lunedì 24 dicembre 2012

Bianco Natale?

Se non fosse per le decorazioni in giro per le strade e le canzoncine a tema che si sentono nei negozi, sembrerebbe di essere a Ferragosto. 
E invece è Natale anche qui, a bordo piscina con 12.000 gradi all’ombra! Ed è quindi con immenso piacere che faccio gli auguri a voi che seguite le mie disavventure in questo paese lontano, alla mia famiglia e ai miei amici, ai lettori fedeli e a quelli occasionali, italiani e non. 
È bellissimo sapere che mi leggete, che aspettate con ansia mie notizie, che ogni giorno andate a controllare se ci sono novità e che vi lamentate quando faccio passare troppo tempo fra un post e l’altro (cioè sempre). Mi incoraggiate, mi tirate su di morale, mi fate sentire meno lontana.

Grazie, a tutti voi! E Buon Natale!


 

sabato 22 dicembre 2012

And now for something completely different



Swaggirl non ce la può fare da sola. Nonostante si sforzi di lavorare il meno possibile, non riesce a stare appresso al blog e a tenerlo aggiornato come si deve. È quindi con immenso piacere che ospita sulle sue pagine il primo di una non definita lista di special guest: Davide! Ma dal momento che il blog è mio e me lo gestisco io, e ho velleitarie pretese dittautoriali, non mancherò di intervenire, modificare, se necessario censurare i post del mio ospite. Quindi quando vedrete scritto così... beh, quella è Swaggirl che cerca di imporsi.

"Ciao Ila, ci sei domani per una birra?" "Eh no, domani non posso. Sabato?" "Ok, dove?" "Ci vediamo a Darwin?" "Perfetto!"
Questo è grossomodo il succo, il perché e il percome sto qui a scrivere queste parole: in fondo la cosa importante è la birra in compagnia, l'Australia è un accessorio – un signor accessorio, intendiamoci! – ma poteva essere il Guatemala, il Canada o il Gabon. E conoscendo Ilaria, non escludo che prima o poi si arrivi pure là.

In Gabon ci stanno già aspettando

Dopo l’Australia, qualsiasi altro posto sulla faccia della terra è dietro l’angolo, in confronto.

Così un progetto nato mesi fa (l'organizzazione è stata un filo più complessa di quanto riportato sopra) si è pian piano concretizzato e 36 lunghe ore di viaggio hanno portato anche me – o quel che ne restava – dall'altra parte del mondo.
Inizialmente pensavo di raccontare le avventure australiane con una serie di note su Facebook – sono affezionato a Facebook, anche perché Mark ci tiene davvero tanto che io pubblichi da lui – ma Ilaria mi ha proposto di partecipare come guest star direttamente sul suo blog e l'idea mi è sembrata ottima. Pertanto, da adesso e fino alla conclusione del resoconto della nostra avventura avrò l'onore di farle compagnia su queste pagine.

Scusa, Mark, ma a un invito di Swaggirl non si può dire di no

Insomma, tutto questo per dirvi che presto potrete leggere l'entusiasmante resoconto di un “viaggio nel viaggio” che farà sembrare la missione quinquennale dell'Enterprise una gita fuori porta, la Lunga Marcia di Mao un salto dal tabacchino a prendere le sigarette e i viaggi di Ulisse un sedentario soggiorno al Club Med. O giù di lì.

L'idea originale era quella di raccontarvi giorno per giorno gli avvenimenti in presa diretta, con post e tante immagini; poi abbiamo preferito nasconderci dietro comode scuse, come la mancanza di connessione nel bel mezzo del deserto australiano, per sfuggire al nostro dovere e fare tutto con un po' di differita.

Bello, sì, però com'è che il wifi non prende?

Nessuna scusa, per quanto mi riguarda: sapevo da subito come sarebbe andata a finire.

Dunque, dicevamo... l'itinerario si preannuncia intenso: da Darwin, capitale del Northern Territory, fino ad Adelaide, nel South Australia. Taglieremo l’intero continente da nord a sud (con qualche deviazione a est e a ovest), per un totale previsto di oltre 6.000 km da percorrere nell’arco di 21 giorni, nel mezzo di una stagione delle piogge incombente a nord e di una primavera-quasi-estate nelle regioni desertiche. Perché non ci piace vincere facile.

Devo puntualizzare: i km previsti erano molti meno, circa 4.000. Poi, fra deviazioni e imprevisti di percorso, abbiamo allungato la strada di quell’inezia che sono 2.000 km. E per essere ancora più pignola… ma è corretto parlare di primavera ed estate nel deserto?

Ma cosa succederà esattamente nei prossimi post? Presto detto: i vostri intrepidi esploratori partiranno da Darwin, ridente cittadina che si affaccia sul mare di Timor, per spostarsi al Parco Nazionale di Kakadu, famoso per offrire infinite possibilità di essere punti, morsicati o stritolati dalla più vasta gamma di animali letali che vi possano venire in mente. Ovviamente non potevamo perdercelo!

