Buon 2017!
E mi pare giusto celebrare il 24° giorno dell'anno con un nuovo post.
È da un po' che volevo parlare di una cosa banale ma fondamentale: la casa.
A Londra è molto molto molto difficile potersi permettere di vivere da soli, la soluzione che più va per la maggiore è la condivisione. Case spesso vecchie, umide, buie, sovraffollate, dove il padrone di casa non si fa scrupoli a trasformare il soggiorno in un'altra camera. tirare su muri e suddividere spazi, tutto per guadagnare un posto letto in più e infilarci l'ennesimo expat.
Durante il mio primo anno qui sono stata fortunata, ho trovato casa (tramite un losco italiano che millantava di essere una specie di agente immobiliare) presso una famiglia di origine pakistana, papà, mamma e tre figli, che aveva appena tirato su un nuovo piano alla loro villetta a schiera tipicamente inglese, recentemente restaurata. Ergo entro per prima in questo territorio vergine, con la moquette nuova di pacca, primissima inquilina che la famiglia decide di tenersi in casa. Il giorno in cui mi sono installata in casa era l'Eid, festività musulmana, ed era in corso un pranzo di famiglia (e le famiglie pakistane sono estese). Mi pareva di essere in Sognando Beckham, con tutti quegli abiti colorati, gli odori di cibi speziati provenienti dalla cucina, il vociare.
Saltiamo avanti di 12 mesi e più. I padroni di casa sono adorabili, sono diventati una specie di famiglia pure per me, ma sento il bisogno di una certa privacy. Decido di lasciare il nido pakinglese, e mi trasferisco - in realtà poco lontano - in un appartamento trovato tramite una collega, insieme ad altre due ragazze. Diminuire il numero di coinquilini a questo punto è diventato fondamentale, e tre abitanti per una casa mi sembra un buon numero. Le mie coinquiline sono Jessica, al secolo Jaroslawa, slovacca, ed Erika, svedese di origine coreana. Siamo grosso modo coetanee, Jessica è direttrice di un asilo mentre Erika lavora in una caffetteria. Coinquilino extra estemporaneo è il ragazzo di Jessica, un cuoco algerino. L'appartamento fa parte di un blocco denominato close che, come suggerisce il dizionario Cambridge, si tratta di una strada chiusa privata. Ha senso? Non lo so. Diciamo che a me ricorda un po' il concetto nostrano di cortile. Comunque, se ho capito bene queste un tempo erano case popolari, e in effetti sono abbastanza brutte. Accanto al complesso però c'è un campetto da basket, un asilo e un piccolo parco giochi. La popolazione è per lo più di origine caraibica, ma insomma c'è un po' di tutto. Credo che il nostro appartamento sia circondato da una famiglia italiana e una dell'Est Europa. La casa è disposta su due livelli, con la mia stanza e quella di Jess al piano rialzato, insieme al bagno (con la toilette separata), mentre sotto, al livello della strada, c'è il soggiorno che a un certo punto della sua storia è stato convertito in camera di Erika, la cucina abitabile, il bagnetto di Erika e un piccolo cortile posteriore.
È piccola, ma non è quello il problema. Il problema è che è vecchia. I serramenti fanno pietà (fuori dalla finestra c'è del muschio che tenta di farsi strada all'interno), sul soffitto compaiono macchie di muffa che manco la Sindone, ogni volta che apri i rubinetti l'impianto idraulico esige suppliche e preghiere per esprimere un po' di pressione. E non è neanche la casa peggiore che ho visto: almeno qui c'è dignità. Paul, il padrone di casa, tutto sommato non è male, generalmente se hai bisogno è sempre reperibile, e con le ragazze vado d'accordo - con Jessica più di Erika, che vedo più raramente e mi sembra un po' riservata.
Sono qui da pochi mesi, ed ecco il colpo di scena: Jessica è incinta. Lei e il suo ragazzo decidono di trasferirsi in una casa nella famosa zona 12, Hic Sunt Leones, e io ed Erika iniziamo a cercare un nuovo coinquilino. Quanti ne avremo visti, 3 o 4? La selezione è un processo che mi annoia molto, devi fidarti un po' della prima impressione, e qui la prima impressione ha fatto clamorosamente cilecca.
