A volte mi
rendo conto di essere invecchiata per alcuni comportamenti che fino a pochi
anni fa non avrei mai contemplato. Per esempio, tornare sui miei passi, ritrovare
luoghi già visitati e cambiare i miei piani repentinamente. E invece adesso,
alla fine di queste due settimane di viaggio, mi sposto di nuovo verso sud con
Shane, che mi lascia a Bundaberg prima di tornare al lavoro. Raccogliamo le
idee: cosa fare ora? Trovare un'altra farm dove fare WWOOFing? Ripercorrere la
strada verso nord, fermandomi in altri posti? Ho pur sempre il biglietto
dell’autobus per Cairns. Cercare un lavoro vero e proprio, per quanto casual,
che mi permetta di integrare le finanze?
La risposta arriva dalla vetrina
di un fast-food, resort di Bargara cerca
lavoratori. Bargara è la spiaggia di Bundaberg. Mi presento, e mi dicono
che in cambio di vitto, alloggio e l’uso delle strutture del resort chiedono 4
ore di lavoro giornaliere. La spiaggia con le bellissime rocce vulcaniche è a
3,4 minuti di cammino. Sai cosa? Affare fatto! Mi presento con tutte le mie
valigie, mi danno la chiave del bungalow, la maglietta del team, e domani
comincio! L’appartamento è in condivisione con tre backpacker francesi, Claire,
Florent e Jessica, che sono arrivati solo ieri dopo essere scappati da una farm
dove raccoglievano pomodori. Il resort è immerso nel verde, e si registrano già
numerosi incontri con la fauna locale: rane, goanna e opossum! Un opossum
grande come un micione, curioso e socievole, che passa da un ramo all’altro
dondolandosi con la coda per raggiungere le nostre mani tese.
Il lavoro è
diviso in tre turni, colazione, cena e giardino, e un enigmatico turno extra.
Visto che i tre turni principali sono già occupati dai tre ragazzi francesi,
cosa farò io nei primi giorni di lavoro? “Sai
cambiare le batterie?” … “…Sì…” “Hai problemi con le scale?” “…No…” “Ecco, prendi la scala e cambia le batterie nelle stanze che ti ho
segnato.” “Cambio le batterie a cosa?”
“Oh. L’allarme antincendio.” Ho
capito, a me è rimasto il lavoro di merda. Molto gentilmente Florent, che è un
campione di parkour e non ha problemi ad arrampicarsi, si è offerto di fare
cambio di turno, ma prima di rinunciare voglio raccogliere la sfida. Scala
sulle spalle, due guanti da mano destra e la piantina con le 25 camere da
visitare, quelle libere. Ora non voglio dire che soffro di vertigini, ma devo confessare
che ho mentito a proposito della scala. Non sono perfettamente a mio agio lì in
cima. Gli allarmi poi non collaborano, attivandosi quando meno me lo aspetto
direttamente nel mio orecchio; e la temperatura lì in cima è
ridicolmente alta. Questo è il primo giorno di lavoro. Il classico primo giorno
alla fine del quale ti domandi se riuscirai ad arrivare alla fine.
Il bello del
turno extra è che ogni giorno è una sorpresa. Cosa farò oggi? “Oggi devi potare i rami lungo i sentieri.”
Uhm, ok, non può essere peggio degli allarmi antincendio. Dopo la prima ora
scopro che da un lato no, non è peggio degli allarmi antincendio. Posso stare
al fresco in mezzo alle piante, e con queste cesoie mi sento come Edward Mani
di Forbice ed esprimo il mio estro sulle fronde. Il rovescio della medaglia
implica però l’esposizione a bestie di ogni forma e dimensione. E con bestie
non intendo i lucertoloni stesi a prendere il sole, che mi stanno tutto sommato
simpatici - e appena mi sentono arrivare
si affrettano a togliersi dai piedi. Ragni e insetti di vario tipo, ecco cosa
intendo. Ogni volta che riesco a individuare un ragnetto (e chissà quanti non
ne ho visti), mi domando se si tratta di una specie velenosa, giusto per stare
sul sicuro mi allontano nella direzione opposta e trascorro il successivo
quarto d’ora a passare in rassegna me medesima, per accertarmi che non ci siano
ospiti indesiderati. Finalmente termino il mio compito di giardiniere, torno
alla reception per riporre gli attrezzi e mi preparo a staccare, ma manca
ancora mezz’ora alla fine del turno: “So
io cosa farle fare: c’è da pulire il laghetto.”