“Enter the water at your own risk” sembra quasi un imperativo
  
Ma di che ti preoccupi… Io ormai sono una veterana della sopravvivenza in questo paese ostile, stai in una botte di ferro!

Dopo qualche giorno, bestie permettendo, proseguiremo verso sud lungo la mitica Stuart Highway, viaggiando per oltre 1.500 km fino a raggiungere Alice Springs, la città sperduta in mezzo al nulla, dove nel cuore del deserto pare ci sia un interessantissimo parco sul deserto – ah, questi australiani!
A sud-ovest di Alice Springs arriveremo dalle parti dell’iconica roccia di Uluru (o Ayers Rock, se siete amanti del colonialismo come noialtri) e degli altrettanto spettacolari Kata Tjuta (altrimenti detti Monti Olga, vedi sopra), dove potremo finalmente fare la conoscenza con altri ragni, scorpioni, lucertole e altre bestie immonde.

Come sono fatti i Kata Tjuta e Uluru? Sapevatelo!

Appena più a sud di Ayers Rock c’è un’interessantissima area piena del niente più assoluto per altri 1.500 km, che si conclude finalmente con il ritorno al mare, nelle più miti e ospitali terre della regione di Port Augusta e Adelaide. Si torna alla civiltà, più o meno. E dico più o meno perché prima dell’epilogo faremo tappa a Kangaroo Island, che immagino sappiate tutti perché si chiama così.

Perché è un'isola, ovviamente

Tornati da Kangaroo Island sarà quasi l’ora dei saluti, in quanto dopo un paio di giorni ad Adelaide io mi involerò sulla rotta del ritorno, mentre Swaggirl proseguirà l’esplorazione del continente. Ma ne deve passare di acqua sotto i ponti, prima di allora! Ma speriamo non troppa, almeno sotto i ponti che dobbiamo attraversare noi.

Da qualche parte dev'esserci un ponte

Ah, quasi scordavo... prima di partire, sincronizziamo gli orologi: +8,5 ore rispetto all’Italia. Che assurde perversioni riesce a partorire la mente umana, eh?

+8,5 finché si rimane nel Northern Territory. Una volta in South Australia, diventa tutto più surreale…

Per il momento vi saluto, ma non prima di essermi degnamente presentato a tutti i lettori con una mia recente immagine!

Non dovrei aver dimenticato niente. Credo.
 
Hai preso lo spazzolino da denti? La macchina fotografica? Hai letto e accettato il disclaimer? Bene, benvenuto nel magico mondo di Oz!


domenica 16 dicembre 2012

Dove l'ombra nera scende



Altro che due settimane di pausa, eh? Mi sono presa qualche giorno in più. Come dicevo, sono invecchiata e il riposo è necessario. E a volte non è una cosa semplice da ottenere.
Per esempio, durante un viaggio notturno in bus. Partenza idealmente alle 23 dalla stazione di Bundaberg; il bus non si presenta prima delle 23.40. Fino ad allora, desolazione semi-totale, e fa pure un gran freddo. Insieme a me ci sono due ragazzi francesi ad aspettare. Lo scenario è un po’ creepy, ma sul piazzale della stazione si affaccia l’ingresso di un ostello, dal quale esce musica a volume piuttosto alto, quindi sono tranquilla. Ho passato le ultime ore a casa dello zio Ray, che vive in città ed è stato tanto gentile da ospitarmi in attesa della partenza: l’alternativa sarebbe stata ciondolare in giro per la città con tutto il mio bagaglio, e capirete che ci sono cose che pure una randagia come me non può tollerare in misura così abbondante.

Finalmente arriva l’autobus, dicevo. Tutti si accalcano intorno all’autista, che controlla i biglietti e carica le valigie a seconda della destinazione. “Per Airlie Beach, da questa parte.” C’è poi la corsa ai posti liberi: è notte, e i sedili sono occupati da persone accampate alla meno peggio per trascorrere la notte. Ci sono anche un paio di bambini piccolissimi, speriamo che facciano i bravi. Finalmente trovo due posti liberi e mi svacco con armi e bagagli. Un paio di piedi aromatizzati Camambert 1978 sconfinano dalla fila dietro sul mio sedile. Santo cielo, non ho più la forza per fare queste cose. E naturalmente di dormire non se ne parla. L’unica cosa che mi sento di fare, fra una sosta e l’altra, è ascoltare la musica. Cerco di scrutare il paesaggio notturno e mi rendo conto che sto attraversando esattamente gli stessi luoghi che ho visitato solo qualche settimana prima. Persino le fermate sono le stesse: Rockhampton, Sarina, Mackay, Bowen. È bello questo senso di familiarità geografica, così posso rendermi conto di quanto manca alla destinazione; ed è una bella soddisfazione scoprire di conoscere tanto bene una parte di mondo di cui ignoravo l’esistenza fino a poco tempo fa. Allo stesso tempo affiorano la nostalgia e la stanchezza: ho passato in questi luoghi quasi due mesi, e quando iniziavo a sentirmi a casa, sono salita di nuovo su un bus. Forse è un comportamento un po’ incoerente, decidere di partire sempre, anche se questo provoca sofferenza. Ma c’è ancora tanta Australia da vedere.