Decidiamo di prendere in casa Joana, portoghese che si è trasferita da poco a Londra e lavora come receptionist in un hotel. È un po' più giovane di noi, ma sembra matura, è tranquilla, chiacchiera volentieri. Per i primi due o tre mesi, tutto bene. Una sera di giugno torno a casa intorno a mezzanotte, e davanti alla porta di ingresso trovo Jo con un'amica. Ciao, ciao, buonanotte. Non ci penso più. Nelle settimane seguenti ogni tanto salta fuori sta amica, ma continuo a non pensarci. Finché un giorno incontro Erika in cucina, che mi dice: "Ma la ragazza di Jo... è una ragazza, vero?" E io: "Aaaaah, vuoi dire... sì, giusto. Comunque sì, è decisamente una ragazza." "No perché l'altro giorno stavo parlando con Jo e mi ha menzionato il suo ragazzo..." Mah, faccia un po' come vuole. Pochi giorni dopo, in una delle forse ultime occasioni in cui abbiamo avuto una conversazione civile, Jo parla del suo partner che acquista solo un particolare tipo di pane - e io vanifico i suoi sforzi chiedendole: Oh, does she?
Non so quando le cose hanno iniziato a diventare bizzarre e soprattutto imbarazzanti, ma più o meno dal giorno alla notte la tizia smette di parlarci. Quando ci incrociamo in cucina mormora appena un ciao fra i denti, dopodiché il silenzio più impacciato cala. Io sono una che odia il silenzio, ho bisogno di riempirlo anche a costo di fare la figura dell'idiota lasciando andare i commenti più patetici sul tempo e la Brexit... eppure con quella non attacca. Ancora peggio quando sono in cucina entrambe, lei e la sua morosa, ti senti una terza incomoda a casa tua. Ed è una presenza che diventa ingombrante, a un certo punto l'altra praticamente si trasferisce qui, ovviamente senza che nessuno chieda nulla a me ed Erika. Che siamo due fesse, una più buona dell'altra, per andare a denunciare la cosa al padrone di casa. La cosa più ridicola è che per tutto il tempo l'altra rimarrà l'Innominata, dato che nessuna delle due ha avuto l'intelligenza e la decenza di fare le presentazioni. E si susseguono una meschinità dietro l'altra: uso della cucina a ore improponibili della notte senza il minimo riguardo per Erika che dorme lì accanto; coda per l'uso della lavatrice ignorata; turni delle pulizie saltati; avanzi di cibo abbandonati senza riguardo nel lavandino; urla d'amore filtrate da una ridicola parete di cartone (e mi dice Erika che la cosa è ben peggiore dal piano di sotto).
Ma l'oggetto epitome, la pietra dello scandalo, è la carta igienica.
Durante una delle chiacchierate conoscitive, Jo ci chiede se condividiamo le spese. Noi spieghiamo che condividiamo praticamente solo i prodotti per la casa, per il resto ognuno fa da sé. Dal momento che io e lei divideremo il bagno, mi chiede come si fa per la carta igienica. Io dico che con Jess non c'era una regola fissa, si andava a buonsenso, a volte la prendeva lei, a volte io.
Per i primi mesi, grosso modo finché ci parliamo, rimane in vigore una regola non scritta secondo la quale la prendiamo a turno. Succede un giorno che ho preso il rotolo dal bagno e me lo sono portato in camera, dimenticandomi poi di rimetterlo a posto e uscendo di casa. Apriti cielo! Mi arriva via messaggio un pippone sull'immoralità del mio gesto sconsiderato. Da quel momento, ognuno usa la carta igienica sua. Benissimo, se non fosse per il surrealismo di questa qui che si porta avanti e indietro la carta igienica dalla sua camera. La qual cosa mi offende, se devo dire la verità: pensi che io voglia rubarti la tua carta da culo? I rotoli finiti però si guarda bene dal portarseli via. Li lascia tutti lì belli allineati sul davanzale della finestra o sulla mensola dell'ingresso, forse pensando che si gettino da soli, o che ascendano al cielo, non so. Una volta ne ho contati 10. Quando sono partita per le vacanze di Natale ce n'erano due o tre caduti a terra, che erano diventati il simbolo di questa battaglia fra volontà d'acciaio: vediamo se quando torno, fra tre settimane, sono ancora a terra. (Al mio ritorno, erano in effetti spariti. Era stata Erika.)
Durante le vacanze ecco sopraggiungere un altro colpo di scena: arriva un messaggio di Paul per comunicarci che Jo se ne andrà a fine gennaio. Ho fatto letteralmente un salto sulla sedia. Il giorno dopo ricevo un'altra bella notizia, sebbene non pertinente: ho vinto dei biglietti per assistere a uno show televisivo con David Tennant a fine gennaio. Seguono numerosi salti sulla sedia, e questa conversazione con mia mamma:
Io: L'anno inizia proprio bene, quella che se ne va, e i biglietti per il Tennant...
Mamma: Chissà se vi saluta...
Io: Certo che ci saluta, lui è bravissimo, saluta tutti!
Mamma: Io parlavo della coinquilina...
A mia mamma: no, non ci ha salutato. Se n'è andata via oggi senza dire una parola ad Erika, che ha incrociato due minuti prima in cucina, e portandosi via tutte le sue cose, persino il deodorante per il bagno e l'ultimo rotolo quasi finito di carta igienica.