Chi ha parlato è una strana
Vecchia che gironzola per la hall con un cagnetto in braccio. Nei giorni
seguenti, incrociando informazioni e intuizioni con gli altri ragazzi,
arriviamo a concludere che si tratti della madre di Loni, la proprietaria. Mi
mettono in mano una pertica e inizio a dragare il laghetto, o meglio la palude.
La Vecchia mi tallona e mi indica i rifiuti: “Guarda, se ti metti in bilico lì, puoi prendere quella cosa rossa
laggiù.” Per fortuna dopo un po’ si stufa e se ne va col suo cagnolino. A
questo punto, recuperato il recuperabile e senza nessuna voglia di cadere nella
fetida acqua, inizio a mettere in pratica una tecnica più efficace per far
sparire i rifiuti: li affondo. E arrivo così alla fine del turno.
Il terzo
giorno è pressoché uguale al secondo, si torna a potare i rami. A questo punto
è chiaro che i proprietari sono inclini al fancazzismo e a corto di buonsenso:
nel corso del turno, Pip detto il Marito (notare che nessuno di loro ha mai
sentito il bisogno di presentarsi alla forza lavoro) mi dà continuamente
indicazioni diverse: pota i rami e strappa le erbacce. Non serve che strappi le
erbacce nel mezzo del giardino, fai solo lungo i bordi dei sentieri. Non serve
che strappi tutte le erbacce lungo i bordi dei sentieri, strappa solo quelle
che si arrampicano sui muri. Lascia stare le erbacce lungo i sentieri, ci penso
io col tosaerba. Beh, meglio per me. Ormai padroneggio le cesoie e mi pare
ovvio che nessuno verrà a controllare la scrupolosità del mio lavoro: il Marito
sparisce col suo tosaerba dall’altra parte del resort, mentre la moglie e
presumibilmente la sorella, che presto battezziamo la Stupida (“Sì, ma sembrano tutti stupidi! A chi ti
riferisci?” “Alla più stupida!”),
passano la mattinata chiacchierando e fumando in veranda. Oggi però a fine
turno abbiamo deciso di sfruttare ‘sti benedetti benefit e, dopo un giro in
spiaggia, occupiamo piscina e sauna. Un buon modo per finire la giornata.
Avrete capito
che il lavoro qui non è dei migliori; per fortuna la compagnia è molto buona. I
miei coinquilini sono personaggi in gamba, socievoli e assortiti in maniera
bizzarra. Claire e Jessica sono partite insieme dalla Francia solo un mese dopo
essersi conosciute e aver scoperto che avevano la stessa destinazione. Florent,
il ragazzo di Claire, le ha raggiunte un mese dopo. A Melbourne si sono
aggregati ad altri sei connazionali e hanno comprato un furgone, con cui sono
miracolosamente arrivati da queste parti. Miracolosamente perché il furgone non
è immatricolato, viaggia con una targa finta e con i freni rotti. Anche Florent
si è messo alla guida; Florent non ha la patente. Florent ha attraversato le Blue
Mountains. Ho visto personalmente quel furgone, ci sono salita e ci ho anche
viaggiato. Naturalmente tutti i dettagli che vi ho riportato li ho scoperti
dopo. Comunque, i ragazzi hanno trovato lavoro in una fattoria a raccogliere
pomodori, ma i miei tre amici sono scappati dopo una settimana date le
condizioni assurde, sono finiti nel resort di Bargara, e mi assicurano che
qualsiasi lavoro è meglio che raccogliere pomodori. Jessica è metà inglese e
parla molto bene, mentre Claire e Florent hanno più difficoltà con la lingua,
quindi mi sono ritrovata a usare un po’ del mio francese. Ma abbiamo tutti
molta voglia di raggiungerci e conoscerci, quindi le cose in qualche modo
funzionano, e la comunicazione faticosa viene ripagata con nuove storie.