Con più di due ore di ritardo, alle 11 del nuovo giorno, entriamo ad Airlie Beach, che forse alcuni di voi ricorderanno come il punto di partenza per quel luogo meraviglioso che è l’arcipelago delle Whitsundays. Manco a dirlo, ancora una volta mi sembra che solo un mese fa il luogo fosse molto più bello. Sarà che nel frattempo ci siamo avvicinati all’alta stagione, e le strade sono affollate di turisti. Molto più probabilmente, la notte insonne mi ha reso un po’ irascibile. Cercherò di recuperare questa notte. Che grande idea che ho avuto, spezzare il viaggio in due tappe!

Trascino tutto il bagaglio all’ostello (meno male che l’ho prenotato combinando i due fondamentali criteri di economicità e distanza dalla fermata del bus – non è vicino per niente!), e se ero già smaronata causa ritardo e mancanza di sonno, ora non migliorano certo le cose dicendomi che è troppo presto per il check in e che devo tornare alle 12. OK, mi ripresento alla reception alle 12. “No, è troppo presto per il check in. Devi tornare alle 12.30.” Eccheccazzo. Medito se mettermi il costume e andare a rinfrescarmi nella laguna, ma sono troppo stanca e demotivata. Non faccio altro che aspettare su una panchina, dove credo di trovare i primi australiani scorbutici del mio viaggio, ai quali chiedo se posso sedermi e i quali mi rispondono con una faccia che dice: “Fai un po’ quel cazzo che ti pare.” Sempre più smaronata. Finalmente è giunta l’ora del check in e prendo possesso della camera. Bella lì, camera da 8, ma solo 2 persone, una tedesca e un inglese. Domande di rito, di dove sei, quanto stai qui, dove vai, sei qui col working holiday, dove sei stato finora… Bravi tutti, ora però ho bisogno di trovare un internet spot. Mi reco quindi all’agenzia turistica per backpacker Peterpan Adventure, presso la quale si può usufruire gratuitamente di PC e connessione a patto di mostrare il braccialettino che attesta che sei un loro cliente. Ah che bello, una nuova scoperta: il braccialettino non serve più a una cippa, devi acquistare la card (2 $) che ti permette di usare internet in tutte le agenzie Peterpan. Non è per i due dollari in sé, naturalmente: è solo che da un po’ di tempo a questa parte ho la sensazione che l’Australia non sia quel paese dei balocchi che si favoleggia, nessuno è lì pronto a offrirti lavoro, soldi e l’esperienza della vita for free. Piuttosto, sembra che gli australiani si siano resi conto che i backpacker siano un flusso continuo e abbonante di polli felici di farsi spennare, una fonte inesauribile di denaro e soprattutto di forza lavoro a buon mercato. OK, la smetto con la polemica, è chiaro che oggi vedo tutto nelle più diverse sfumature di nero.

Finalmente torno in contatto col mondo, ed ecco la nuova brutta sorpresa della giornata (al peggio non c’è limite): Luciana mi fa sapere che purtroppo non riusciremo a incontrarci a Cairns. Momento spiegone: forse ricorderete Luciana, che avevo incontrato a Brisbane pochi giorni prima che lasciassi la città. Mentre io mi spostavo a nord e lavoravo in fattorie e resort e visitavo luoghi da sogno, lei aveva deciso di trasferirsi a Cairns. Ci eravamo ripromesse di ritrovarci lì, dal momento che io avrei sfiorato la città per l’eclissi del 14 novembre. E ora mi diceva che non ce l’avrebbe fatta, perché aveva trovato lavoro fuori città e si era già trasferita. Non avete idea della delusione: lasciare gli amici di Bundaberg e sperare di incontrare un’altra amica che ti rendesse la separazione un po’ meno difficile, soprattutto in un momento di malinconia come quello che stavo vivendo… e invece nulla! Con la brutta notizia in tasca me ne torno in ostello, e con disappunto – di che ti stupisci – incontro due altre ospiti della stanza, due ragazze austriache. La popolazione germanofona fa subito amicizia e mi lascia lì per passare la serata a fare baldoria: sembra brutto, ma meglio così, non ho proprio voglia di essere socievole oggi. Voglio solo cenare e andare a dormire. Alle 22 quindi spengo la luce. Alle 23 viene riaccesa senza ritegno, e se possibile con ancor meno riguardi nei miei confronti una massa di gente entra in stanza ridendo e scherzando come se fossero in spiaggia. Non posso credere alle mie orecchie, non posso pensare che se ne sbattano in cotale misura della persona che sta teoricamente dormendo. Li lascio andare avanti per qualche minuto, sperando che la loro intenzione sia quella di abbandonare la stanza al più presto. Quando mi rendo conto che non è così, me ne esco con un “Please, guys!”, che ovviamente non impressiona nessuno. L’unico effetto che riesco a ottenere è il passaggio a un tono di voce normale. Maledetti backpacker. Li insulto mentalmente al meglio delle mie possibilità, metto la testa sotto il cuscino e aspetto che se ne vadano, che gli caschi la lingua o che li colpisca un fulmine. Delle tre, purtroppo la prima è quella che si verifica, e finalmente posso tornare a dormire, promettendomi che domani quando mi sveglierò farò più chiasso possibile. Quanto sono meschina. Ma lo capite che arrivavo da una giornata veramente di merda?