E mi pare giusto celebrare il 24° giorno dell'anno con un nuovo post.
È da un po' che volevo parlare di una cosa banale ma fondamentale: la casa.
A Londra è molto molto molto difficile potersi permettere di vivere da soli, la soluzione che più va per la maggiore è la condivisione. Case spesso vecchie, umide, buie, sovraffollate, dove il padrone di casa non si fa scrupoli a trasformare il soggiorno in un'altra camera. tirare su muri e suddividere spazi, tutto per guadagnare un posto letto in più e infilarci l'ennesimo expat.
Durante il mio primo anno qui sono stata fortunata, ho trovato casa (tramite un losco italiano che millantava di essere una specie di agente immobiliare) presso una famiglia di origine pakistana, papà, mamma e tre figli, che aveva appena tirato su un nuovo piano alla loro villetta a schiera tipicamente inglese, recentemente restaurata. Ergo entro per prima in questo territorio vergine, con la moquette nuova di pacca, primissima inquilina che la famiglia decide di tenersi in casa. Il giorno in cui mi sono installata in casa era l'Eid, festività musulmana, ed era in corso un pranzo di famiglia (e le famiglie pakistane sono estese). Mi pareva di essere in Sognando Beckham, con tutti quegli abiti colorati, gli odori di cibi speziati provenienti dalla cucina, il vociare.
Saltiamo avanti di 12 mesi e più. I padroni di casa sono adorabili, sono diventati una specie di famiglia pure per me, ma sento il bisogno di una certa privacy. Decido di lasciare il nido pakinglese, e mi trasferisco - in realtà poco lontano - in un appartamento trovato tramite una collega, insieme ad altre due ragazze. Diminuire il numero di coinquilini a questo punto è diventato fondamentale, e tre abitanti per una casa mi sembra un buon numero. Le mie coinquiline sono Jessica, al secolo Jaroslawa, slovacca, ed Erika, svedese di origine coreana. Siamo grosso modo coetanee, Jessica è direttrice di un asilo mentre Erika lavora in una caffetteria. Coinquilino extra estemporaneo è il ragazzo di Jessica, un cuoco algerino. L'appartamento fa parte di un blocco denominato close che, come suggerisce il dizionario Cambridge, si tratta di una strada chiusa privata. Ha senso? Non lo so. Diciamo che a me ricorda un po' il concetto nostrano di cortile. Comunque, se ho capito bene queste un tempo erano case popolari, e in effetti sono abbastanza brutte. Accanto al complesso però c'è un campetto da basket, un asilo e un piccolo parco giochi. La popolazione è per lo più di origine caraibica, ma insomma c'è un po' di tutto. Credo che il nostro appartamento sia circondato da una famiglia italiana e una dell'Est Europa. La casa è disposta su due livelli, con la mia stanza e quella di Jess al piano rialzato, insieme al bagno (con la toilette separata), mentre sotto, al livello della strada, c'è il soggiorno che a un certo punto della sua storia è stato convertito in camera di Erika, la cucina abitabile, il bagnetto di Erika e un piccolo cortile posteriore.
È piccola, ma non è quello il problema. Il problema è che è vecchia. I serramenti fanno pietà (fuori dalla finestra c'è del muschio che tenta di farsi strada all'interno), sul soffitto compaiono macchie di muffa che manco la Sindone, ogni volta che apri i rubinetti l'impianto idraulico esige suppliche e preghiere per esprimere un po' di pressione. E non è neanche la casa peggiore che ho visto: almeno qui c'è dignità. Paul, il padrone di casa, tutto sommato non è male, generalmente se hai bisogno è sempre reperibile, e con le ragazze vado d'accordo - con Jessica più di Erika, che vedo più raramente e mi sembra un po' riservata.
Sono qui da pochi mesi, ed ecco il colpo di scena: Jessica è incinta. Lei e il suo ragazzo decidono di trasferirsi in una casa nella famosa zona 12, Hic Sunt Leones, e io ed Erika iniziamo a cercare un nuovo coinquilino. Quanti ne avremo visti, 3 o 4? La selezione è un processo che mi annoia molto, devi fidarti un po' della prima impressione, e qui la prima impressione ha fatto clamorosamente cilecca.
Decidiamo di prendere in casa Joana, portoghese che si è trasferita da poco a Londra e lavora come receptionist in un hotel. È un po' più giovane di noi, ma sembra matura, è tranquilla, chiacchiera volentieri. Per i primi due o tre mesi, tutto bene. Una sera di giugno torno a casa intorno a mezzanotte, e davanti alla porta di ingresso trovo Jo con un'amica. Ciao, ciao, buonanotte. Non ci penso più. Nelle settimane seguenti ogni tanto salta fuori sta amica, ma continuo a non pensarci. Finché un giorno incontro Erika in cucina, che mi dice: "Ma la ragazza di Jo... è una ragazza, vero?" E io: "Aaaaah, vuoi dire... sì, giusto. Comunque sì, è decisamente una ragazza." "No perché l'altro giorno stavo parlando con Jo e mi ha menzionato il suo ragazzo..." Mah, faccia un po' come vuole. Pochi giorni dopo, in una delle forse ultime occasioni in cui abbiamo avuto una conversazione civile, Jo parla del suo partner che acquista solo un particolare tipo di pane - e io vanifico i suoi sforzi chiedendole: Oh, does she?
