, il water, la giungla, Corvonero... troppe cose da commentare, mi limito a dire BELLISSIMO, grazie per averci accompagnato nell'ultima parte della visita di Singapore :)

    Ah, una cosa la dico, va: allora è vero che gli australiani sono maleducati, visto? :-D

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    1. Diamo il beneficio del dubbio: potevano anche essere neozelandesi...

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  2. "Corvonero, il vecchio ed il saggio, se siete svegli e pronti di mente, ragione e sapienza qui trovan linguaggio che si confà a simile gente" aaah che bello!!! cmq sedersi su un opera d'arte è trooooooppo divertente ahahahaha!!dovevi farti una foto ;)

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