Il giorno successivo parte con presupposti migliori (peggiori sarebbe stato impossibile). Mi arriva un messaggio di Luciana: “Ila, non ci crederai, ma riusciremo a incontrarci a Cairns!” Evvai! Tutta baldanzosa rinuncio ai miei propositi di vendetta nei confronti dei miei compagni di stanza, vado a fare colazione, check out e mi dirigo alla fermata dell’autobus che, attenzione, arriva puntuale. Mentre carico la mia valigia, accanto a me sento parlare italiano, e bisognosa di conforto umano dopo la giornata di ieri, faccio una cosa che raramente accade: mi faccio riconoscere. “Italiani?” “Sì.” “Di dove?” “Lei di Torino, io di vicino Milano.” “Dai, pure io! Di dove, esattamente?” Rullo di tamburi… “Busto Arsizio.” La Terra di Merdor!!! Non me ne vogliano i bustocchi di tutto il mondo, ma la citazione era inevitabile. Che sorpresa incredibile, trovare un vicino di casa ad Airlie Beach. Ci mettiamo comodi sul bus, partiamo, e iniziano 10 ore di chiacchiere. Che poi includono sempre le solite domande: cosa fai qui, da quanto sei in Australia, che facevi in Italia… Dino vive a Melbourne e lavora come tecnico audio per concerti ed eventi. È in Australia da parecchi anni ormai e qui sembra aver trovato l’America. Valentina è un’amica di vecchia data che è venuta a trovarlo per spezzare l’inverno piemontese. Avete idea di quanto sia incredibile un incontro del genere? Non è puramente una questione di oh, proveniamo dalla stessa zona… La cosa più bella è mettersi a parlare degli stessi luoghi ed esperienze: non solo Dino mi nomina locali della vivace scena dell’hinterland nord-occidentale che anche io ho frequentato per anni (Circolone, anyone?), ma finiamo per scoprire che entrambi abbiamo vissuto a Dublino (sebbene in momenti diversi), addirittura quasi dirimpettai sulle opposte sponde del Liffey, e anche lì si bazzicavano gli stessi posti: Whelan’s, Mezz, Porter House… OK, qualche puntiglioso dirà che a Dublino la scelta è limitata, ma suvvia! non rovinatemi l’attimo, il momento in cui il karma si è reso conto di esserci andato giù pesante con me e ha deciso di farsi perdonare.

Il viaggio trascorre in maniera molto più piacevole rispetto alla tappa precedente, e puntuali alle 19.30 arriviamo a Cairns. Decidiamo di cenare insieme non appena sbrigati gli obblighi di rito nei rispettivi ostelli, e ci salutiamo. L’ultima volta che sono stata a Cairns non ne ero rimasta per nulla entusiasta, ma oggi l’impressione è più positiva. Senza dubbio merito di una migliore disposizione d’animo: giustapponete luce e ombra, ed entrambe saranno molto più estreme. Scusate, le fatiche del viaggio e il poco sonno mi fanno straparlare. Mi fiondo in ostello, e ancora prima di entrare Luciana mi viene incontro per offrirmi un abbraccio da manuale. Lascio giù tutto e andiamo a cena in un ristorante convenzionato, e nel frattempo ci aggiorniamo a vicenda sugli ultimi sviluppi. Se oggi riusciamo a incontrarci è perché ha avuto un’offerta di lavoro migliore in città, e dal momento che il primo lavoro che aveva accettato le sembrava una mezza fregatura, ha deciso di tornare a Cairns. Io fra le altre cose le racconto delle mie nuove conoscenze, che poco dopo non mancano di raggiungerci, dotati addirittura di veicolo fresco di autonoleggio. Finiamo per passare una bellissima serata e ci diamo appuntamento l’indomani per vedere insieme l’eclissi. Come vi dicevo, di solito nei miei viaggi evito i connazionali, e se arrivo alla fine della giornata rendendomi conto che non ho detto neanche una parola di italiano, non posso che essere soddisfatta di me. Ma ammetto che esprimersi sempre in un’altra lingua è una cosa molto stancante, e a volte ho l’impressione che l’esercizio costante non renda le cose più semplici, piuttosto non fa che esaurirmi di più. Quanto è bello tornare a parlare nella propria lingua di tanto in tanto?