Non so quando le cose hanno iniziato a diventare bizzarre e soprattutto imbarazzanti, ma più o meno dal giorno alla notte la tizia smette di parlarci. Quando ci incrociamo in cucina mormora appena un ciao fra i denti, dopodiché il silenzio più impacciato cala. Io sono una che odia il silenzio, ho bisogno di riempirlo anche a costo di fare la figura dell'idiota lasciando andare i commenti più patetici sul tempo e la Brexit... eppure con quella non attacca. Ancora peggio quando sono in cucina entrambe, lei e la sua morosa, ti senti una terza incomoda a casa tua. Ed è una presenza che diventa ingombrante, a un certo punto l'altra praticamente si trasferisce qui, ovviamente senza che nessuno chieda nulla a me ed Erika. Che siamo due fesse, una più buona dell'altra, per andare a denunciare la cosa al padrone di casa. La cosa più ridicola è che per tutto il tempo l'altra rimarrà l'Innominata, dato che nessuna delle due ha avuto l'intelligenza e la decenza di fare le presentazioni. E si susseguono una meschinità dietro l'altra: uso della cucina a ore improponibili della notte senza il minimo riguardo per Erika che dorme lì accanto; coda per l'uso della lavatrice ignorata; turni delle pulizie saltati; avanzi di cibo abbandonati senza riguardo nel lavandino; urla d'amore filtrate da una ridicola parete di cartone (e mi dice Erika che la cosa è ben peggiore dal piano di sotto).
Ma l'oggetto epitome, la pietra dello scandalo, è la carta igienica.
Durante una delle chiacchierate conoscitive, Jo ci chiede se condividiamo le spese. Noi spieghiamo che condividiamo praticamente solo i prodotti per la casa, per il resto ognuno fa da sé. Dal momento che io e lei divideremo il bagno, mi chiede come si fa per la carta igienica. Io dico che con Jess non c'era una regola fissa, si andava a buonsenso, a volte la prendeva lei, a volte io.
Per i primi mesi, grosso modo finché ci parliamo, rimane in vigore una regola non scritta secondo la quale la prendiamo a turno. Succede un giorno che ho preso il rotolo dal bagno e me lo sono portato in camera, dimenticandomi poi di rimetterlo a posto e uscendo di casa. Apriti cielo! Mi arriva via messaggio un pippone sull'immoralità del mio gesto sconsiderato. Da quel momento, ognuno usa la carta igienica sua. Benissimo, se non fosse per il surrealismo di questa qui che si porta avanti e indietro la carta igienica dalla sua camera. La qual cosa mi offende, se devo dire la verità: pensi che io voglia rubarti la tua carta da culo? I rotoli finiti però si guarda bene dal portarseli via. Li lascia tutti lì belli allineati sul davanzale della finestra o sulla mensola dell'ingresso, forse pensando che si gettino da soli, o che ascendano al cielo, non so. Una volta ne ho contati 10. Quando sono partita per le vacanze di Natale ce n'erano due o tre caduti a terra, che erano diventati il simbolo di questa battaglia fra volontà d'acciaio: vediamo se quando torno, fra tre settimane, sono ancora a terra. (Al mio ritorno, erano in effetti spariti. Era stata Erika.)
Durante le vacanze ecco sopraggiungere un altro colpo di scena: arriva un messaggio di Paul per comunicarci che Jo se ne andrà a fine gennaio. Ho fatto letteralmente un salto sulla sedia. Il giorno dopo ricevo un'altra bella notizia, sebbene non pertinente: ho vinto dei biglietti per assistere a uno show televisivo con David Tennant a fine gennaio. Seguono numerosi salti sulla sedia, e questa conversazione con mia mamma:
Io: L'anno inizia proprio bene, quella che se ne va, e i biglietti per il Tennant...
Mamma: Chissà se vi saluta...
Io: Certo che ci saluta, lui è bravissimo, saluta tutti!
Mamma: Io parlavo della coinquilina...
A mia mamma: no, non ci ha salutato. Se n'è andata via oggi senza dire una parola ad Erika, che ha incrociato due minuti prima in cucina, e portandosi via tutte le sue cose, persino il deodorante per il bagno e l'ultimo rotolo quasi finito di carta igienica.