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Squadra fortissimi! |
Florent per esempio mi racconta che ha viaggiato per tutta Europa per praticare
il parkour, e Milano gli è piaciuta molto, in particolare la metro di Romolo,
che pare essere un ottimo posto per il parkour. Da un lato fa sorridere che una
città che conosco bene e che in genere non brilla come polo turistico sia
lodata per una stazione metropolitana (dove tra l’altro non sono mai scesa).
Questo però è un aspetto perfettamente in linea con la filosofia della
disciplina così come me l’ha spiegata lui: chi pratica il parkour, il tracer,
cerca di aprire percorsi nuovi e inesplorati nel paesaggio urbano, trova strade
che per gli altri non esistono, in competizione con gli altri tracer ma
soprattutto con se stessi, per diventare ogni giorno migliori di ieri. Al di là
poi di questi aspetti filosofici, il parkour può tornare utile in situazioni
delicate: ad Amsterdam si è trovato nel mezzo di una rissa fra spacciatori che
se lo contendevano come cliente, e si è messo in salvo scappando su per un
muro. “Uhm, questo potrebbe servirmi.
Pensi che io possa imparare qualcosa, o sono troppo vecchia?” “Certo che puoi imparare! Ho insegnato anche
a persone più grandi!” Buono a sapersi. Per ora non mi ci metto, ma è bello
sapere di poterlo fare.
Per il momento
però lasciamo queste storie di vita vissuta e torniamo al prosaico mondo del
lavoro. Domenica mattina non sanno assolutamente cosa farmi fare, mi fanno bighellonare
in giro in attesa di trovare la missione del giorno. Infine la Vecchia si
consulta con la Stupida che le dice: “Potrebbe
fare le pulizie di primavera…” “Uhm,
è un lavoro disgustoso… Ok. Vieni con me.” Prende gli attrezzi di lavoro e
ci dirigiamo verso la 15. “Qui c’erano
persone molto sporche… Ecco, metti lenzuola e asciugamani da lavare.” “Posso avere i guanti?” “Ma no, non ti servono.” … “Per lavare i vetri, inumidisci il panno con
un po’ d’acqua e passi.” “Niente
sapone?” “No, noi non crediamo nel
sapone. Attira i germi.” Non credono
nel sapone. “Poi fai la polvere,
pulisci le imposte, il filtro dell’aria condizionata… Sono solo due stanze, hai
tutto il tempo del mondo.” Arrivo alla fine del turno nera nel corpo e
nell’anima. Mi ci vuole tutta la giornata per smaltire la rogna, ma è uno
sforzo sisifico: il giorno seguente mi presento alla reception, dove la
Stagista (l’unica persona qui dentro che sembra percepire uno stipendio sebbene
appartenga a un diverso ceppo genetico) mi accoglie con un sorriso: “Come va?” “Eh, insomma… il lavoro di ieri è
stato terribile.” “Oh. Allora non
sarai felice di sapere che è lo stesso lavoro di oggi.” *espressione
indescrivibile di Ilaria* “Ma la buona
notizia è che oggi siete in due! La ragazza alta ti aiuterà. Glielo dici tu?”
Vado a chiamare la ragazza alta – Jessica – e cerco di dissimulare il sorriso
che dice a mal comune mezzo gaudio.
Il lavoro in effetti scorre molto più velocemente, terminiamo con una buona ora
di anticipo e, dal momento che ora non riescono a trovare altri lavori di merda
per oggi, ci congedano. Prima di andare a pranzo però controlliamo i nuovi
turni. Io passo in cucina alla sera, mentre Jessica prende il mio turno extra
del mattino.
Il turno
serale consiste fondamentalmente in mansioni di lavapiatti. Molto semplice. La
cosa più complicata è imparare a usare la lavastoviglie, ma dopo un giro di
lavaggio non ho più problemi: la lavastoviglie si rompe. “Dovrai lavare a mano.” Che prospettiva meravigliosa. Lavo, asciugo
e metto via. Noterete che manca il passaggio risciacquo. Sulle padelle va
spruzzato il famoso olio spray, che ha qualità antiossidanti. La cucina è
stretta, Al il cuoco enorme. La seconda cosa più complicata (che, senza
lavastoviglie, balza al primo posto come livello di difficoltà) è sgusciare fra
i ripiani e le mensole per riporre le stoviglie, ma mi scopro sorprendentemente
agile, e anche veloce. Incredibilmente, riesco a star dietro ai ritmi della
cucina. Tutto questo mi sarà utile il giorno seguente quando, a partire dalle
17.30, il telefono inizia a squillare e le prenotazioni fioccano senza sosta.