Ora, due parole su questa eclissi. Intanto, non ne sapevo nulla finché non ho visto cartoline commemorative a Port Douglas, quasi un mese prima dell’evento. Quando non si lavora è molto facile perdere la cognizione del tempo e il conto dei giorni, quindi pensavo che fosse già avvenuta. E invece no, la data non era ancora passata… beh, a Cairns ci dovevo andare, quindi perché non approfittarne e assistere al classico evento più unico che raro? Quand’è stata l’ultima eclissi di sole totale in Italia? Boh, chi se lo ricorda? Ergo occasione molto ghiotta. Il culmine dell’eclissi sarebbe stato alle 6.38 del 14 novembre, quindi l’appuntamento era con Luciana alle 5.30 all’ingresso dell’ostello e con Dino e Valentina a un’ora imprecisata sul lungomare. Lungomare affollato di gente a perdita d’occhio, che si guardi a nord o a sud. Uno spettacolo incredibile. Tutti seduti sul muretto con i piedi a penzoloni sull’acqua probabilmente infestata da meduse e coccodrilli; moltissimi sono dotati di occhiali oscurati per evitare il rischio di cecità, alcuni già con le magliette ricordo. Un elicottero della televisione passa a più riprese sulla baia, poco distante da noi un inviato terrestre intervista qualcuno dei presenti. Noi, al pensiero di essere ripresi per caso alle spalle dell’intervistato, mandiamo il saluto tipico dell’italiano in televisione: “Ciao, mamma!” Grande eccitazione, l’atmosfera è elettrica, sta per arrivare il momento… e arriva anche una nuvola che potrebbe lasciare all’ombra il Molise per giorni. Ogni tanto si apre e ci illude che forse riusciremo a vedere qualcosa, ma purtroppo questo è il massimo che gli elementi ci concedono.


Comunque suggestivo, vero? Vabbeh, il sole è tornato, e sentiamo tutti la necessità di un caffè. Anzi, ci meritiamo un vero espresso stamattina! Ci accomodiamo in un bar italiano il cui caffè è degno del nome che porta, e Dino e Valentina ci spiegano i piani per l’immediato futuro: fra poco più di un’ora partiranno alla volta dell’Eclipse Festival, circa 3 ore a nord di Cairns. “Per caso passate dall’aeroporto? Mi dareste mica un passaggio?” E anche questa è organizzata! Torno in ostello, raccolgo le mie cose e poco dopo i ragazzi mi fanno sapere che mi stanno aspettando all’ingresso. Mi pare di rivivere di nuovo la scena di poche ore prima quando ho salutato Luciana al mio arrivo a Cairns, ma ora il nostro è un abbraccio di congedo. Stavolta però sappiamo esattamente quando e dove ci rivedremo: “Fra un mese esatto a Byron Bay, vero?

Ed eccomi ancora una volta in aeroporto. Speravo proprio di non dover prendere aerei durante quest’anno, ma devo essere nella capitale del Northern Territory entro il 17, e Cairns-Darwin è una distanza troppo estesa da coprire in 3 giorni. Abbraccio i ragazzi, che hanno reso così piacevole questo segmento del mio viaggio, prometto a Dino che mi farò sentire quando sarò a Melbourne, e con Valentina non escludiamo la possibilità di incontrarci di nuovo in Italia. Dopotutto questo sembra essere davvero un piccolo mondo.

3.080 km



 Km totali percorsi: 23.530

martedì 27 novembre 2012

Due settimane di pausa

A volte mi rendo conto di essere invecchiata per alcuni comportamenti che fino a pochi anni fa non avrei mai contemplato. Per esempio, tornare sui miei passi, ritrovare luoghi già visitati e cambiare i miei piani repentinamente. E invece adesso, alla fine di queste due settimane di viaggio, mi sposto di nuovo verso sud con Shane, che mi lascia a Bundaberg prima di tornare al lavoro. Raccogliamo le idee: cosa fare ora? Trovare un'altra farm dove fare WWOOFing? Ripercorrere la strada verso nord, fermandomi in altri posti? Ho pur sempre il biglietto dell’autobus per Cairns. Cercare un lavoro vero e proprio, per quanto casual, che mi permetta di integrare le finanze? 


La risposta arriva dalla vetrina di un fast-food, resort di Bargara cerca lavoratori. Bargara è la spiaggia di Bundaberg. Mi presento, e mi dicono che in cambio di vitto, alloggio e l’uso delle strutture del resort chiedono 4 ore di lavoro giornaliere. La spiaggia con le bellissime rocce vulcaniche è a 3,4 minuti di cammino. Sai cosa? Affare fatto! Mi presento con tutte le mie valigie, mi danno la chiave del bungalow, la maglietta del team, e domani comincio! L’appartamento è in condivisione con tre backpacker francesi, Claire, Florent e Jessica, che sono arrivati solo ieri dopo essere scappati da una farm dove raccoglievano pomodori. Il resort è immerso nel verde, e si registrano già numerosi incontri con la fauna locale: rane, goanna e opossum! Un opossum grande come un micione, curioso e socievole, che passa da un ramo all’altro dondolandosi con la coda per raggiungere le nostre mani tese.


Il lavoro è diviso in tre turni, colazione, cena e giardino, e un enigmatico turno extra. Visto che i tre turni principali sono già occupati dai tre ragazzi francesi, cosa farò io nei primi giorni di lavoro? “Sai cambiare le batterie?” … “…Sì…” “Hai problemi con le scale?” “…No…” “Ecco, prendi la scala e cambia le batterie nelle stanze che ti ho segnato.” “Cambio le batterie a cosa?” “Oh. L’allarme antincendio.” Ho capito, a me è rimasto il lavoro di merda. Molto gentilmente Florent, che è un campione di parkour e non ha problemi ad arrampicarsi, si è offerto di fare cambio di turno, ma prima di rinunciare voglio raccogliere la sfida. Scala sulle spalle, due guanti da mano destra e la piantina con le 25 camere da visitare, quelle libere. Ora non voglio dire che soffro di vertigini, ma devo confessare che ho mentito a proposito della scala. Non sono perfettamente a mio agio lì in cima. Gli allarmi poi non collaborano, attivandosi quando meno me lo aspetto direttamente nel mio orecchio; e la temperatura lì in cima è ridicolmente alta. Questo è il primo giorno di lavoro. Il classico primo giorno alla fine del quale ti domandi se riuscirai ad arrivare alla fine.

Il bello del turno extra è che ogni giorno è una sorpresa. Cosa farò oggi? “Oggi devi potare i rami lungo i sentieri.” Uhm, ok, non può essere peggio degli allarmi antincendio. Dopo la prima ora scopro che da un lato no, non è peggio degli allarmi antincendio. Posso stare al fresco in mezzo alle piante, e con queste cesoie mi sento come Edward Mani di Forbice ed esprimo il mio estro sulle fronde. Il rovescio della medaglia implica però l’esposizione a bestie di ogni forma e dimensione. E con bestie non intendo i lucertoloni stesi a prendere il sole, che mi stanno tutto sommato simpatici  - e appena mi sentono arrivare si affrettano a togliersi dai piedi. Ragni e insetti di vario tipo, ecco cosa intendo. Ogni volta che riesco a individuare un ragnetto (e chissà quanti non ne ho visti), mi domando se si tratta di una specie velenosa, giusto per stare sul sicuro mi allontano nella direzione opposta e trascorro il successivo quarto d’ora a passare in rassegna me medesima, per accertarmi che non ci siano ospiti indesiderati. Finalmente termino il mio compito di giardiniere, torno alla reception per riporre gli attrezzi e mi preparo a staccare, ma manca ancora mezz’ora alla fine del turno: “So io cosa farle fare: c’è da pulire il laghetto.


Chi ha parlato è una strana Vecchia che gironzola per la hall con un cagnetto in braccio. Nei giorni seguenti, incrociando informazioni e intuizioni con gli altri ragazzi, arriviamo a concludere che si tratti della madre di Loni, la proprietaria. Mi mettono in mano una pertica e inizio a dragare il laghetto, o meglio la palude. La Vecchia mi tallona e mi indica i rifiuti: “Guarda, se ti metti in bilico lì, puoi prendere quella cosa rossa laggiù.” Per fortuna dopo un po’ si stufa e se ne va col suo cagnolino. A questo punto, recuperato il recuperabile e senza nessuna voglia di cadere nella fetida acqua, inizio a mettere in pratica una tecnica più efficace per far sparire i rifiuti: li affondo. E arrivo così alla fine del turno.

Il terzo giorno è pressoché uguale al secondo, si torna a potare i rami. A questo punto è chiaro che i proprietari sono inclini al fancazzismo e a corto di buonsenso: nel corso del turno, Pip detto il Marito (notare che nessuno di loro ha mai sentito il bisogno di presentarsi alla forza lavoro) mi dà continuamente indicazioni diverse: pota i rami e strappa le erbacce. Non serve che strappi le erbacce nel mezzo del giardino, fai solo lungo i bordi dei sentieri. Non serve che strappi tutte le erbacce lungo i bordi dei sentieri, strappa solo quelle che si arrampicano sui muri. Lascia stare le erbacce lungo i sentieri, ci penso io col tosaerba. Beh, meglio per me. Ormai padroneggio le cesoie e mi pare ovvio che nessuno verrà a controllare la scrupolosità del mio lavoro: il Marito sparisce col suo tosaerba dall’altra parte del resort, mentre la moglie e presumibilmente la sorella, che presto battezziamo la Stupida (“Sì, ma sembrano tutti stupidi! A chi ti riferisci?” “Alla più stupida!”), passano la mattinata chiacchierando e fumando in veranda. Oggi però a fine turno abbiamo deciso di sfruttare ‘sti benedetti benefit e, dopo un giro in spiaggia, occupiamo piscina e sauna. Un buon modo per finire la giornata.