Un mercoledì atipico: Loni si mette in cucina ad aiutare il cuoco, io non alzo
la testa dall’acqua marcia neanche per un secondo. Come se il lavoro non fosse
abbastanza, la Vecchia mi chiede di mettere da parte qualcosa per il cane. Tutto
quello che credete di sapere sulle cucine dei ristoranti è vero: il cibo che
cade viene prontamente risistemato nei piatti, gli scarafaggi viaggiano paciosi
sul pavimento, gli attrezzi vengono frettolosamente sciacquati nell’immonda
acqua di fogna che uso per lavare le stoviglie. E la gente fa schifo, mandano
indietro interi piatti che finiscono nel sacco dei rifiuti. Non appena gli
ultimi clienti lasciano la sala, la Stupida viene in cucina ad aiutarmi. “Posso avere un caffè?” le domando. Lei
mi porta un cappuccino “Spero di non
averlo fatto troppo forte.” Apprezzo lo sforzo. Pulisco i pavimenti, spegno
le luci e mi trascino a casa.
Il giorno
seguente le cose vanno decisamente meglio. Meno gente in sala e mi faccio amico
il Vecchio, personaggio che non sono riuscita a collocare sull’albero
genealogico del resort ma che ha abbastanza autorità per rimediarmi una birra
dal bar. Inoltre a fine turno mi si avvicina la Vecchia: “Ieri e oggi hai fatto un ottimo lavoro, voglio offrirti da bere.” E
me ne vado a casa meno stanca e con una XXXX Gold e una Vodka Lemon in mano.
Altra cosa che mi solleva lo spirito è il pensiero che domani è l’ultima sera.
E, nel
rispetto più ortodosso della legge di Murphy, venerdì sera si scatena
l’inferno. In maniera del tutto inaspettata: il telefono tace per tutto il
pomeriggio, sono ormai le 19.30 passate e la gente inizia ad andare via. Notare
che per tutti questi giorni la lavastoviglie è stata inutilizzabile. Ma ho
quasi finito, ce la posso fare. Vedo la luce in fondo al tunnel. Il pensiero
finisce immediatamente nel cestino dei rifiuti quando entra in sala un gruppo.
Uno, due, tre… non finiscono più di entrare. Sedici (16) persone. Il cuoco
mastica qualche insulto fra i denti. “Arrivano
dal ristorante dove lavora mia moglie. Lì non li hanno voluti perché non hanno
prenotato. Qui invece non si dice di no a nessuno. Stronzi.” Mi cadono le
braccia nel pantano del lavandino. La luce nel tunnel è stata spenta.
Ricomincio a lavare. La Stupida entra continuamente in cucina con pile di
piatti e con un volto costernato. Ho i crampi ai pollici a forza di maneggiare
piatti e padelle. Quando penso che non ce la farò mai, le luci in sala si
abbassano e la Stupida entra con un altro carico di piatti dicendomi: “Questi lasciali qui, li farà la ragazza
domattina.” Passo a pulire per terra. “Lascia
stare il pavimento del bar. Lo farà la ragazza domani mattina.” La ragazza,
Claire, non sarà contenta, ma sono troppo stanca ora per essere altruista.
Spengo le luci, e spunta di nuovo la Vecchia: “Allora domani vai via?” “Eh già.”
“E dove andrai?” “Prima a Cairns per l’eclissi, poi a Darwin.”
“Brava! Dammi il cinque! Darwin è
bellissima! Lì c’è la vera Australia. E mi raccomando, vai a Kakadu; se non hai
visitato Kakadu, non hai visitato l’Australia. Te lo scrivo.” Prendo il foglietto
che mi allunga, ringrazio, saluto gli scarafaggi, e ho finito di lavorare.
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1.360 km |
Km totali percorsi: 20.450