Avrete capito che il lavoro qui non è dei migliori; per fortuna la compagnia è molto buona. I miei coinquilini sono personaggi in gamba, socievoli e assortiti in maniera bizzarra. Claire e Jessica sono partite insieme dalla Francia solo un mese dopo essersi conosciute e aver scoperto che avevano la stessa destinazione. Florent, il ragazzo di Claire, le ha raggiunte un mese dopo. A Melbourne si sono aggregati ad altri sei connazionali e hanno comprato un furgone, con cui sono miracolosamente arrivati da queste parti. Miracolosamente perché il furgone non è immatricolato, viaggia con una targa finta e con i freni rotti. Anche Florent si è messo alla guida; Florent non ha la patente. Florent ha attraversato le Blue Mountains. Ho visto personalmente quel furgone, ci sono salita e ci ho anche viaggiato. Naturalmente tutti i dettagli che vi ho riportato li ho scoperti dopo. Comunque, i ragazzi hanno trovato lavoro in una fattoria a raccogliere pomodori, ma i miei tre amici sono scappati dopo una settimana date le condizioni assurde, sono finiti nel resort di Bargara, e mi assicurano che qualsiasi lavoro è meglio che raccogliere pomodori. Jessica è metà inglese e parla molto bene, mentre Claire e Florent hanno più difficoltà con la lingua, quindi mi sono ritrovata a usare un po’ del mio francese. Ma abbiamo tutti molta voglia di raggiungerci e conoscerci, quindi le cose in qualche modo funzionano, e la comunicazione faticosa viene ripagata con nuove storie.

Squadra fortissimi!

Florent per esempio mi racconta che ha viaggiato per tutta Europa per praticare il parkour, e Milano gli è piaciuta molto, in particolare la metro di Romolo, che pare essere un ottimo posto per il parkour. Da un lato fa sorridere che una città che conosco bene e che in genere non brilla come polo turistico sia lodata per una stazione metropolitana (dove tra l’altro non sono mai scesa). Questo però è un aspetto perfettamente in linea con la filosofia della disciplina così come me l’ha spiegata lui: chi pratica il parkour, il tracer, cerca di aprire percorsi nuovi e inesplorati nel paesaggio urbano, trova strade che per gli altri non esistono, in competizione con gli altri tracer ma soprattutto con se stessi, per diventare ogni giorno migliori di ieri. Al di là poi di questi aspetti filosofici, il parkour può tornare utile in situazioni delicate: ad Amsterdam si è trovato nel mezzo di una rissa fra spacciatori che se lo contendevano come cliente, e si è messo in salvo scappando su per un muro. “Uhm, questo potrebbe servirmi. Pensi che io possa imparare qualcosa, o sono troppo vecchia?” “Certo che puoi imparare! Ho insegnato anche a persone più grandi!” Buono a sapersi. Per ora non mi ci metto, ma è bello sapere di poterlo fare.

Per il momento però lasciamo queste storie di vita vissuta e torniamo al prosaico mondo del lavoro. Domenica mattina non sanno assolutamente cosa farmi fare, mi fanno bighellonare in giro in attesa di trovare la missione del giorno. Infine la Vecchia si consulta con la Stupida che le dice: “Potrebbe fare le pulizie di primavera…” “Uhm, è un lavoro disgustoso… Ok. Vieni con me.” Prende gli attrezzi di lavoro e ci dirigiamo verso la 15. “Qui c’erano persone molto sporche… Ecco, metti lenzuola e asciugamani da lavare.” “Posso avere i guanti?” “Ma no, non ti servono.” … “Per lavare i vetri, inumidisci il panno con un po’ d’acqua e passi.” “Niente sapone?” “No, noi non crediamo nel sapone. Attira i germi.Non credono nel sapone.Poi fai la polvere, pulisci le imposte, il filtro dell’aria condizionata… Sono solo due stanze, hai tutto il tempo del mondo.” Arrivo alla fine del turno nera nel corpo e nell’anima. Mi ci vuole tutta la giornata per smaltire la rogna, ma è uno sforzo sisifico: il giorno seguente mi presento alla reception, dove la Stagista (l’unica persona qui dentro che sembra percepire uno stipendio sebbene appartenga a un diverso ceppo genetico) mi accoglie con un sorriso: “Come va?” “Eh, insomma… il lavoro di ieri  è stato terribile.” “Oh. Allora non sarai felice di sapere che è lo stesso lavoro di oggi.” *espressione indescrivibile di Ilaria* “Ma la buona notizia è che oggi siete in due! La ragazza alta ti aiuterà. Glielo dici tu?” Vado a chiamare la ragazza alta – Jessica – e cerco di dissimulare il sorriso che dice a mal comune mezzo gaudio. Il lavoro in effetti scorre molto più velocemente, terminiamo con una buona ora di anticipo e, dal momento che ora non riescono a trovare altri lavori di merda per oggi, ci congedano. Prima di andare a pranzo però controlliamo i nuovi turni. Io passo in cucina alla sera, mentre Jessica prende il mio turno extra del mattino.

Il turno serale consiste fondamentalmente in mansioni di lavapiatti. Molto semplice. La cosa più complicata è imparare a usare la lavastoviglie, ma dopo un giro di lavaggio non ho più problemi: la lavastoviglie si rompe. “Dovrai lavare a mano.” Che prospettiva meravigliosa. Lavo, asciugo e metto via. Noterete che manca il passaggio risciacquo. Sulle padelle va spruzzato il famoso olio spray, che ha qualità antiossidanti. La cucina è stretta, Al il cuoco enorme. La seconda cosa più complicata (che, senza lavastoviglie, balza al primo posto come livello di difficoltà) è sgusciare fra i ripiani e le mensole per riporre le stoviglie, ma mi scopro sorprendentemente agile, e anche veloce. Incredibilmente, riesco a star dietro ai ritmi della cucina. Tutto questo mi sarà utile il giorno seguente quando, a partire dalle 17.30, il telefono inizia a squillare e le prenotazioni fioccano senza sosta. Un mercoledì atipico: Loni si mette in cucina ad aiutare il cuoco, io non alzo la testa dall’acqua marcia neanche per un secondo. Come se il lavoro non fosse abbastanza, la Vecchia mi chiede di mettere da parte qualcosa per il cane. Tutto quello che credete di sapere sulle cucine dei ristoranti è vero: il cibo che cade viene prontamente risistemato nei piatti, gli scarafaggi viaggiano paciosi sul pavimento, gli attrezzi vengono frettolosamente sciacquati nell’immonda acqua di fogna che uso per lavare le stoviglie. E la gente fa schifo, mandano indietro interi piatti che finiscono nel sacco dei rifiuti. Non appena gli ultimi clienti lasciano la sala, la Stupida viene in cucina ad aiutarmi. “Posso avere un caffè?” le domando. Lei mi porta un cappuccino “Spero di non averlo fatto troppo forte.” Apprezzo lo sforzo. Pulisco i pavimenti, spegno le luci e mi trascino a casa.

Il giorno seguente le cose vanno decisamente meglio. Meno gente in sala e mi faccio amico il Vecchio, personaggio che non sono riuscita a collocare sull’albero genealogico del resort ma che ha abbastanza autorità per rimediarmi una birra dal bar. Inoltre a fine turno mi si avvicina la Vecchia: “Ieri e oggi hai fatto un ottimo lavoro, voglio offrirti da bere.” E me ne vado a casa meno stanca e con una XXXX Gold e una Vodka Lemon in mano. Altra cosa che mi solleva lo spirito è il pensiero che domani è l’ultima sera.

E, nel rispetto più ortodosso della legge di Murphy, venerdì sera si scatena l’inferno. In maniera del tutto inaspettata: il telefono tace per tutto il pomeriggio, sono ormai le 19.30 passate e la gente inizia ad andare via. Notare che per tutti questi giorni la lavastoviglie è stata inutilizzabile. Ma ho quasi finito, ce la posso fare. Vedo la luce in fondo al tunnel. Il pensiero finisce immediatamente nel cestino dei rifiuti quando entra in sala un gruppo. Uno, due, tre… non finiscono più di entrare. Sedici (16) persone. Il cuoco mastica qualche insulto fra i denti. “Arrivano dal ristorante dove lavora mia moglie. Lì non li hanno voluti perché non hanno prenotato. Qui invece non si dice di no a nessuno. Stronzi.” Mi cadono le braccia nel pantano del lavandino. La luce nel tunnel è stata spenta. Ricomincio a lavare. La Stupida entra continuamente in cucina con pile di piatti e con un volto costernato. Ho i crampi ai pollici a forza di maneggiare piatti e padelle. Quando penso che non ce la farò mai, le luci in sala si abbassano e la Stupida entra con un altro carico di piatti dicendomi: “Questi lasciali qui, li farà la ragazza domattina.” Passo a pulire per terra. “Lascia stare il pavimento del bar. Lo farà la ragazza domani mattina.” La ragazza, Claire, non sarà contenta, ma sono troppo stanca ora per essere altruista. Spengo le luci, e spunta di nuovo la Vecchia: “Allora domani vai via?” “Eh già.” “E dove andrai?” “Prima a Cairns per l’eclissi, poi a Darwin.” “Brava! Dammi il cinque! Darwin è bellissima! Lì c’è la vera Australia. E mi raccomando, vai a Kakadu; se non hai visitato Kakadu, non hai visitato l’Australia. Te lo scrivo.” Prendo il foglietto che mi allunga, ringrazio, saluto gli scarafaggi, e ho finito di lavorare.

1.360 km

Km totali percorsi: 20.450